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CAPITOLO 11

Quella notte stentai a dormire, nonostante la stanchezza. Rimuginai, comunque, ipotesi tormentose. Senza sosta fino a quando, alla fine, crollai.

Sognando ancora... anche se non avrei voluto...

In piedi, sola al centro di una stanza vuota e poco illuminata, mi guardavo attorno impaurita...

L'angoscia che provavo in quel momento era pressante... Non potevo restare...

Intorno a me soltanto pareti bianche, su cui si stagliava la mia ombra. Girai su me stessa respirando affannosamente. Volevo andarmene da lì!.

L'ansia mi strinse la gola quando mi accorsi che non c'erano uscite.

Una voce mi sussurrò piano all'orecchio... Un'ombra simile alla mia si aggiunse sul muro e un alito leggero mi sfiorò i capelli...

"Cercami... cercami..." mi vibrò all'orecchio.

Quella presenza alle spalle, mi scatenò un brivido freddo lungo la schiena. Mi voltai spaventata.

Nessuno.

La stanza si era trasformata. Intorno a me c'erano bare di legno, affiancate, l'una accanto all'altra... Su ognuna di loro c'era una foto...

La cercai tra quei morti col fiato sospeso. Dovevo trovarla prima di fuggire!

Rintracciarla...

Quei visi mi scorrevano davanti senza sosta... Continuamente... Sentivo le loro grida nelle orecchie, uscire da quelle prigioni di legno... I loro occhi mi fissavano con rimprovero...

Non riuscivo più a sopportarli... Dovevo fuggire... non riuscivo a pensare ad altro...

D'improvviso il vano si riempì di persone. Faticai a farmi strada in mezzo a loro. Nessuno mi lasciava passare, come se non esistessi, come se non ci fossi, come se fossi nulla. Con tutta la forza che avevo, spinsi contro quei corpi. Tutti mormoravano, un brusio continuo e indistinto... Lamenti incessanti che mi straziavano l'anima...

Mi chiusi le orecchie con le mani per non sentirli...

Mi faceva male la testa... terribilmente male... Qualcosa di caldo colò sul mio viso... Era sangue... Mi guardai le mani imbrattate di rosso e il male alla tempia divenne lancinante...

Non potevo lasciare che continuasse ancora. Doveva finire! Basta... basta!

I miei occhi scrutavano attorno terrorizzati... Non c'era alcuna porta da cui poter uscire... Solo muri chiusi... nemmeno una finestra... Soltanto bare di legno... Solo morti... Solo pianti e lamenti... Soltanto dolore...

Poi una di quelle immagini mi fece sobbalzare...

L'avevo trovata! Non riuscivo quasi a crederci... eppure c'era anche lei tra quelle foto...

Chiara Villo era morta!

Ora ne ero sicura... Era tra le vittime... Il suo volto mi chiedeva aiuto... I capelli biondi, lunghi... gli occhi tristi... nessun sorriso sulle labbra...

Lei non esisteva più... la sua vita era finita... per sempre...

Non potevo più restare ormai...

Dovevo scappare... prima che qualcuno mi scoprisse...

Aprii gli occhi, spaventata e provai un briciolo di sollievo, quando mi resi conto del posto in cui mi trovavo.

Lontano...

Portai le mani alla testa, intrecciando le dita ai miei capelli e li tirai indietro. Gocce di sudore freddo, scesero lungo la schiena e una scarica elettrica mi percorse da capo a piedi.

Era solo un sogno... un altro incubo...

Mi alzai, distrutta ed andai in cucina. Non appena spalancai le imposte fui investita da una folata gelida, che mi costrinse a richiudere i vetri in fretta, per stringermi le braccia al petto.

Non dovevo pensarci... quei sogni non facevano che devastarmi, distruggermi, frantumarmi...

Gettai un'occhiata alla legna accanto alla stufa per concentrarmi su altro. L'avrei accesa solo per qualche ora, ma non potevo rimandare oltre. Almeno per riscaldare l'ambiente.

Posai un paio di ceppi in fondo al focolare e cercai tra la piccola catasta che ancora avevo, dei piccoli pezzetti di legna, che mi aiutassero nell'accensione.

In breve un calore rassicurante prese vita. Rimasi lì, ferma in piedi. Lo sguardo perso in quelle lingue che, mano a mano che si rinvigoriva il fuoco, si alzavano ardenti, piene di forza.

Il fuoco... l'inizio della fine... la fine dell'inizio...

Il mio presente, passato e futuro erano intrecciati come in quelle scintille vorticose e lucenti. Era come se dentro quel fuoco si nascondessero le risposte alle mille domande che mi ponevo. Come se il suo scoppiettio non fosse altro che la voce che me le suggeriva, ma io non fossi in grado di comprenderla.

Strinsi di più le braccia al petto, quasi ipnotizzata, lasciandomi avvolgere dal tepore che emanava.

Fu allora che lo notai appena... con la coda dell'occhio, un lento scivolare in basso di qualcosa sul muro accanto alla stufa.

Lì, nascosto dal quadro che c'era appeso alla parete. Qualcosa che spuntava dalla cornice. Qualcosa di diverso.

Piegai un poco la testa di lato per metterlo meglio a fuoco.

Pareva un taccuino, forse un quaderno, dalla copertina marrone.

Mi sporsi per recuperarlo. Spostando l'intelaiatura e tirandolo un poco per farlo uscire dal suo insolito luogo segreto. Con le mani lo ripulii dalla polvere. Gli angoli erano ripiegati all'insù, come accartocciati, probabilmente dovuti al calore del fuoco, vista la vicinanza.

