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CAPITOLO 1

Due mesi prima

Le ruote della 600 rossa, che percorrevano l'autostrada, rimandavano un suono simile al battito del cuore passando sopra le giunte d'asfalto dell'autostrada. Non sapevo esattamente dove mi trovassi, ma ero sicura di guidare ormai da più di due ore consecutive, senza sosta.

Silenziosa, attenta non tanto ai miei pensieri, quanto allo stato d'animo che provavo in quel momento e che non avevo mai affrontato prima. Quasi una sensazione di sollievo alla fine di una lunga sofferenza, che taceva i rimorsi in fondo all'anima, per darmi la forza di sfidare quello che mi portavo dentro ed andare avanti.

Una voce alla radio in sottofondo, elogiò un modello di navigatore montato di serie su tutti i veicoli di ultima uscita, intromettendosi nelle mie riflessioni. L'avessi avuto anch'io sicuramente mi sarei mossa con più disinvoltura su quelle strade, pensai, ma per me era già tanto che avessi quella macchina e che fossi capace di guidarla.

La mia mente andò lontano.

Avevo sostenuto l'esame pratico per la patente appena in tempo. Ce l'avevo fatta per fortuna... l'avevo superato. Non sarei riuscita a ripeterlo un'altra volta.

Ormai sapevo guidare comunque e questo era quello che importava. Non avrei potuto fuggire se non fosse stato così...

Inspirai gettando un'occhiata all'ora sull'orologio che avevo al polso: le 21 e 45.

Il mio stomaco brontolava da un po', ma avrei dovuto rinunciare a mangiare anche quella sera. Non avevo abbastanza soldi per fermarmi a un autogrill.

Mi allungai sul sedile accanto e frugai nel marsupio, alla ricerca dell'ultima barretta di cioccolato. Quella era tutto quello che mi restava. Avrei dovuto farmela bastare, almeno fino al giorno dopo.

Guardai per un attimo lo specchietto retrovisore, soprappensiero. I fari di una macchina che mi veniva incontro, sulla corsia opposta, illuminarono sfuggevoli il mio viso.

La donna con i capelli castani, lisci, lunghi fino alle spalle, che mi guardava, non sembravo più io. Pallida, senza trucco, smunta come un fantasma. Occhiaie grigie mi cerchiavano gli occhi, facendoli sembrare infossati. Con la punta delle dita tastai i contorni del viso, quasi per sincerarmi che fosse il mio: alcune parti erano ancora doloranti. Ma non c'erano segni visibili per fortuna. Il tempo avrebbe guarito in gran parte i lividi che avevo al costato e il labbro si era quasi del tutto risanato. Ma il male che avevo dovuto subire, quello no, era ancora vivo, lo sentivo. Non mi avrebbe lasciato andare lui. Era dentro di me. L'avrei ricordato ovunque fossi andata, non l'avrei mai cancellato del tutto, come non si riesce ad eliminare un tatuaggio senza lasciare segni e cicatrici sulla pelle. Aveva causato ferite profonde nel mio cuore. Ferite che avrebbero sanguinato a lungo e che a fatica avrei medicato.

I miei occhi castani, al ricordo, rivelarono immediatamente un'inquietudine marcata, la stessa che mi scorreva nelle vene e che avrei avuto almeno finché non avessi lasciato l'Italia.

Stavo facendo la cosa giusta, tentai di persuadermi. Non sarei tornata indietro. Non l'avrei fatto... Non dovevo più ormai...

La monotonia della strada rettilinea e la mia andatura costante parvero cullarmi, per strapparmi a quell'assillo. La radio rimandava le note piacevoli di un brano di musica leggera e mi rilassai di più. Con le mani appoggiate al volante mi lasciai ondeggiare, abbandonandomi alla sua vibrazione e al rombo costante della velocità; sprofondata sul sedile della mia auto, quasi assopita. La stanchezza cominciava a farsi sentire, in maniera pressante e le mie palpebre si stavano facendo pericolosamente pesanti. Un senso di torpore mi avvolse e a fatica tentai di ricacciarlo indietro per continuare a tener d'occhio la strada che mi veniva incontro velocemente.

