CAPITOLO 5 - MOJITO
Rivide Tōru dopo tre giorni. Non sapeva se fosse stato lontano dal Shiratori o semplicemente si fosse rintanato nelle sue stanze. Aveva portato su la busta con l'incasso ogni sera senza mai incontrarlo; ormai era diventata tacitamente una sua incombenza dal momento che non aveva più restituito ad Asahi la chiave, e l'altro barman era ben contento di poter andare a casa non appena terminato di riordinare, a prescindere che il suo ragazzo fosse o meno in città.
Quella sera Tōru si avvicinò al bancone e lo salutò sorridendo come aveva sempre fatto.
"Ciao, Iwa-chan. Tutto bene?" si sporse appoggiandosi sui gomiti per farsi sentire, anche se probabilmente non sarebbe stato necessario.
"Sì Oikawa-san, tutto bene. E tu?" domandò con cortesia.
"Alla grande!" rispose alzando gli occhi al cielo stellato sopra le loro teste. "Non potrebbe andare meglio di così! A proposito... me lo faresti un altro Mojito?" il suo sorriso era ampio e scintillante, gli occhi brillavano attenti e bellissimi sopra a due gote così rosse che Hajime si chiese se le avesse accentuate volutamente con un po' di fard.
Si rese conto in un istante di quanto fosse sbagliata la sua prima impressione. Non lo stava salutando come aveva sempre fatto. Quello non era il solito Tōru. Sembrava eccessivo, esageratamente marcato, come una bozza a matita ripassata a china con un pennino troppo grosso.
Sperava di sbagliarsi, perché la sua richiesta di preparargli un Mojito dopo quello che si erano detti, sembrava una sorta di ripensamento. Come se volesse fare marcia indietro, ripristinare la distanza che quel momento in riva al fiume aveva sicuramente accorciato. Come se volesse ricordargli che lui era il ragazzo del capo, quello che amava le feste e la musica e che era felice in quella gabbia di vetro.
Fu grato alla sua memoria muscolare che gli consentì di preparare il drink in tempo record senza davvero prestare attenzione a quanto stava facendo. Tōru, invece, seguiva attento ogni suo movimento, come ipnotizzato dalle sue mani mentre rompeva il ghiaccio nel pestello, il sorriso che non lasciava mai le sue labbra ma che si teneva ben lontano dagli occhi.
"Grazie Iwa-chan. Buona serata!" gli disse infine, recuperando il suo bicchiere e allontanandosi ondeggiando su un paio di stivaletti dal tacco quadrato che lo rendevano ancora più alto.
Iwaizumi andò avanti per l'intera serata a preparare drink e a rispondere educatamente ai clienti, così come a respingere altrettanto educatamente diverse avances più o meno velate ricevute da uomini e donne in egual misura.
E quest'ultimo fatto gli diede conferma di quanto disperata fosse la sua situazione.
Era sempre stato consapevole del fascino che esercitava, sia perché era oggettivamente un bel ragazzo, con i suoi capelli corvini e gli occhi verdi che venivano messi in risalto dalle luci dei led sopra al bancone, sia per la sua gestualità sicura e determinata, quando preparava un drink o agitava uno shaker. Ne aveva approfittato, in passato; talvolta era uscito con alcuni clienti dopo la chiusura, ma non si era mai spinto al secondo appuntamento con nessuno. C'erano stati anche episodi di puro e semplice sesso, dichiarati sin dal principio e soddisfacenti per entrambi; era sicuramente più semplice così, senza troppe implicazioni e nessun rischio di affezionarsi per poi trovarsi di nuovo solo.
Ma il fatto che adesso fosse addirittura infastidito da quelle attenzioni, la diceva lunga su quanto la sua ossessione per Tōru stesse diventando malsana e pericolosa.
Cercava di non pensarci, perché aveva già capito che l'unica soluzione sarebbe stata licenziarsi, andarsene, ma davvero quel lavoro gli piaceva. Si divertiva, veniva pagato bene, e non avrebbe mai voluto rinunciare.
Si costrinse a essere onesto con sé stesso. A chi la stava raccontando? Avrebbe potuto trovare un altro lavoro come barman con facilità, dopo aver messo il Shiratori sul curriculum. La verità era che non sarebbe mai stato in grado di andarsene e allontanarsi da Tōru, anche a costo di soffrire come un cane a guardarlo ogni notte senza poterlo avere.
L'atteggiamento di Oikawa, ad ogni modo, sembrava voler tornare a un distacco educato e cortese; forse sarebbe riuscito a tenere a bada istinti e sentimenti.
Fu perciò assolutamente sorpreso quando entrò nell'appartamento di Ushijima e trovò Tōru sul divano come la volta precedente.
