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CAPITOLO 4 - RED SUNSET

Erano ormai due giorni che conviveva con un groviglio lacerante in mezzo al petto, un dolore caldo e pulsante che non lo abbandonava mai, e che gli rendeva difficile perfino rispondere alle domande di Asahi o dei clienti.

Nella sua testa continuava a rivivere la discussione con Tōru, maledicendosi per le sue domande importune e le sue osservazioni crudeli. Non aveva nessun diritto di dirgli quelle cose, anche perché davvero non conosceva la sua situazione né le chiacchiere che giravano su di lui.

Inevitabilmente era stato punito per la sua impulsività: Tōru era corso subito tra le braccia di Ushijima, come lui aveva ben potuto sentire.

Probabilmente lo odiava, e Hajime si sforzò di convincersi che alla fine fosse davvero meglio così.

Oikawa gliene diede prova presentandosi al bancone dalla parte di Asahi a metà della serata, senza degnare Hajime di uno sguardo. Prese il suo whisky e lo buttò giù tutto d'un fiato direttamente al bar. Si allontanò quindi con passo deciso verso la pista da ballo soprelevata accanto alla scala centrale.

Quando arrivò in mezzo alla pista cominciò a muoversi lentamente, seguendo la musica con tutto il corpo; i suoi fianchi si muovevano sinuosi mentre teneva gli occhi chiusi e ondeggiava leggermente la testa seguendo il ritmo ipnotico e martellante della musica. Sembrava del tutto ignaro della gente attorno a lui, degli occhi sgranati, taluni famelici, altri semplicemente ammirati, che non riuscivano a staccarsi dalla sua figura.

Hajime restò a fissarlo senza riuscire a muovere un muscolo. Era la prima volta che lo vedeva ballare. Era la prima volta che Tōru ballava sulla pista rialzata, di solito stava in quella centrale sempre attorniato dalla folla e non era mai riuscito a vederlo.

Era uno spettacolo a dir poco incredibile, le luci strobo pulsavano al ritmo dei bassi creando una sequenza di istantanee che gli restavano impresse nella retina una dopo l'altra.

Quando il ragazzo davanti al bancone gli chiese per la terza volta una Caipirinha, Hajime tornò in sé, e quasi non si accorse della figura elegante che si era avvicinata a Tōru.

Ushijima lo cinse per la vita e Tōru gli allacciò le braccia al collo e avvicinò il viso al suo orecchio.

Dopo un istante, Ushijima lo prese per mano e Tōru lo seguì su per le scale e poi dentro alla porta del loro appartamento.


⋆⊱❤⊰⋆


Mancavano un paio d'ore all'apertura del locale, ma Hajime si era accordato con Asahi per vedersi un po' prima e provare insieme una variante al Red Sunset che gli era stata chiesta la sera precedente.

Entrò lentamente nel parcheggio sotterraneo, il rombo del motore che riecheggiava in mezzo alle colonne di cemento. Rallentò quando si accorse che il Mercedes di Tendō era parcheggiato al solito posto con il cofano aperto. Satori parlava concitato al telefono, mentre camminava avanti e indietro nervoso, tormentandosi senza sosta la criniera infuocata.

Oikawa era appoggiato alla portiera chiusa, le lunghe gambe incrociate davanti a sé e l'attenzione rivolta allo schermo del suo cellulare. Indossava alla perfezione uno smoking nero dal taglio classico e i risvolti lucidi. Ma al posto della camicia si poteva scorgere un lembo di stoffa dorata che luccicava sommessa ai neon del parcheggio.

Hajime si avvicinò, spense il motore senza scendere dalla sella e sollevò la visiera del casco.

"Qualche problema?" chiese a Tōru mentre Satori ancora sbraitava gesticolando furiosamente.

Oikawa alzò lo sguardo nella sua direzione. Per quanto Tendō stesse gridando, era impossibile che non avesse sentito la moto avvicinarsi. Evidentemente era ancora arrabbiato, e certo Hajime non poteva dargli torto.

"Non vuole partire." rispose asciutto, con un cenno della testa a indicare il cofano aperto.

Satori riagganciò e li raggiunse.

"Ciao Iwaizumi-san. Non è che conosci un meccanico disposto a uscire nel giro di cinque minuti? Posso pagare qualunque cifra." il volto di Satori era paonazzo, come se il colore dei suoi capelli si fosse sciolto e gli fosse colato fino al collo.

"No, mi dispiace."

"Perfetto. Wakatoshi mi ucciderà se non porto Tōru al Neko* prima che inizi la festa. Temo proprio che dovremo chiamare un taxi." concluse abbacchiato, come se scendere al livello dei comuni mortali fosse davvero l'ultima delle possibilità.