Ancora qualche chilometro soltanto qualche chilometro e avrei fatto una sosta, mi dissi per convincermi a restare vigile.

Cercai di distrarmi per non addormentarmi del tutto, sintonizzandomi su altre emittenti. La radio gracchiò passando da una stazione all'altra, crepitii continui, fino a quando un notiziario mi ravvivò all'improvviso...

"Ultimo aggiornamento sul gigantesco rogo che la settimana scorsa ha devastato il colorificio di..."

Una galleria interruppe momentaneamente la ricezione...

Maledizione!

Aumentai la velocità per poter uscire di nuovo all'aperto e seguire il resto della notizia. Con le ruote incollate sulla striscia gialla della mezzeria, pigiai più forte sul pedale dell'acceleratore. Le luci appese sulla volta del condotto mi scorsero rapide sulla testa e un turbinio di emozioni mi rimescolò l'anima.

"...impossibile identificare tutti i cadaveri con certezza, data l'esplosione che lo ha raso al suolo. Quello che è ormai sicuro è che non ci sono superstiti tra le otto persone che quella sera si trovavano al lavoro. Stando ai primi rilevamenti dei vigili del fuoco, sembra da escludere la natura dolosa dell'incendio, ma pare piuttosto ipotizzabile un corto circuito. I rilievi del caso sono, tuttavia, ancora in corso. Vi terremo aggiornati sulle novità nelle prossime ore..."

Un sibilo prolungato troncò di nuovo la trasmissione.

Respirai profondamente, con gli occhi appannati, provando a calmarmi. E ricacciai ogni pentimento nella parte più profonda di me stessa, perché vi restasse.

Tirai su col naso, asciugandolo con il dorso di una mano.

Non avevo avuto altra scelta... non, se volevo continuare a vivere. Non avrei potuto fare diversamente. Era l'unico modo per rendermi libera. L'unico!

Un'ombra oscurò il mio sguardo cupo e l'immagine devastante di quella notte mi passo davanti. Era successo tutto così in fretta. Pochi minuti; istanti...

Non dovevo pensarci!

Sapevo di dover proseguire nonostante il dolore per quello che era successo, o sarebbe stato tutto inutile.

E sapevo di essere sola, spaventata e vulnerabile. Avrei dovuto vivere nell'ombra. Straniera nella mia stessa vita. Fuggitiva. Terrorizzata che qualcuno potesse riconoscermi. Costretta a rimanere invisibile, a voltarmi dall'altra parte e a guardarmi le spalle...

Una lacrima si intrappolò nelle ciglia, ma non la lasciai sfogare. Puntai le mani sul volante e guardai davanti a me, annullando ogni emozione.

Dovevo pensare a me e basta ora.

La radio improvvisamente gracchiò più forte, scuotendomi del tutto da quei pensieri, per fermarsi a tratti sul bollettino meteorologico della zona. Erano previste piogge intense e nevicate sulle Alpi a quanto avevo inteso. Del resto eravamo quasi alla fine di ottobre. Periodo non sempre ottimale per viaggiare.

Forse era meglio fermarsi davvero, ragionai. Rischiavo di trovarmi in difficoltà e sarebbe stato peggio.

Con fatica mi concentrai a leggere le lettere bianche su fondo verde di un cartello segnaletico. Estrassi dal cassetto portaoggetti la cartina ed accesi la luce interna. Posai il foglio sul volante e con una rapida occhiata provai a localizzare la mia posizione.

Chatillon...

Sì... poteva andare, era sulla strada. Avrei proseguito per il traforo del Gran San Bernardo dopo una pausa.

Qualche chilometro più avanti rallentai e al casello uscii. Pagai il pedaggio e contai i contanti rimasti nel mio portafoglio.

Solo qualche centinaio di euro.

Non mi sarebbero bastati per molto. Non per varcare il confine... Non sarebbe stato facile andare avanti con quei pochi spiccioli...

Dannazione! imprecai col pensiero.

Avrei dovuto cambiare i miei piani... Dovevo fermarmi lì qualche tempo in più e trovarmi un'occupazione, anche se per poco, qualcosa che mi facesse racimolare qualche soldo.

Sarei ripartita il prima possibile comunque. Non potevo restare a lungo.

Non potevo...

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