"Iwa-chan, vieni. Ti aspettavo." il suo tono era mesto, il volto cupo. Il libro giaceva posato sul tavolino con sopra gli occhiali. Non stava leggendo, lo stava davvero aspettando.
Dopo un attimo di esitazione, posò la busta sul tavolo e si avvicinò lentamente.
Oikawa si alzò dal divano e fece un passo nella sua direzione. Indossava pantaloni e t-shirt bianchi e sembrava un angelo, un angelo disperato, con quello sguardo smarrito nel volto pallido e tirato, e le labbra tremanti.
Quando ormai fu vicino, non riuscì più a trattenere le lacrime.
Appoggiò la fronte alla sua spalla e strinse i pugni al petto, la schiena scossa dai singhiozzi. Scuoteva lentamente la testa, evidentemente confuso lui per primo su cosa volesse da Hajime.
Iwaizumi restò per un attimo spiazzato, incapace di capire cosa fosse successo e soprattutto quale sarebbe stata la cosa giusta da fare. Ma davanti a quelle lacrime, a quel disperato abbandono, non poté fare altro che circondarlo con le braccia e tracciare piccoli cerchi sulla sua schiena col palmo delle mani in attesa che si calmasse.
"Non ce la faccio..." disse finalmente quando i singhiozzi si furono calmati "Non ci riesco più, ed è tutta colpa tua!"
Iwaizumi si pietrificò. Lo allontanò dal suo corpo con delicatezza.
"Che cosa è successo, Tōru? Che cosa è colpa mia?"
"Tutto! È tutta colpa tua!" le lacrime che ancora colavano fin sul mento.
"Dov'è Ushijima?" chiese, improvvisamente nel panico.
Perché nella sua testa si stavano già delineando gli scenari peggiori possibili; magari nell'appartamento c'erano delle telecamere nascoste e Ushijima aveva ascoltato la loro discussione della settimana precedente. O peggio, aveva scoperto che Hajime aveva guardato Tōru che dormiva. O ancora...
"A Okinawa, con Tendō. Torna tra tre giorni." rispose piano Tōru, mentre tirava su col naso.
"Ma adesso cosa c'entra?" chiese poi, un po' più calmo, mentre fissava Hajime asciugandosi nervosamente le lacrime dalle guance. Prese un fazzoletto dalla scatola sopra al tavolino e si soffiò sonoramente il naso.
"Allora spiegami con calma che cosa è successo. Cosa è colpa mia?" chiese ancora Hajime, anche lui più sereno all'idea che quantomeno Ushijima non avesse nulla a che fare con la crisi di Oikawa.
"Questo è colpa tua..." disse Tōru, indicando sé stesso con un movimento disordinato delle mani "il fatto che non so più chi sono, che non so più cosa voglio..."
Hajime restò pietrificato da quella ammissione. Non si aspettava certo una crisi di quel calibro, anzi, a dire la verità, dopo il distacco degli ultimi giorni e il Mojito di qualche ora prima, non si aspettava proprio più niente da Tōru.
"Tutto per colpa di un Mojito?" gli chiese infatti, cercando di sdrammatizzare, mentre lo sospingeva delicatamente a sedere sul divano e si accomodava accanto a lui.
"Se vuoi scendo a prenderti uno Yamazaki..." continuò, dopo aver visto che Oikawa finalmente sorrideva tra le lacrime.
Tōru si accoccolò nell'angolo, tirando le gambe al petto e abbracciandole. Posò il mento sulle ginocchia e restò per un po' a fissarlo con la testa inclinata e un leggero sorriso sulle labbra, mesto e triste ma vero e sincero.
"Scusami, Iwa-chan. Mi sono lasciato trasportare. Sei arrivato proprio quando stavo facendo delle riflessioni importanti."
"Ne vuoi parlare? Hai detto che è colpa mia... Vuoi spiegarmi?"
In tutta risposta Tōru si alzò e si avvicinò a un mobiletto di mogano. Lo aprì ed estrasse due bicchieri e una bottiglia di Yamazaki 18YO ancora sigillata. Da un cassetto prese del ghiaccio e ne pose due cubetti in ogni bicchiere; quindi, versò il whisky e tornò al divano porgendogliene uno.
"Vediamo se hai ragione anche su questo..." disse, mentre si sedeva di nuovo con le gambe raccolte sotto al corpo.
Hajime era assolutamente sorpreso dalla piega che avevano preso gli eventi, e non poté fare altro che sorseggiare il suo whisky lasciando che fosse ancora Oikawa a condurre i giochi.