Oikawa continuava a scorrere il dito sul cellulare, incurante del dialogo tra Hajime e Satori. Incurante del fatto che si facesse riferimento a lui come "qualcosa da portare". Incurante che la sua vita fosse decisa e gestita da qualcun altro.

"Posso accompagnarlo io con la moto." si sentì dire Hajime, calcando impercettibilmente sul verbo.

Tōru sollevò nuovamente lo sguardo e lo fissò sbalordito. Hajime stesso era stupito dalla sua offerta, così come dalla sua rivendicazione della dignità di Oikawa; non sapeva cosa gli fosse passato per la testa e temeva che Tendō si sarebbe infuriato per l'impudenza.

"Giusto! Ottimo! Direi che è un'idea fantastica." rispose invece, illuminandosi in viso; non aveva colto la puntualizzazione, forse troppo sollevato all'idea di non dover spiegare al suo capo il perché di quel ritardo.

Hajime scese dalla moto e recuperò da sotto la sella il secondo casco, un Jet nero lucido, che porse a Tōru.

Oikawa prese un profondo respiro, ripose il cellulare nella tasca interna della giacca e strappò bruscamente il casco dalle mani di Hajime.

"Sai dov'è il Neko?" chiese Tendō.

"Sì, ci sono stato una volta." rispose Hajime.

"Ottimo. Allora dico ad Asahi che farai tardi, tanto ad inizio serata se la può cavare anche da solo."

Si avvicinò di un passo e fissò Hajime dritto negli occhi "Vai piano, mi raccomando. Avviso Wakatoshi che state arrivando."

Hajime annuì mentre un brivido si arrampicava lungo la spina dorsale, una vertebra dopo l'altra.

Non sapeva se la frase di Tendō nascondesse una qualche velata minaccia, o se invece la sua agitazione fosse dovuta al senso di panico che lo stava avviluppando.

Panico, e aspettativa, e ansia, ed euforia, in un cocktail così incredibilmente forte da averlo già stordito senza che lo avesse nemmeno assaggiato.

Oikawa salì in sella dietro di lui, si aggrappò alle maniglie laterali e mise i piedi sui pedalini. Le sue gambe erano così lunghe che aderivano completamente a quelle di Hajime nonostante si fosse tirato indietro il più possibile sulla sella.

Hajime partì piano. Invertì la marcia attorno a una colonna e risalì la rampa.

Cercava di tenere una guida morbida, perché era del tutto consapevole del corpo alto e slanciato di Tōru dietro di lui, che avanzava ad ogni frenata e veniva sospinto indietro ogni volta che accelerava. La moto da strada è decisamente scomoda per il passeggero, soprattutto se è alto, e richiede un enorme sforzo di addominali per restare in sella, specialmente tenendosi solo alle maniglie come stava facendo Tōru.

La strada verso Edogawa, il quartiere dove si trovava il Neko, era trafficata a quell'ora della sera, il percorso rallentato dai numerosi semafori che si incontravano attraversando il centro di Tokyo.

Quando furono all'altezza del Kitanomaru National Garden, gli addominali di Tōru diedero evidentemente forfait, perché all'ennesima frenata si accasciò contro la schiena di Hajime.

Fermatosi al rosso, Hajime alzò la visiera.

"Tutto ok?" chiese voltandosi un po'.

"Sì. Tutto ok." rispose asciutto.

"Attaccati a me, Tōru, vorrei evitare di voltarmi al prossimo semaforo e non trovarti."

"Sono a posto così. Grazie."

Come poteva essere così orgoglioso su una cosa così stupida e al contempo importante per la sua sicurezza, Hajime non riusciva proprio a capirlo. Così, quando scattò il verde, chiuse la visiera e diede subito gas ripartendo a tutta velocità.

Come previsto Tōru fu sbalzato indietro, e dovette arrendersi allacciando finalmente le braccia attorno al torace di Hajime.

Protetto dalla visiera oscurata, si concesse un largo sorriso. Era più sicuro così, quello era assodato, ma le braccia di Tōru allacciate al suo corpo gli avevano dato una scarica di adrenalina che aveva poco a che fare con la velocità elevata a cui stava andando.

Tōru comunque teneva le dita appena intrecciate e cercava di restare il più possibile distaccato dalla sua schiena. Ma lentamente si sciolse, e dopo un po' lo sentì appoggiarsi con tutto il torace.

Al semaforo successivo, Hajime sbirciò nello specchietto e vide che Oikawa sorrideva. Teneva gli occhi chiusi, la guancia appoggiata alla base del suo collo e lo stringeva con le braccia come un koala aggrappato alla sua pianta di eucalipto.

Si concesse di abbassare lo sguardo. Le mani di Tōru erano entrambe appoggiate al suo addome, una sotto l'altra, e aderivano alla perfezione al suo giubbotto; le sue lunghe dita affusolate spiccavano candide sulla pelle nera, un contrasto che gli accelerò il battito, e dovete prendere un lungo respiro per calmarlo.

