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CAPITOLO 15

Non appena fece giorno aprii le imposte e guardai fuori, con circospezione. Non c'era nessuna traccia della notte prima. Tutto era come sempre...

La mia auto era posteggiata allo stesso posto, vicino al grosso pino che si ergeva a fianco della baita. Nessun particolare mi diceva che lì era venuto qualcuno, oltre a me.

Eppure non l'avevo sognato, ragionai, sorseggiando il caffè. L'avevo sentito perfettamente... C'era stato qualcuno lì fuori! C'era stato davvero!

Riordinai come facevo sempre e mi preparai già per andare al lavoro.

Faceva freddo quella mattina, più del solito. La stufa accesa rimandava nella stanza il suo calore, ma avevo poca legna in casa, non mi sarebbe bastata anche per la sera; dovevo salire in soffitta a prenderne ancora. Rimestai nella cenere per ravvivare il fuoco e posai l'attizzatoio al suo posto.

Indossai la giacca sopra il maglione, incalzai gli stivaletti ed aprii l'atrio, per uscire.

Fu allora che mi accorsi di qualcosa posato a terra, davanti all'ingresso.

Mi avvicinai di più...

C'era un biglietto piegato sotto una borsa di stoffa crema, sul pavimento della veranda.

Lo raccolsi e lo spiegai, senza occuparmi del resto...

Se ti va, ti spiego come montarle

Non lavoro oggi, sono a casa.

(Percorri la strada per Valtournenche, la prima svolta a sinistra dopo la tua, porta a casa mia)

Aprii la busta quel tanto che mi permise si svelarne il contenuto: catene da neve per la macchina.

Un misto di sollievo e di collera mi salì alla testa. Avevo intuito chi era l'artefice...

Ma come si era permesso!!! Non volevo niente da lui! Da lui e da nessun altro! Era venuto a casa mia! Casa mia! E nel mezzo della notte, spaventandomi a morte!

Entrai immediatamente dentro e presi le chiavi della 600, infuriata. Agguantai le catene, stritolando il biglietto con l'altra mano e le buttai ai piedi del sedile accanto alla guida. Misi in moto e mi diressi verso Valtournenche. Dopo qualche curva, alla prima svolta a sinistra, misi la freccia e percorsi la strada in salita fino ad un'abitazione.

Posteggiata accanto ad una moto nera, c'era la jeep grigia, con le stelle sulle fiancate... quella che avevo seguito la prima sera che ero arrivata a Cervina e non ebbi più dubbi. Ero arrivata a casa sua!

Non feci a tempo a spegnere la macchina che un fiero ed elegante pastore tedesco, dal mantello nero, con focature rosso-brune, spuntò dal garage aperto, accanto all'ingresso, drizzando le orecchie. Rimase fermo, sull'attenti, con i padiglioni a punta rivolti in avanti, pronti a cogliere il minimo rumore. Annusando l'aria, per raccogliere informazioni. Vigile.

Non mi lasciai intimidire. I cani non mi facevano paura.

Aprii la portiera ed uscii all'aperto, richiudendola subito dietro di me.

Con un sorriso luminoso sulle labbra, Fabrizio si affiancò al cane che scodinzolò, e gli accarezzò la testa, quasi volesse tranquillizzarlo. Si guardarono, in una sorta di linguaggio muto d'intesa. Quindi avanzò verso di me, dopo averlo seguito con lo sguardo accovacciarsi in un angolo, al sole tiepido.

"Ehi... ciao!" mi salutò.

Si ripulì le mani in uno straccio e mi dedicò la sua attenzione, con espressione sorniona.

Indossava un maglioncino aderente a girocollo blu, che metteva in evidenza il suo fisico asciutto dal torace scolpito. Ed un paio di jeans sbiaditi, un po' aderenti, dai quali spuntavano gli scarponcini marroni da trekking. I capelli mossi, raccolti in un codino improvvisato, gli davano un'aria alquanto attraente.

Quello era senz'altro un punto a suo vantaggio, riflettei.

