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Cap 52

«Ragazzi, prendete il diario e segnatevi gli esercizi, per favore»

La professoressa mi tiene d'occhio. Ci sono stati i consigli di classe e so che hanno parlato di me. La "nuova arrivata", tutta timida, tutta carina, che improvvisamente sfocia in un attimo di ribellione.

Apro il diario e arrossisco. Qualcuno, alla pagina di oggi, ha messo un post-it. C'è scritto: sei ancora più bella quando sorridi. Perché non lo fai più spesso?

Mi guardo intorno. Mirko sta segnando i compiti e non mi degna di uno sguardo. Nessun'altro sembra far caso a me.

Passo il diario a Mirko e gli mostro il messaggio.

«Ha ragione», dice «indubbiamente ha ragione»

«Ma come ha fatto a entrare in classe? All'intervallo io non ho notato nessuno»

Mirko scoppia a ridere.

«All'intervallo eri troppo occupata a mettere la tua lingua dentro la bocca di Andres»

Avvampo.

In effetti non posso ribattere nulla. Ma tra la scuola e le prove di teatro, io e Andres abbiamo davvero poco tempo libero e approfittiamo di ogni minuto per saltarci addosso come due sciocchi.

Ormai non ne posso più di sentire il suo corpo addosso al mio senza essere sua. E' una dolce tortura.

Stacco il post-it e mi alzo per buttarlo nel cestino.

Quando mi risiedo, Mirko sussurra: «Stai gettando prove importanti. Hai paura della furia argentina?»

Sorrido.

«Un po'. E poi se fosse in questa classe, il mio ammiratore, vedrebbe che fine fanno i suoi tentativi di approccio»

«Bella mossa. Mi spiace deluderti, ma nessuno in questa classe ha quella calligrafia»

«E tu come lo sai, sei un investigatore, per caso?» sussurro.

«Mirko e Amanda la volete smettere? O avete già finito l'esercizio?», gracchia la professoressa.

Ci rimettiamo a scrivere. Ma non sono concentrata. Questa cosa dell'ammiratore segreto mi sta incuriosendo sempre di più.

Quando arrivo a casa, apro la cassetta della posta. Vuota. Quasi speravo, di ricevere un altro messaggio.

Metto le chiavi nella serratura per aprire, ma mi accorgo che non ce n'è bisogno.

Spingo la porta e sento profumo di sugo ai funghi e salsiccia. Ho l'acquolina in bocca.

«Mamma», esclamo «ma non dovevi essere al lavoro?»

Lei non mi risponde, ma ribatte solo: «C'era quello nella cassetta della posta. Per te»

Sul tavolo c'è un pacchetto e un altro bigliettino.

«Non lo apri?», mi incoraggia mia madre.

Poi appoggia il mestolo e abbassa la testa.

«Mamma, che hai?»

Respira forte, ma non risponde.

«Oh, Ami, sono stata una sciocca»

«Che è successo?»

«Non dovevo accettare quel lavoro... Non dovevo»

Inizia a singhiozzare.

Non so bene che fare, quindi mi avvicino e lei mi abbraccia.

«Ma che è successo?»

«Questa mattina mi hanno licenziata»

«Che cosa?», urlo.

«Il contratto non era ancora scaduto, ma a quanto pare possono farlo...»

«Ma per quale motivo?»

Mia madre si stringe nelle spalle. Ha gli occhi rossi. Deve aver già pianto tanto.

«Non me lo meritavo», sussurra.

«Sono sicura che ci sia lo zampino della madre di Mirko», esclamo «ed è solo colpa mia se ti trovi in questa situazione»

«Non dirlo neanche per scherzo», ribatte lei «tu non c'entri niente. Se non fosse stato per te, forse non avrei neanche avuto questo lavoro»

Ci sediamo in silenzio a mangiare, ma entrambe non abbiamo appetito.