Che strano...

Forse era qualcosa di importante che apparteneva ai Brunod e che avevano dimenticato. Posato lì proprio per non confonderlo col resto, in attesa di essere ripreso in un secondo tempo.

Lo sfogliai...

Era scritto in francese.

Conoscevo bene quella lingua; mia madre aveva vissuto parecchi anni, da giovane, in un paesino della Francia e me l'aveva insegnato.

Identità possibili, c'era scritto in una nota sulla prima pagina, scritta di pugno da qualcuno. In calce una data, risalente a due anni prima. Seguiva un elenco di nomi e indirizzi cancellati con una riga a penna. Erano tutti femminili.

Su un angolo, in alto, cerchiato di rosso, si leggeva un cognome... Dubois. Accanto il numero di telefono di una clinica Hȏpitaux Saint Jacques.

Girai le pagine: si ripetevano più o meno allo stesso modo. Nomi e indirizzi. Talvolta intercalati da scarabocchi, e da schizzi più curati. Su una pagina in alto talvolta ricompariva Dubois sottolineato più volte. Una costante quasi maniacale.

C'era un tocco femminile in ogni pagina. Non avrei saputo dire con esattezza cosa me lo suggerisse. Forse la calligrafia rotondeggiante, il modo di scrivere in modo curvo le linee che avrebbero potuto essere dritte, o l'inclinazione che aveva ogni singola parola... o il modo ordinato e l'accuratezza di ogni singola pagina...

Fino a che lo scritto assumeva i toni di una specie di diario e le annotazioni si facevano più dense e più, per quanto possibile, comprensibili...

Non so perché ho deciso di appuntare ogni cosa soltanto ora, ma credo che mi aiuterà farlo. Mi permetterà almeno di risistemare i pensieri, o almeno sarà un po' come parlarne con qualcuno. O semplicemente mi permetterà di tenere davanti i progressi e di portare avanti il mio scopo, senza scoraggiarmi.

Non lo so...

A volte mi dico che non la incontrerò mai. Ma poi passa e avverto che le sono vicino. Ci sono tracce di lei dentro di me. Lo percepisco.

E' per questo che devo continuare. Ho soltanto 22 anni. Ho tutto il tempo davanti. La devo trovare. Devo continuare. Fosse l'ultima cosa che faccio...

Le pagine si riempivano mano a mano che le scorrevo...

Se soltanto mio padre mi avesse confessato la verità prima e non sul letto di morte. Avrei potuto fargli delle domande, avere delle risposte. E soprattutto capire come ha potuto fare una cosa simile.

Immagino sia stata la disperazione a spingerlo ad abbandonare una di noi due. Ma non riesco a scusarlo. E' inutile...

Il pensiero di che cosa avrà dovuto affrontare nel frattempo mi distrugge? Avrà trovato una famiglia vera? E di che tipo?

Chiedermelo mi fa impazzire.

Ho soltanto il nome della clinica dove siamo nate e una data: la nostra nascita, la stessa della morte di nostra madre. Lo stesso giorno che siamo venute al mondo.

Erano le pagine di diario di una ragazza, non mi ero sbagliata. Una ragazza che cercava qualcuno... una sorella... una gemella...

Inaspettatamente i vetri dell'anta della finestra che avevo a fianco vibrarono rumorosamente, colpiti da un'improvvisa raffica di vento. Mi voltai di scatto a guardare fuori e rimasi in ascolto.

L'adrenalina si mescolò, subito, al sangue che mi scorreva nelle vene, agitandomi il respiro.

Un'immagine mi passò davanti in quello stesso istante. Non era reale, ma lo sembrava. Un'immagine sfocata di una giovane che scriveva sulle ginocchia piegate. Seduta a terra, accanto al fuoco, appoggiata con la schiena al muro.

Fu solo un attimo, ma i contorni di quella ragazza si confusero coi miei.

Per un istante persi l'equilibrio, come stordita, e traballai sui talloni.

Il diario mi cadde dalle mani.

Sbattei gli occhi un paio di volte e lentamente riacquistai stabilità. Poggiai le mani alla parete e chinai il capo. Il mio sguardo si posò nuovamente su quell'insolito diario, a terra, accanto ai miei piedi, sbucato all'improvviso dal nulla.

Silenzio...

Solo l'ululo del vento che imperterrito soffiava fuori.

Dovevo calmarmi!

Ero ancora troppo fragile emotivamente. Me ne rendevo conto...

Lo raccolsi, stringendolo tra le mani, e lo posai sull'unica mensola che c'era. Non capivo perché lo stavo facendo, avrei potuto disfarmene come avevo fatto con tante cose. Era di qualcuno che aveva vissuto in quella baita prima di me. Qualcuno che nemmeno conoscevo, non era importante. E soprattutto non sarebbe interessato a nessuno ormai.

Eppure, dentro di me, una sensazione, quasi un peso sullo stomaco mi impediva di farlo.

Feci colazione, abbandonando quei pensieri.

Mentre sorseggiavo il caffè, seduta attorno al tavolo della cucina, guardai di fronte, senza che nulla entrasse nella mia mente e ripensai a ciò che avevo letto...

Devo continuare... fosse l'ultima cosa che faccio...

Una cosa era certa... io e quella ragazza, chiunque fosse stata, non avevamo lo stesso scopo, ma di certo avevamo le stesse intenzioni... 

Ci assomigliavamo e molto...

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