Il liquido forte e deciso gli bruciò la gola e scese diretto nello stomaco per esplodere come una reazione nucleare. Dopo un istante, riuscì finalmente a sentire le note aromatiche e particolari dello Yamazaki invecchiato diciotto anni.
Oikawa lo guardava senza ancora assaggiare il suo whisky. Aspettava di avere l'attenzione di Hajime e quando quegli occhi verdi si posarono sui suoi di cioccolato, li chiuse e portò il whisky alle labbra. Ne prese un piccolo sorso e lo fece rotolare in bocca con calma prima di deglutirlo.
Fece quindi schioccare la lingua, intanto che il calore lo attraversava e imporporava le sue guance, attribuendo finalmente un colorito più sano a quel delicato pallore tipico di chi passa le giornate a dormire e le nottate a ballare.
Oikawa riaprì gli occhi e lo trafisse con uno sguardo serio e penetrante.
"Vedi? Lo dicevo..." ripeté ancora con voce pacata "E allora dimmi tu cosa devo fare..."
Hajime ebbe un tuffo in mezzo allo stomaco, e il cuore prese a picchiare furioso contro lo sterno.
Stava cominciando a capire cosa intendesse Tōru nel suo delirio. Non sapeva se fosse stata la corsa in moto, o le parole sull'argine dell'Arakawa, o semplicemente la somma di tutti gli eventi, ma era chiaro che Tōru ne fosse rimasto destabilizzato, e chiedeva a lui di rimettere a posto le cose.
O, forse, gli stava chiedendo invece di scombinarle definitivamente?
Il panico si impossessò di lui in un istante.
Hajime stesso era dilaniato tra due istinti che sentiva nel profondo delle sue viscere, e che portavano in due direzioni completamente opposte. Perché, se il bisogno di amare Tōru e di vivere finalmente quell'amore era potente e viscerale, in lui era ancora presente l'istinto primario di sopravvivenza, quello che lo aveva condotto indenne fino a quel momento schivando tutte le trappole della vita, e che gli intimava di rifuggire qualunque coinvolgimento con chiunque.
Aveva bisogno di riflettere, doveva quantomeno prendere tempo.
"Non posso essere io a dirti cosa fare, Tōru." mormorò "So così poco di te e della tua situazione..."
"Mi conosci molto più di quello che credi, Iwa-chan. Ad esempio, questo" alzò il bicchiere "lo sapevi..."
"Psicologia spiccia" minimizzò "un trucchetto da barman che ti insegnano alla seconda lezione."
"Te lo ha insegnato tua madre?" chiese Tōru con estrema dolcezza.
"Sì, l'ho imparato da lei" rispose alla domanda "ma non me lo ha proprio insegnato. L'ho osservata tanto e ho imparato a fare quello che faceva lei, a guardare le persone con attenzione, a fare deduzioni dalle piccole cose, dai movimenti del corpo, dalle mani, dalle microespressioni... è poi un caso che ci sia spesso una corrispondenza con quello che bevono, ma non è infallibile."
"Però è vero, il diciotto anni mi piace forse più del dodici." confermò sorridendo ancora.
Si era calmato, la crisi sembrava superata, ed erano tornati a parlare per metafore e allusioni alcoliche.
"E questo, cosa dice di me?" lo provocò infatti.
Il suo sorriso era tornato luminoso e provocante, e Hajime non sapeva se esserne contento o spaventato.
Restò per un lungo istante a guardarlo, appoggiato con un braccio allo schienale del divano e il corpo rivolto verso di lui, attratto dalla sua persona come la luna dalla terra. E non riusciva proprio a sottrarsi a quell'attrazione. Si rese conto in un istante che non poteva e non voleva. Proprio come la terra con la luna, Tōru lo stabilizzava, gli dava uno scopo a cui non riusciva più a rinunciare.
La consapevolezza piombò su di lui come un pugno nello stomaco, e allo stesso modo gli tolse il respiro.
Non c'era più motivo, ormai, per fare finta di niente. Era un bisogno totale e viscerale quello che sentiva, e che coinvolgeva il corpo e lo spirito. E quel bisogno era diventato forte, ogni giorno di più, così forte da contrastare anche l'istinto di sopravvivenza. Aveva bisogno di Tōru per trovare il suo equilibrio, per dare alla sua vita una direzione, smettendo di andare alla deriva come aveva fatto fino a quel momento.
Per la prima volta nella sua vita vuota e solitaria, si rese conto di essere davvero disposto a mettersi in gioco, a rischiare il tutto per tutto.
E Tōru stesso gli stava chiedendo aiuto in tutti i modi possibili; forse non ne era del tutto cosciente, ma il suo bisogno di sfogarsi con lui, la sua preghiera di sbloccare la situazione, erano sicuramente segnali forti e inequivocabili.
