Cap 11
Quando spalanco la porta di casa, trovo Mirko seduto amabilmente in salotto. Sta bevendo del succo di frutta e chiacchiera con mia madre. Lei mi fa un sorriso a trentadue denti.
«Ehi», dico, sorpresa.
«Amanda, ma questo tuo compagno di scuola è troppo simpatico! Ci ha invitate a cena dai suoi stasera. Che ne dici?»
Incenerisco Mirko con lo sguardo. Come si è permesso di intrufolarsi in questo modo in casa mia senza neanche avvertirmi?
«Scusa», mi precede lui «ho provato a chiamarti al cellulare ma non rispondevi e così...»
«Amanda, togliti quelle scarpe di fuori e cambiati i calzini, per favore. Ancora non hai imparato a tenere l'ombrello come si deve?»
No. Ho il brutto vizio di appoggiarmi l'asta dell'ombrello sulla spalla e dimenticarmi della pioggia. Sbuffo e vado a sedermi accanto a Mirko, mentre mia madre si dilegua in cucina.
«Cosa diavolo ci fai qui?», bisbiglio.
«Ti avrò mandato centomila messaggi! Perché sei sparita?»
«Avevo bisogno di stare un po' da sola. Cos'è questa storia della cena dai tuoi?»
«Sono giorni che gli parlo della nuova compagna e amica. Vorrebbero conoscerti. Mi hanno chiesto di farvi venire a cena. Ci sarà anche mio fratello e... Insomma, mi sembrava una cosa carina»
Abbassa lo sguardo. Non voglio deluderlo, in fondo lui è la prima persona che ha dato un senso alla mia noiosissima vita qui.
«Verremo», esclamo «verremo e ti ringrazio molto»
Mi guardo intorno. La nostra casa è piccolissima e pure un po' in disordine. Ci sono fogli di giornale con annunci sottolineati e mia mamma ficca i suoi dannati post-it ovunque. Mi sento a disagio, Mirko mi sorride e dice: «Simpatica tua mamma. Sono sicuro che vi troverete bene, stasera»
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Io e mia madre camminiamo a braccetto, seguendo le indicazioni del navigatore. Per arrivare alla casa di Mirko bisogna attraversare il fiume e camminare per un po' sulla statale. Mia madre non ha la macchina, quindi ce la dobbiamo fare tutta a piedi. Arriviamo di fronte a una casetta bianca, con un giardino all'inglese e un barboncino che ci accoglie scodinzolando.
«Jacky, vieni qui», grida Mirko, fermo sulla soglia. Ha una camicia bianca e un paio di jeans. I capelli sono tirati all'indietro e i suoi occhi azzurri risaltano ancora di più. Io ho indossato un altro vestito di Eleonora, blu, con il pizzo. Mia madre si è messa un paio di tacchi e dei pantaloni stretti. Ci fa entrare con un mezzo inchino.
La mamma di Mirko si asciuga le mani e viene a darci il benvenuto. Si alza pure il fratello di Mirko, che ha i suoi stessi occhi ed è solo un po' più alto.
«Piacere Amanda, sono Stefano», mi dice «ho sentito molto parlare di te»
«Piacere mio», bofonchio. Quando sento troppa formalità, mi pare di essere un pinguino impacciato.
Il padre di Mirko si presenta in giacca e cravatta. «Scusate per l'abito», dice «sono appena arrivato da una riunione di lavoro»
«Ci mancherebbe», civetta mia madre. Io e lei ci guardiamo. Proviamo la stessa sensazione di disagio, ma nessuna delle due riesce a spiegarsi il motivo. Poi, quando sediamo a tavola, inizio a focalizzare meglio la situazione. Siamo incastrate in quella che sembra la famiglia della Mulino Bianco. Due figli, un padre e una madre. Pure il cagnolino. E noi non c'entriamo assolutamente niente. Siamo due pezzi ammaccati di una storia finita. Due orbite impazzite in uno spazio che non governiamo più. E per quanto queste persone possano essere gentili con noi, non capiranno mai cosa stiamo provando.
«Allora, Amanda, raccontaci un po'. Ti trovi bene a scuola?», chiede il padre di Mirko.