Ripartì al verde, e in un attimo stavano attraversando l'Arakawa Bridge; mancavano ormai pochi minuti alla loro destinazione.

Ancora una volta guidato dall'istinto, e forse da un malsano spirito di autodistruzione, Hajime prese l'uscita successiva anziché proseguire dritto, e scese per una serie di stradine laterali fino a raggiungere il livello del fiume.

Era forse la sua ultima occasione per poter parlare di nuovo con Tōru da soli, e doveva assolutamente approfittare di quella minuscola apertura che aveva creduto di leggere nelle sue braccia strette attorno a lui, e soprattutto in quel sorriso che pensava forse di avergli nascosto.

Fermò la moto in uno spiazzo lungo l'argine dell'Arakawa e spense il motore.

"Che succede?" chiese Tōru sollevando il viso dalla sua schiena e rendendosi conto di dove si trovassero.

Hajime sfilò il casco "Niente. Volevo mostrarti una cosa." spiegò, con un piccolo spasmo alla bocca dello stomaco quando Tōru sciolse le braccia dal suo corpo e si guardò attorno.

Non notò nulla di particolare. L'Arakawa scorreva placido e silenzioso, un leggero sciabordio a tratti udibile nel rumore quasi continuo delle automobili sopra al ponte poco distante.

Il cielo era ormai quasi completamente buio, poche stelle si cominciavano a vedere a oriente mentre ancora alcune pennellate di rosso e di viola si riflettevano sul fiume, dietro alle luci della città.

Oikawa scese dalla moto stiracchiandosi appena. Sfilò il casco, lo posò sulla sella e, come ipnotizzato, camminò ondeggiando verso il parapetto.

Hajime infilò il casco sullo specchietto, mise il cavalletto e lo raggiunse.

"Da bambino venivo sempre qui con mia madre." disse guardando il fiume davanti a sé.

Tōru non si voltò, il suo sguardo catturato dalle ultime luci del crepuscolo che scintillavano sull'acqua.

"Abitavamo qui vicino e le piaceva portarmi a vedere il tramonto. Questa è ancora Tokyo, ma sembra di essere fuori dal mondo."

Ancora, Oikawa non disse nulla, ma i suoi occhi erano rapiti dal panorama davanti a lui.

Anche Hajime era rapito; si era voltato un istante e non riusciva più a staccare gli occhi dal suo profilo, nonostante ci provasse con un estremo sforzo di volontà, di cui si sentiva sempre più privo.

Oikawa era di una bellezza ultraterrena. La pelle era pallida, setosa, le lunghe ciglia scure riflettevano le luci di Tokyo nelle minuscole lacrime che vi si erano raccolte per la corsa in moto. Il naso era dritto, la mascella decisa, la bocca morbida, né troppo sottile, né troppo carnosa.

"Ne parli al passato." disse Tōru dopo un attimo, riscuotendolo dalla minuziosa analisi del suo viso.

"È morta." confermò Hajime tornando a guardare davanti a sé "Mi ha insegnato lei a fare il barman. Era il suo mestiere. Era brava. Una delle poche donne barman, all'epoca."

E poi aggiunse "È la prima volta che torno qui, senza di lei."

"Perché?" chiese Tōru voltandosi finalmente a guardarlo.

"Troppi ricordi." rispose sincero "Non credevo che sarei riuscito a sopportarli."

Fu Tōru a studiare il profilo di Iwaizumi che si stagliava contro le luci della città. I suoi lineamenti erano decisi e affilati, le sopracciglia perennemente aggrottate e la bocca stretta in un'espressione quasi sofferente.

"È per questo che sei sempre arrabbiato, Iwa-chan? Colpa dei ricordi?" il tono di Tōru era incredibilmente dolce, e Hajime sentì uno spasmo proprio in mezzo al petto; il groppo di dolore che cercava sempre di nascondere, che spingeva per uscire, e che si mescolava all'emozione che Oikawa stava scatenando in lui. Il suo inconfondibile profumo di sandalo e vaniglia, il tono morbido e avvolgente della sua voce, le loro spalle che si sfioravano al buio, stavano lentamente smantellando tutte le sue barriere.

"Non sono sempre arrabbiato..." cercò di riscuotersi, voltandosi a fissarlo negli occhi.

"Eppure, così sembra. Le poche volte che ti scappa un sorriso, i tuoi occhi si rannuvolano subito, come se ti stessi punendo dentro di te per essertelo concesso..."

Era davvero così che lo vedevano le persone? O forse solo Tōru era riuscito a perforare la sua corazza di indifferenza e a capire il dolore che cercava di nascondere a tutti.