Si decise quindi a rispondere alla sua domanda.
"Dice che non sei felice, ma che vorresti esserlo. Ci avevi rinunciato, alla felicità, ma adesso non sei più convinto delle tue scelte, e sei dilaniato da quelle che devi ancora fare. Eppure, dentro di te sai quello che vuoi, lo sai da sempre. Non hai cambiato il tuo modo di pensare."
Fece una pausa prima di continuare.
"La storia di Achille e Patroclo" indicò il libro lì accanto "ti attirava anche prima. Solo che adesso non ti vuoi limitare a leggerla. Tu vuoi viverla."
Deglutì, prese un lungo respiro e aggiunse "Tu vuoi essere Achille."
Oikawa lo fissava, gli occhi sgranati inondati di lacrime e un lieve tremore che scuoteva la sua mano e faceva tintinnare i cubetti di ghiaccio.
Il suono catturò l'attenzione di Hajime, che osò forse più di quanto avrebbe dovuto.
Ma quegli occhi smarriti lo stavano implorando di aiutarlo; Tōru era in bilico, dilaniato da una scelta che avrebbe cambiato in ogni caso la sua vita, ed era chiaro ad entrambi che nulla sarebbe mai più stato come prima. E Hajime decise di dargli un'ultima spinta, di sconvolgere per sempre la sua realtà, così da potersi eventualmente accollare lui tutta la colpa nel caso le cose fossero andate male, come con buona probabilità sarebbe successo.
"I cubetti di ghiaccio sono già diventati due." gli disse "Tu hai già scelto. Solo che ancora non lo sai."
Oikawa chiuse gli occhi e portò ancora il bicchiere alle labbra mentre le lacrime colavano piano sulle gote arrossate. Rifletteva sulle ultime parole di Hajime mentre sorseggiava il whisky, il cervello che viaggiava a velocità vertiginosa.
Forse era davvero psicologia spiccia, e lui stesso un libro aperto così facile da leggere a un occhio attento (ringraziò mentalmente che l'occhio di Ushijima non lo fosse), ma l'analisi di Hajime era azzeccata e inclemente.
Non sapeva dire in tutta sincerità se davvero avesse già scelto, ma era del tutto consapevole che a mettere in moto quel meccanismo che adesso lo devastava, era stato Hajime. Lui, che era arrivato senza avvisare e gli aveva sconvolto le abitudini e minato le sicurezze, con quel suo modo di fare asciutto e distante, che lo aveva incuriosito come nessuno nella sua corte era mai riuscito a fare, forse proprio perché aveva rifiutato a priori di farne parte.
Si era approcciato con rispetto, ignorando il suo passato (per caso o per intenzione) e lo aveva attratto con poche parole più che col fisico, per la prima volta nella sua arida vita incentrata solo sull'apparenza e sulla forma. E poi lo aveva lentamente ammaliato, con la sua sensibilità e la sua profondità, che cercava di tenere nascoste, non gli era ancora chiaro se per pudore o per non scoprire il fianco alla vita.
E si era reso conto, Tōru, che avrebbe voluto conoscerlo a fondo, avrebbe voluto capirlo, scoprire tutti i suoi lati nascosti, le sue vulnerabilità, la sua dolcezza che spesso intravedeva sotto alla scorza dura dietro a cui si nascondeva.
"Ti lascio alle tue riflessioni, Tōru." Hajime lo riscosse dai suoi pensieri, e quando aprì gli occhi lo trovò già in piedi, il bicchiere vuoto appoggiato sul tavolino lì accanto.
Si alzò a sua volta posando il bicchiere e restò per un attimo indeciso su cosa fare.
Hajime lo guardava, il suo volto era sereno, lo sguardo assennato e consapevole di chi ha già detto quello che doveva dire.
Oikawa si avvicinò di un passo, gli occhi catturati da quel sottobosco muschiato.
Per un istante pensò di cedere all'impulso di baciarlo, di indugiare sulle sue labbra che lo Yamazaki aveva sicuramente reso uguali alle sue, calde e formicolanti.
E poi fece un passo indietro, consapevole che negli ultimi minuti era cambiato, ma non sapeva davvero in che modo, e qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe avuto delle conseguenze importanti che non era ancora pronto a gestire.
"Buonanotte Tōru." Hajime lesse il suo turbamento e aumentò di un passo la distanza tra di loro. Aveva dovuto fare violenza contro tutto quello che il suo corpo e il suo cuore desideravano in quel momento. Ma il suo cervello gli confermò che stava facendo la scelta giusta.
Tōru si rimise seduto sul divano e lo guardò allontanarsi. Anche questa volta, Hajime non si voltò.
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