Poco importava, non mi sarei lasciata distrarre da un particolare così futile...

Mi costrinsi a non badarci troppo.

Non gli risposi. Feci il giro della macchina e aprii la portiera del passeggero. Presi le catene e gli andai incontro, con fare deciso.

"Che cos'hai di bello?" mi chiese facendo il finto tonto.

Era contento che fossi lì. Immaginava avessi accettato il suo invito a montarle. Me lo dicevano i suoi occhi verdi, ridenti come il suo viso.

Gliele gettai ai piedi e lo ghiacciai con lo sguardo.

Fabrizio seguì quel gesto, piuttosto sorpreso.

Il cane, che apparentemente stava sonnecchiando poco distante, alzò subito il muso al rumore che riandarono finendo a terra.

Attento; sulla difensiva.

"L'hai lasciate tu stanotte a casa mia?" gli chiesi a bruciapelo.

"Forse..." fece, compiaciuto che lo avessi capito.

I suoi occhi cercarono di catturare i miei, ma non glielo permisi.

"Non posso accettarle!" lo informai decisa.

Il sorriso sul suo viso si smorzò gradualmente, intanto che poggiava le mani ai fianchi.

"Perchè?"

"Perchè non ne ho bisogno" lo fissai con fastidio.

"Beh... erano abbandonate nel mio garage. Io non le uso e..."

"Sai cosa?" mi intromisi, senza lasciarlo continuare, "Non mi piace che tu venga a casa mia nel cuore della notte!" l'irritazione riempiva le mie parole, "A dire il vero, non mi piace che qualcuno venga a casa mia senza essere invitato. In qualunque momento..."

Il suo sorriso si spense del tutto, sostituito da un'espressione delusa e mortificata. E per un istante, quasi mi fece pena.

"So che magari penserai che è stato un bel gesto..." continuai, "Che lo hai fatto col cuore, ma vedi... non lo è affatto per me! Non posso accettarle... Quindi puoi riprendertele" feci un gesto di sdegno col capo, intrecciando le braccia al petto, con aria di sfida..

"Non capisco..." fece impacciato, "Non è una gran cosa... Sono solo delle catene da neve... Tu vai avanti e indietro e tra poco potrebbe nevicare... Ho pensato che..."

Issai le mani per bloccarlo.

"Scusa, ma non te le ho chieste. E non le voglio. Non voglio niente da nessuno, d'accordo?" mi voltai troncando il discorso, per ritornare alla macchina, senza aggiungere altro.

Lasciandolo a guardarmi sbigottito.

"Aspetta un momento" mi camminò dietro.

Spalancai veloce la portiera e mi piombai sul sedile.

Non avevo calmato la mia irritazione restituendogliele. Al contrario... Il tentativo di spiegare il motivo del suo gesto giustificandolo, mi infastidiva; era troppo gentile. E soprattutto, quel comportamento, stava assumendo gradatamente un altro peso. Non era così invadente, come mi era parso in un primo momento. Non c'era niente di male davvero.

Forse avrei dovuto restare più calma! Non essere così precipitosa...

La sua reazione pacata mi stava mettendo in confusione emotiva. Non ero preparata per questo.

Era meglio andare, prima che peggiorassi le cose.

Mi impedì di richiuderla tenendola aperta con le braccia. Tentando ancora di capire perché mai stessi reagendo a quel modo.

Il suo viso era contro il mio. Alzai lo sguardo con arroganza; fingendomi sprezzante.

Fabrizio aggrottò la fronte. Serio.

"Dimmi perché ti dà tanto fastidio... Perchè?"

Non potevo dirgli che era perché temevo sarebbero state un motivo per manipolarmi. Un pretesto per raggirarmi...

Non avrebbe capito.

"Il discorso è chiuso" tagliai corto, "Non le voglio e basta" i miei occhi si scontrarono coi suoi. Fermi. Immobili. Risoluti. Nessuna emozione traspariva da loro.

Fece un passo indietro.

"Come vuoi" c'era un misto di risentimento e di accettazione disegnati sul suo viso.