Ripenso a mia madre quando era una manager e mi chiedo come sia possibile che la vita ci porti a essere così diversi da un momento all'altro. Tutto può cambiare. Un attimo sei sulla cresta dell'onda e l'attimo dopo stai strisciando per terra. La rivedo con i tacchi alti, le camicette sempre stirate, il rossetto sulle labbra. Anche dopo che papà la lasciò, non si perse d'animo e divenne ancora più combattiva. Ora mi sembra rannicchiata in se stessa, come se avesse perso la voglia di mettersi in gioco. Quel lavoro in fabbrica non le si addiceva, ma almeno era qualcosa.

«Ci deve essere qualcosa che puoi fare senza dipendere dagli altri», borbotto.

Mia madre non alza la testa dal piatto.

«Mi sento così impotente», dice «cosa penserai di me?»

Le prendo una mano.

«Penso che sei una donna forte. Che ti rialzerai di nuovo. Lo farai per me e per Eleonora. Lei vorrebbe così, mamma»

«Lo so», sussurra lei «lo so. Ma io non riesco ad andare avanti. Non so nemmeno più se sia stato giusto venire qui, scappare da tutto... Quanto sono stata egoista?»

«Hai fatto quello che ritenevi giusto per il mio bene e il tuo»

«Non ti ho permesso di danzare...»

«Riprenderò»

Mia madre mi guarda e non capisco se è paura o speranza quella scintilla che d'improvviso brilla nei suoi occhi.

«Sai che non pensavo davvero le cose che ho detto alla tua insegnante di teatro, vero?»

Annuisco.

Finiamo di mangiare, poi mi alzo a preparare il caffè.

Mia madre giocherella con il pacchettino ancora chiuso.

«Aprilo», le dico «qualsiasi cosa ci sia dentro, voglio che la veda anche tu»

Non se lo fa ripetere due volte: scarta il pacchetto e tiene tra le mani il contenuto come se fosse un piccolo talismano. E' un carillon di quelli a manovella, che vendono nelle città turistiche o nei mercatini dell'usato.

«Vediamo che musica ci fa sentire», dice mia madre e gira la manovella.

Le note de La Vie En Rose avvolgono la cucina.

E' una melodia struggente e malinconica, ma non posso fare a meno di pensare al volto di Edith Piaf, mentre la canta. Un sorriso incantevole. Come a dire che andrà tutto bene. Le mani sul cuore, per rassicurare se stessa e gli altri.

Mia mamma si asciuga una lacrima.

«Sarebbe bello essere a Parigi, adesso», sogna «ma con questa musica è un po' come averne un pezzo qui, in questo paesino tra le montagne. Trovo che questo tuo ammiratore abbia buon gusto»

Apro il bigliettino. C'è la traduzione di un pezzo di canzone e basta: Quando mi prende tra le sue braccia, mi parla a bassa voce. E vedo tutta la vita rosa.

«Non sarà che...», dice mia madre.

«Cosa?»

«Niente, una sciocchezza. Non ci pensare»

La guardo stupita, mentre si porta alle labbra la tazzina con il caffè.

Forse c'è qualcosa che non mi vuole dire. O forse tutto questo le ha fatto venire in mente nostro padre.

Sto per girare ancora una volta la manovella dell'organetto, per replicare la magia, quando bussano alla porta.

Vado ad aprire.

E' Mirko.

«Che vuoi?», chiedo, fredda.

«Solo parlare con tua madre. Mi dispiace tantissimo per quello che è successo. Mi vorrei scusare per il comportamento ignobile della mia famiglia»

Sospiro e lo lascio entrare. Sento che mia mamma gli offre il caffè.

Non ce l'ho con lui, ma non mi va di vederlo. Mi chiudo in camera e riascolto la melodia.

Ringrazio il mio ammiratore segreto, per questo piccolo diversivo. Senza volerlo, ha trasformato una giornata di merda in qualcosa di piacevole. Qualcosa a cui aggrapparsi mentre si scivola.

Penso ad Andres e sempre di più mi rendo conto che non deve sapere nulla di tutta questa storia.

A volte si omette di dire qualcosa per non ferire. Voi pensate che Amanda faccia bene a non parlare ad Andres del suo ammiratore?

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