«Sì, molto», dico, cercando di avvolgere gli spaghetti sulla forchetta.
«Che cosa vuoi fare dopo il liceo?», chiede Stefano.
«Ancora non lo so», rispondo.
«Stefano si è iscritto ad architettura», dice orgogliosa la mamma di Mirko.
«E anche Mirko farà la stessa fine», scherza Stefano.
«Puoi anche scordartelo», ribatte Mirko e tutti ridiamo. E appena finisco di ridere e guardo la tovaglia bianca su cui poggiano pane e forchette, mi sento ancora fuori posto. Cosa ci facciamo io e mia madre lì?
«Lei di cosa si occupa?», chiede il padre di Mirko a mia madre.
«Sono disoccupata», risponde lei senza esitare «sto cercando lavoro, ma non è facile»
Manager. Mia madre era un'ottima manager per artisti. Ballerine, soprattutto. Era la migliore nel creare piccoli grandi talenti. Ci sapeva davvero fare. Poi il nostro mondo è crollato un giorno come un altro, una sera, per colpa mia.
«Mio padre ha un'azienda tessile »si affretta a dire Mirko «forse, papà, potresti darle una mano...»
Cala il silenzio. Non so se sia più imbarazzato il padre di Mirko o mia madre. Trattengo il fiato. Mia madre in una fabbrica. D'altronde, qualcosa dovrà pur fare, prima o poi. Continuare a ingollare antidepressivi e fingere di cercare lavoro dal divano del salotto, non le fa molto bene.
«Ma certo. Non so però se è il genere della signora...», dice in tono cauto il padre di Mirko.
«Il mio genere ultimamente è: prendi quello che ti viene offerto. Ma non si deve disturbare, signor Carocci»
«Nessun disturbo», ribatte lui.
La madre di Mirko si pulisce la bocca con il tovagliolo e poi esclama: «Ho fatto una torta gelato che dovete assolutamente assaggiare!»
Dopo il dessert, Mirko ed io saliamo in camera sua. E' piuttosto spoglia e molto ordinata. Non ci sono poster alle pareti, ma solo un quadro dove è raffigurata una barca a vela sul mare.
«E così sei riuscito a trovare lavoro a mia madre», commento e mi accorgo che la voce è venuta fuori quasi sprezzante.
«Se c'è qualcosa che posso fare per te, per voi, Amanda, la faccio volentieri»
Mi siedo sul suo letto e accarezzo il morbido piumone.
«E' tutto così accogliente qui», sussurro.
«Anche casa tua lo è», mi assicura Mirko. Siede vicino a me e mi sfiora i capelli con una mano.
«E' successo tutto così in fretta, l'altra sera», mormora «so che sei rimasta turbata. Ma io non faccio che pensare al nostro bacio, Amanda»
Resto zitta. Non so che dire. La coperta sa di lui. Avrei voglia di addormentarmi lì e non pensare più a niente.
Mi lascio andare con la testa sul suo cuscino e gli sorrido.
«Ho capito, non ne vuoi parlare», dice e inizia a farmi il solletico. Ci mettiamo a ridere e dopo un attimo finiamo uno sopra l'altra, la sua bocca a due millimetri dalla mia.
Sposto lo sguardo.
«Amanda...», sussurra Mirko. Ho voglia di baciarlo. Cosa mi prende? Il suo respiro affonda nel mio. Rimaniamo lì a fissarci e questa volta non sono ubriaca. Ci baciamo ancora, con la stessa dolcezza della prima volta. Sento il sapore di gelato alla meringa e fragole. Gli passo una mano sul collo e lui spinge la sua lingua dentro la mia bocca.
Affonda il viso tra i miei capelli e le nostre mani si intrecciano.
«Tu sei il posto più accogliente che conosca», dice.
Non rispondo nulla. Guardo fuori dalla finestra. Laluna è quasi piena, adesso. Mentre stringo Mirko tra le mie braccia, un paio diocchi scuri si insinuano tra i miei pensieri. Anche nel mio cuore, ci sono mille strade. Quella più silenziosa, che sto cercando di scacciare, porta ad Andres. E io non posso farci nulla.
Amanda cosa combini? Dove ti porta il tuo cuore? Voi cosa ne pensate? Lasciatemi un commento!
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