Non mi importava. Non poteva importarmi. Non doveva!

Con forza richiusi lo sportello sbattendolo, cercando di mantenermi distaccata.

Subito il pastore tedesco mi si fece contro, correndo; abbaiando in maniera minacciosa.

"Kira, no!" lo fermò immediatamente Fabrizio puntandogli l'indice contro, "Buona!"

A quell'ammonimento l'animale arrestò la sua corsa. La coda dritta, lo sguardo aggressivo. Intimidatorio, puntato contro di me. In attesa della prossima mossa.

Rimisi in moto.

Non mi voltai, lo sguardo fisso a fissare la strada, davanti a me. Inviperita da qualcosa, senza sapere cosa. Infuriata per lui, senza comprenderne più il perché...

La mia collera all'improvviso pareva non avere più senso. Tutto quello che avevo costruito a difesa di ciò che ero, crollare.

Kira lo raggiunse, strusciandosi contro le sue gambe, avanti e indietro. Quasi a sincerarsi che stesse bene.

"Se qualcuno fa qualcosa di gentile per te... si dice semplicemente Grazie..." mi urlò ancora dietro mentre mi allontanavo riprendendo la strada.

Ero di nuovo furibonda...

Lui non sapeva un bel niente di me. Nessuno lo sapeva.

C'era una ragione in fondo alla mia collera. Al panico che avevo vissuto quella notte. Non era affatto insolenza...

Guardai l'orologio al polso: le nove e mezza. Era presto per andare al ristorante, ma non volevo tornare a casa e restare sola in quel momento.

Teresa non mi avrebbe rimandato indietro.

Decisa mi diressi verso "La Maison", sperando che lavorare mi aiutasse a smorzare la rabbia che sentivo dentro.

Davanti avevo continuamente i suoi occhi offesi, che tentavano di farmi sentire in colpa.

Non avrebbero vinto loro! Era lui quello che doveva sentirsi in colpa! Solo lui!

Quando spalancai la porta, Teresa stava annaffiando i fiori nei vasi della sala. Si voltò a guardarmi con stupore e mi salutò con un caloroso sorriso.

"Adele! Che ci fai già qui così presto?"

La sua espressione cambiò, quando notò la mia agitazione.

"Ciao, Teresa" feci sbrigativamente, "Non riuscivo a dormire stamattina... Mi sono svegliata presto e ho pensato di anticipare visto che a casa non avevo da fare" sfuggii il suo sguardo indagatore, tormentando inconsapevolmente l'unghia del pollice con le dita.

"Sei sempre la benvenuta qui. Lo sai." mi disse per rassicurarmi, continuando a fissarmi sempre più dubbiosa.

"Hai già fatto colazione?"

"Sì... l'ho già fatta!" mi portai le braccia ai fianchi irrequieta, "Cosa c'è da fare? C'è qualcosa da lavare? Devo riordinare la cucina? Rifornire la legna? Dimmi! Qualsiasi cosa" le chiesi impaziente, vagando lo sguardo intorno alla ricerca di un diversivo.

Non volevo pensare a lui. Concentrarmi su altro mi avrebbe aiutato... sicuramente...

Almeno era quello che speravo.

Lui non è uguale, mi diceva continuamente una voce nella testa. Continuava a ripeterlo, a ridirlo, a tormentarmi...

Non volevo sentirmi rimproverare dalla mia coscienza! Non doveva succedere!

Teresa mi studiò diffidente. Quella inaspettata solerzia, nascondeva dell'altro e lei l'aveva ormai intuito.

"Che cosa è successo, Adele?" la sua era una preoccupazione materna. Lo sapevo.

Nel breve tempo che ero stata lì da loro, si stava affezionando molto a me e la cosa, stranamente, non mi disturbava. In fondo ne avevo bisogno, anche se faticavo ad ammetterlo a me stessa.

"Niente" le dissi sfuggevole, "Ho soltanto voglia di lavorare, stamattina. E' tutto a posto..." ansimai.

Sentivo che non mi credeva fino in fondo.

