Cap 15
La professoressa mi guarda con aria arcigna. Sbatte sul banco il compito di matematica. Mi sporgo appena per vedere il voto, scritto in grande e in pennarello rosso: quattro. Sospiro. Ammiro il capolavoro di segni rossi in mezzo a numeri che sapevo di aver scritto senza senso. Sono due giorni che non riesco a dormire bene e la testa fluttua piacevolmente, lasciandomi indifferente anche ai brutti voti.
«Mi aspetto che chi ha preso un'insufficienza abbia voglia di recuperare», dice la professoressa.
Scarabocchio sul banco. Mirko ha preso sette.
«Vuoi venire a studiare da me?», chiede, premuroso.
«Okay», gli rispondo «ma domani, oggi non posso farcela»
«Almeno pranziamo insieme, dopo scuola. Sono due giorni che non dici una parola. Marie mi ha chiamato e...»
Lo fulmino con lo sguardo. Non ho alcuna intenzione di sentire parlare di Marie.
«Se vuoi pranziamo insieme, ma parliamo di qualsiasi cosa tranne che di teatro», lo avverto.
Mirko annuisce, e mi prende la mano da sotto il banco.
L'autunno ha travolto Morbegno e sta riempiendo di colori le montagne. Le foglie si staccano dagli alberi urlando il loro dolore e i rami dicono loro addio, vibrando al suono del vento. La gente ha tirato fuori dagli armadi sciarpe e cappellini e io sfoggio le mie Timberland rosa con noncuranza. Amo l'autunno, perché posso essere triste senza sentirmi fuori posto.
Entriamo in un bar dove secondo Mirko fanno le piadine più buone del mondo.
«Questa non può non tirarti su», dice, indicandomi una super piadina con mille ingredienti.
Non ho fame, ma accetto di ordinarla.
Il telefono squilla ancora. Maya e Marie mi stanno tormentando. Da quando ho detto loro che non andrò più al corso di teatro e non farò lo spettacolo, non mi stanno lasciando in pace un secondo. Sbuffo. Riattacco e metto in borsa il cellulare.
«Sicura che non vuoi parlarne?», chiede Mirko.
Alzo le spalle.
«Non c'è molto da dire»
«Amanda, ci sarebbe il mondo da dire, ma se tu non mi spieghi cosa sta succedendo io non posso aiutarti»
Arriva il cameriere con le piadine e mi toglie dall'impiccio. Ma so che la quiete sarà breve. Appena finiamo di mangiare, infatti, Mirko riprende a tormentarmi con le domande.
«Perché tua madre non vuole che balli?»
«Non mi va di parlarne, te l'ho già detto»
«E' qualcosa che riguarda la tua gemella?»
Sento raggelarmi il sangue.
«Chi ti ha parlato di Eleonora?»
Mirko serra le labbra.
«Mio padre. Tua mamma non fa che nominarla, anche al lavoro»
Abbasso lo sguardo.
«Lei era speciale, Mirko. Se tu l'avessi conosciuta, ti saresti innamorato di lei. Io sono la brutta copia»
Mirko spalanca gli occhi.
«Che cazzata stai dicendo? Ma ti vedi quanto sei splendida? Io non sopporto che ti butti giù così. Non puoi sprecare il tuo talento. Non puoi vivere senza...»
«Si può vivere senza tante cose», ribatto «si impara a vivere senza»
Mirko si alza per pagare il conto. Quando usciamo dal bar, l'aria è ancora più gelida.
«Devo andare a studiare per l'interrogazione di latino», mi informa Mirko «ti va di unirti a me?»
So che dovrei. Mirko è molto bravo, potrebbe darmi una mano.
«No, grazie», rispondo.
«Allora se vuoi rimango con te...»
Scuoto la testa.
«Non se ne parla», gli dico «e poi ho bisogno di rimanere da sola»
Mirko sospira e mi prende le braccia, poi mi abbraccia forte. Mi appoggio alla sua spalla e nascondo tutta la faccia in mezzo al suo petto. Inspiro il suo buonissimo profumo.
«Passerà, fatina», mi sussurra «e io sarò sempre qui».
Certe frasi arrivano al momento giusto, ma dalla persona sbagliata. Certi gesti li apprezzi fino in fondo solo se vengono dalla persona che ti fa davvero battere il cuore.
«Grazie, Mirko. Davvero. Non so cosa farei senza di te».
Mirko mi guarda un'ultima volta, poi mi dà un bacio sulle labbra e se ne va.
Mi avvio verso un parchetto vicino a casa. Fa troppo freddo, oggi, per cui non c'è nessun bambino. Mi siedo sull'altalena e inizio a dondolare, cercando di scrollarmi di dosso l'angoscia e i cattivi pensieri.
Chiudo gli occhi, ogni tanto, e faccio finta di saper volare.
Cullo la mia solitudine in questo parco giochi di desolazione.
Amanda, se continui così finirai depressa a sedici anni senza neanche rendertene conto. Mi viene da ridere. Amo quando mi capita di parlare a me stessa e prendermi in giro.
Nella mia testa si profila l'immagine di una vecchia cieca, seduta sulla panchina di fronte all'altalena. Sembra si sia persa. Un momento: apro gli occhi e mi do della stupida. Non è nella mia testa. Quella donna dall'aria smarrita c'è davvero, è proprio di fronte a me. Le foglie le cadono in testa e il vento le scompiglia i capelli bianchi. Salto giù dall'altalena e non posso credere ai miei occhi: è la vecchia cieca che stava con Andres. Mi avvicino a lei e chiedo: «Signora, tutto bene?»
Lei tende una mano nodosa e cerca la mia, poi dice: «Maya»
Prendo il cellulare e ignoro le trenta chiamate perse di Marie.
«Chiamo subito Maya», dico, allarmata «non si preoccupi, sarà presto a casa»
E mi perdo per un attimo in quelle pupille vitree e profonde, dove si vede il mondo, mentre a lei non è concesso di vedere nulla.
Dedicato a chi cerca di sconfiggere il proprio dolore e a chi ha ancora una nonna da poter abbracciare. Grazie per i vostri fantastici commenti.
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