Perché aveva cercato di proteggersi tenendo tutti a debita distanza. Quando sua madre era morta, era riuscito a stento a finire il liceo e si era messo subito a cercare lavoro. Troppo impegnato a mantenersi da solo, aveva trovato la scusa perfetta per non creare legami, per non lasciare entrare più nessuno nel suo cuore, perché non sarebbe riuscito a gestire un altro abbandono.

Oikawa continuò.

"La prima volta che ti ho visto, però, quando eri al bar e stavi strapazzando quello shaker, ecco, quella volta avevi un'espressione serena, quasi trasognata, direi. Ma poi, appena ti sei accorto che ti stavo guardando, sei tornato arrabbiato."

Non dovette fare un grande sforzo, Hajime, per ricordare a cosa stesse pensando in quel momento. Lo aveva rivissuto nella sua mente centinaia di volte. Stava pensando a lei, a sua madre, ed erano stati gli occhi al cioccolato di Tōru a risucchiarlo fuori da quel ricordo.

Quegli stessi occhi che lo fissavano ora, sgranati e lucidi, brillanti delle mille luci di Tokyo che ci si tuffavano dentro.

"Ti ripeto che non sono arrabbiato." sussurrò.

"Ma non hai motivi per sorridere, giusto? Così mi hai detto..." lo provocò ancora con un sorriso pacato.

"Sì. Ho detto così..." e sorrise.

Il sorriso di Tōru si allargò, per poi farsi di nuovo serio.

"Ma se hai così paura dei ricordi, perché mi hai portato qui, stasera?"

Era lui, ora, a fare le domande personali, pensò Hajime. Ed era chiaro che la risposta, in qualche modo, avrebbe coinvolto anche Tōru.

Cosa voleva sentirsi dire? Che era tornato lì per lui? Per condividere un posto che gli era tanto caro e al contempo generava ricordi dolorosi, sperando di poterne costruire di nuovi, e felici, insieme a lui? Voleva davvero che Iwaizumi gli dichiarasse i suoi sentimenti, che dovevano essere già estremamente evidenti?

Eppure, era stato abbastanza chiaro, Tōru, nel fargli capire di essere convinto e irremovibile nella scelta che aveva fatto. E allora perché fargli una domanda così pericolosa, se poi non voleva davvero a risposta? Perché giocare con lui in quel modo, facendo il sostenuto fino a mezz'ora prima e poi sorridendogli con quel calore?

"Non sono sicuro che tu voglia sapere la risposta." disse, criptico quel tanto che bastava per lasciargli una scappatoia.

"Penso di sì, in realtà." Oikawa lo stupì "Ma non stasera."

Il sole era ormai scomparso del tutto, il fiume scorreva scuro e denso sotto di loro.

Hajime si riscosse, rimpiombò nel qui e ora come un meteorite che si schianta sulla terra, rendendosi conto ancora una volta della situazione incredibilmente complicata in cui si era andato a cacciare.

"Hai ragione. Dobbiamo andare prima che il tuo ragazzo venga a cercarci armato di tutto punto."

Tōru non rise alla battuta, ma restò ancora per un istante a fissare Hajime negli occhi. Un istante che durò un'eternità, o un battito di ciglia. Quindi si voltò e si incamminò verso la moto.

Nell'ultimo tratto fino al Neko tenne un'andatura lenta e morbida, ma le braccia di Oikawa erano disperatamente aggrappate al suo corpo. Appoggiato alla sua schiena con un abbandono pressoché totale, teneva una mano completamente aperta sul giubbotto di Hajime, il palmo appoggiato proprio sopra al cuore, l'altra aggrappata al suo stesso polso, per racchiuderlo in una morsa che a stento lo lasciava respirare.

Passò davanti all'insegna rossa del Neko su cui capeggiava un gatto nero, ma non si fermò e svoltò invece in un vicolo laterale dove c'era l'ingresso del personale. Fermò la moto e spense il motore.

Oikawa non accennava a sciogliere le braccia, e per un solo, minuscolo istante Hajime fu tentato di ripartire e lanciare la moto nella notte, via da lì, il più lontano possibile.

Ma poi Tōru si riscosse, scese dalla sella e sfilò il casco che restituì a Hajime.

Si lisciò lo smoking e si avvicinò allo specchietto per darsi giusto una sistemata ai capelli e controllare che fosse tutto a posto.

"Come sto?" chiese civettuolo, tornando nel personaggio.

Hajime non rispose, deglutì e inspirò a fondo.

Per Tōru fu una risposta sufficiente.

"Grazie del passaggio, Iwa-chan. Ci vediamo."

Salì i tre gradini davanti alla porta con scritto Privato e bussò; la porta si aprì di uno spiraglio e Tōru si infilò dentro, lasciando Hajime nel vicolo.


⋆⊱❤⊰⋆


* Neko" in giapponese significa "Gatto"


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