"Voi giovani avete sempre l'impressione che dire E' tutto a posto, basti a tranquillizzarci!" esclamò paziente, alzando gli occhi al cielo. "Sei uguale a Davide in questo. Quando mi dice E' tutto a posto... è lì che mi devo preoccupare. Stanne certa! Non ho quasi sessantatrè anni per niente"

Indugiai. Ma avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi sostenesse... che mi dicesse che avevo comunque fatto bene... che non avevo esagerato... che non ero stata maleducata... che mi togliesse in qualche modo il senso di oppressione che mi schiacciava in petto, ed ero sicura, lei sarebbe stata capace di farlo... avrebbe capito...

Sospirai.

"Fabrizio è venuto a casa mia, stanotte" ammisi tutto d'un tratto.

La vidi spalancare gli occhi, imbarazzata e solo allora mi accorsi di non essermi espressa al meglio...

"Oh... beh... non immaginavo che tra voi... insomma..."

"No, no... non è quello che pensi... Io non lo sapevo e neanche lo volevo! E' venuto alla baita, mentre dormivo e mi ha lasciato sulla porta le catene da neve per la macchina... Le ho trovate stamattina con un biglietto in cui mi offriva il suo aiuto per montarle... Ti rendi conto!" specificai meglio.

Mi guardò perplessa.

"Le catene da neve" ripetè.

"Manco gliel'ho chieste, capisci?!"

"Qui ci vuole un caffè!" esordì come commento, "Vieni..." mi disse dirigendosi verso la cucina, "Meglio parlarne da sedute!" suggerì.

Seguì il mio racconto dettagliato, senza interrompermi, lasciando che sfogassi l'irritazione, evitando di giudicare il mio comportamento, fino a che non terminai il mio resoconto.

"E così, gliel'hai restituite... mmm..." mi guardò strana, come se non fosse granché impressionata dal suo gesto.

"Che altro potevo fare?"

"Avrebbero potuto farti comodo" osservò, "Fabrizio ha ragione... Se nevica non sarà facile muoverti con la macchina, senza catene. Soprattutto visto che stai da Marì"

La guardai esterrefatta.

"Ma hai sentito quello che ti ho detto! E' venuto a casa mia, nel mezzo della notte!"

"Non credo volesse farti un torto. Lo conosco da tanti anni ormai... Fabrizio è una persona molto generosa. Te lo assicuro"

"Beh, io non voglio niente da lui. Non voglio obblighi con lui, così come non li voglio con nessuno. Non voglio che mi dia proprio un bel niente" sostenni convinta, "Niente!"

"Sono solo delle catene da neve, Adele! Sono solo questo! Non credo volesse farti sentire in debito con lui. Era soltanto un gesto di cordialità verso di te" la sua mano si posò teneramente sulla mia, spingendomi ad alzare lo sguardo su di lei.

Rimasi in silenzio, smarrita. Le mie convinzioni stavano di nuovo barcollando.

Mandai giù la saliva a stento.

"Devi avere più fiducia negli altri. Da queste parti la gente è abituata a darsi una mano. E questo è quello che voleva fare Fabrizio con te... Darti una mano. Senza secondi fini" proseguì.

"Beh, io non ne ho bisogno. So cavarmela da sola" tentai ancora di difendermi.

"Tutti quanti ce l'hanno, Adele! La vita è meno pesante con l'aiuto degli altri"

"Non per me... non mi serve"

"Sì, invece..."

"No, io no! Non ho bisogno di niente"

Piegò la testa in un sorriso che annullava le mie parole.

"E' così per tutti, Adele!"

Abbassai il capo, consapevole di quella verità. Io ne avevo più bisogno degli altri, invece. Ne avevo sempre avuto, ma in pochi se ne erano accorti, lasciandomi sola ad affrontare l'inferno.

"Non mi fido, Teresa. Mi sono pentita troppe volte per aver creduto nella buona fede di qualcuno" confessai amaramente.

"Non siamo tutti uguali. Non deve andare necessariamente allo stesso modo sempre" il suo viso pareva sincero.

