Cap 3
«Davvero non riesco a credere che tu non ti sia ancora fatta delle amiche», borbotta la mamma, dando un'occhiata a un paio di pantaloni.
«Davvero non riesco a credere che tu non abbia trovato un lavoro!», ribatto, e alzo gli occhi al cielo. Ormai le nostre conversazioni sono tutte uguali e ci facciamo del male a vicenda. Siamo a Morbegno da un mese e niente sembra andare per il verso giusto.
«Sai che non è la stessa cosa», dice lei, entrando nel camerino «tu hai solo bisogno di un po' di buona volontà».
Sbuffo. Non è così semplice. Le ragazze sembrano inavvicinabili. Solo Mirko mi degna di qualche parola, a lezione, ma poi sfugge via di corsa sulla sua bicicletta, come se avesse paura di parlarmi un secondo di più.
Non sono riuscita a capire dove abiti, cosa faccia nel suo tempo libero e quali siano i suoi interessi. Non che mi importi così tanto, ma a volte la vita qui è così noiosa che uscirei con lui pur di non morire a far compere con mia madre. Che spende più soldi di quelli che abbiamo.
«Ehi, Ami, prova questo vestito, secondo me ti sta una favola», mi dice lei, allungando un abito rosso dal camerino.
«Tu non ci entri?», ribatto, stizzita.
«Una ventina di anni fa sì»
Sbuffo e tanto per far qualcosa mi provo l'abito. In effetti, con i capelli avvolti in una coda alta e un paio di tacchi coordinati, non starei neanche così male.
Mi guardo intorno e non posso fare a meno di pensare a quando non ero sola, a provare i vestiti. Mi mordo il labbro e cerco di scacciare le lacrime.
«Allora, come ti sta?», chiede mia madre, dall'altro camerino.
Tiro la tenda.
«Non male», rispondo, poco convinta, aspettando che lei esca per guardarmi.
Invece, con mio grande orrore, di fronte a me c'è Andres. Abbiamo occupato gli unici due camerini del negozio e adesso lui sta aspettando il suo turno per provarsi un paio di pantaloni.
Rimango imbambolata a fissarlo, e lui aggrotta la fronte, come se non mi avesse riconosciuto.
«Lo accorcerei un po', poi è perfetto», commenta e fa un sorrisetto furbo.
Tiro la tenda. Mi guardo allo specchio. Le mie guance sono dello stesso colore del vestito.
«Allora, posso vederlo o no?», gracchia mia madre, infilando la testa nel camerino.
«Mamma, parla piano», sussurro, imbarazzata.
«Che c'è, che ho detto?», chiede lei e si guarda intorno come se dovesse cercare una zanzara.
«Maledizione», mormoro, e mi sfilo il vestito.
«Lo prendiamo», sentenzia mia madre «ti aspetto all'uscita».
Mi cambio in fretta e sento che Andres fischietta, nell'altro camerino. Ho fatto di tutto, in questo mese, per non incrociarlo e adesso mi trovo in questa situazione assurda.
Quando tiro la tenda, anche lui esce, di scatto. Mi sorride ancora. Denti odiosamente perfetti. Ho sempre detestato i tipi come lui, così sicuri e senza difetti.
Si è tolto la maglietta ed è rimasto a torso nudo. Posso percepire il suo profumo, e per un attimo penso che devo essermi completamente bevuta il cervello.
«Come mi stanno i jeans?», chiede, e mi fa l'occhiolino.
Mi accorgo che sto fissando il cavallo dei suoi pantaloni e giro la testa dall'altra parte.
«Grazie, il tuo sguardo la dice lunga», scherza Andres. Lo strozzerei.
Tira la tenda e scompare di nuovo in camerino, senza neanche salutarmi.
Non ho detto una parola. Odio le persone che mi fanno questo effetto.
Esco dal negozio e mia madre mi guarda perplessa.
«Sembra che tu abbia visto un fantasma», commenta.
Il mio cellulare squilla. Ultimamente, l'unica persona a chiamarmi è Carol e non lo fa prima delle otto di sera. E' sempre molto impegnata, lei. Ha qualcosa che assomiglia a una vita, mica come me.
«Pronto?»
«Ciao Hello Kitty, sono Mirko»
«Che vuoi?»
«Uhm... Anche io sono contento di sentirti. Senti, devi assolutamente raggiungermi a scuola»
«Adesso?»
«Sì. C'è qualcosa che devi fare per me»
«Io? Perché io?»
«Perché credo tu sia la persona giusta. Lo penso dal primo momento in cui ti ho vista»
Accidenti. Per un mese non succede nulla e poi d'improvviso mi trovo a fissare i pettorali di Andres e Mirko ha bisogno di me.
«Okay, dammi cinque minuti», rispondo.
«Ti aspetto, baby».
Riattacco.
«Hai un appuntamento, finalmente!», esulta mia madre.
Cerco di non farle vedere che sono felice. Alzo le spalle e la saluto con un veloce abbraccio.
La guardo allontanarsi verso il nostro triste appartamento, sola e con le spalle un po' curve. Da quando abbiamo perso Ele, siamo entrambe più curve sui nostri passi. E non c'è giorno che questa tristezza non ci tormenti.
Mi manchi, Ele. Mi manca svegliarmi con te al mattino, litigare per il bagno, ridere di nulla. Mi manca prendere in giro la mamma, per i suoi capelli arruffati. Mi manca scambiarci i vestiti. Quello rosso ti starebbe benissimo. Mi manca tenere la tua mano prima di addormentarmi. E il senso di colpa per quello che è successo non mi lascia dormire.
Apro la porta della scuola e mi trovo davanti a Mirko, eccitato e saltellante.
«Vieni, tocca quasi a te», mi dice e mi trascina verso un'aula.
«Prima vuoi spiegarmi cosa diavolo stai architettando?»
«E' una sorpresa. Sono sicuro che ti piacerà»
Questa frase l'ho già sentita, una volta. E quello che è successo dopo, non mi è piaciuto per niente.
Eccoci al terzo capitolo! Spero vi stia piacendo! Lasciatemi un commento o una stellina e ditemi se siete curiosi di sapere cosa ha organizzato Mirko!
Grazie in anticipo
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