Avevo ingigantito le cose... solo ora, ne ero pienamente convinta.

Ma che potevo fare ormai?

Un senso di avvilimento mi appesantì..

"Mi ha spaventato. Capisci? E' venuto nel mezzo della notte. Poteva essere chiunque..." sebbene continuassi a ripeterlo, non mi dava consolazione.

"Forse non ci ha riflettuto, ci hai pensato? Alle volte le cose si fanno di getto. Probabilmente era meglio ti avesse avvertito prima, ma restituirgliele... a quel modo poi..." lasciò la frase a metà.

Aveva ragione: non voleva farmi un torto.

Mi sentivo una miserabile...

Neanch'io ci avevo riflettuto in effetti. Avevo agito di getto. Ed avevo sbagliato...

"Ho combinato un casino, Teresa" ammisi sconsolata, "Sono stata una stupida... non lo so più..." appoggiai la schiena alla seggiola, abbattuta. Portandomi le man tra i capelli e tirandoli indietro.

"Magari un po'" non mi contraddisse con una smorfia.

Quello che era più giusto riconoscere, rimuginai, era che avevamo sbagliato entrambi. Esagerato entrambi!

Neppure dirmi quello mi diede sollievo.

Sospirai, rassegnata al pensiero che anche io avevo fatto la mia parte...

"Ad ogni modo, il bello della vita è che è pieno di seconde occasioni" proseguì Teresa, nel tentativo di risollevarmi il morale, "Prova a parlargli... Capirà. E chiarirete questo malinteso..."

Seconde occasioni... Volesse il cielo che ci fossero state davvero per me... e non solo con Fabrizio...

"Spero tu abbia ragione..."

"Ce l'ho!" mi sorrise compiaciuta per essere riuscita a farmi considerare le cose diversamente, "Ce l'ho sempre"

Era vero: non potevo continuare a vedere il male intorno a me... non doveva essere sempre così per forza...

"Cercherò di parlargli..." decisi più ragionevole.

"E' la cosa giusta. Credimi" mi incoraggiò.

Si alzò e uscì in cortile a prendere la legna, lasciandomi sola. Senza aggiungere altro.

Nel silenzio che seguì fissai il vuoto e meditai su Fabrizio: mi sentivo responsabile per averlo offeso. Ero stata sgarbata a rivolgermi a lui con quell'arroganza... non avrei dovuto...

Avrei chiarito la cosa. Al più presto... Non appena avessi trovato il coraggio e l'occasione per farlo.

Quando tornai a casa, quella sera dopo il lavoro, ero sfinita. Indossai rapidamente il pigiama e mi infilai sotto le coperte. Nel silenzio non potei fare a meno di ripensare a Fabrizio: i suoi occhi profondi non mi mollavano.

Stavo dando troppa importanza alla faccenda, conclusi. In fondo non era un dramma.

Eppure sapevo che non avrei avuto tregua finché non avessi ancora parlato con lui.

Presi una rivista dal comodino, di quelle che mi aveva dato Teresa e cominciai a sfogliarla distrattamente, senza soffermarmi su alcuna pagina.

Dovevo affrontarlo. Non importava la reazione che avrebbe avuto. Glielo dovevo. Volevo cercare di spiegargli in parte la mia reazione. Non potevo lasciarlo così, in quello stato.

La riposai sul comodino e spensi la luce. Non era servita a distrarmi... Ma appena chiusi gli occhi cominciai a rivedere il suo viso... gli angoli curvati della sua bocca, quando aveva assunto un'espressione mortificata... la sua fronte aggrottata, perché risentito dalle mie parole... i suoi occhi delusi, perché non avevo apprezzato il suo gesto...

Mi girai e rigirai nel letto senza riuscire a prendere sonno. Tormentata dal pensiero che anche lui fosse sveglio a rimuginare su quello che era accaduto.

Per la prima volta, dopo tanto tempo, quella notte la mia mente fu occupata da altri assilli e non ebbi più la forza di sognare, ma solo di pensare a lui e, finalmente, di addormentarmi... 

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