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Capitolo 20. Ricordi di un tempo lontano

"Ethan, fermo, dai. Mi fai il solletico."

Leanne si rotolò sull'erba, cercando di scappare all'attacco del ragazzo. Annaspò alla ricerca del respiro e cercando di trattenere le risate, spostandosi i capelli dal viso.

"È una resa, quindi?" chiese Ethan, steso a pancia in giù, affacciandosi su di lei.

"Piuttosto una tregua.".

"E tregua sia," convenne Ethan, lasciandosi cadere al suo fianco.

Leanne girò la testa di lato per riuscire a guardarlo, soffermandosi lentamente su ogni aspetto del suo viso.

Aveva i muscoli rilassati e gli occhi chiusi, le labbra erano leggermente dischiuse e lei sentí l'irrefrenabile voglia di poggiarvici le sue.

Come sempre, d'altronde, in questi giorni.

Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, alle prime settimane della loro relazione in cui non riuscivano a stare lontani e, quasi ogni giorno, Ethan correva da lei e la trascinava da qualche parte nascosta della scuola.

Ora, però, era meglio. Sentiva di conoscerlo meglio e, soprattutto, che lui fosse disposto ad aprirsi con lei.

Quando, il giorno prima, era avvenuta la discussione tra Ethan e il padre, aveva davvero temuto che tutti i passi avanti che avevano fatto sarebbero diventati vani. Nonostante la rabbia - e il dolore, anche se lui non voleva ammetterlo -, Ethan fortunatamente non le aveva chiuso la porta in faccia, lasciando aperto un piccolo spiraglio per lei.

Non era stato facile, affatto. Era tremendamente testardo e orgoglioso, motivo per cui aveva tenuto il punto per tutto il resto del pranzo, diventando indecifrabile ai suoi occhi.

Era stato solo verso ora di cena, dopo aver fatto una passeggiata in rigoroso silenzio, che era tornato il suo Ethan.

Passeggiata nella quale, è bene sottolinearlo, Leanne aveva arrancato ripetutamente dietro le sue gambe lunghe, insultandolo e pregandolo di fermarsi allo stesso tempo.

Certo che ce ne voleva di pazienza con lui.

Ora, a distanza di ben ventiquattro ore, tutto sembrava essere dimenticato, come se non fosse mai accaduto. Aveva capito che quello era il modo del ragazzo di affrontare il suo rapporto con il padre: accantonare e dimenticare. E si era chiesta quando sarebbe arrivato il momento in cui non avrebbe più retto quel peso che si ostinava a nascondere, scoppiando.

Ethan però sembrava davvero felice, notò osservandolo. Era spensierato e rilassato, e si beò della consapevolezza che un po' era merito suo.

"Len," chiamò, ancora a occhi chiusi.

"Dimmi."

"A che pensi?"

Leanne si strinse nelle spalle. "Niente in particolare, perché?"

"Sono almeno dieci minuti che mi fissi," fece notare, alzando un sopracciglio.

Leanne spalancò gli occhi, colta in contro piede. Si mise più comoda, stendendosi di lato e poggiando la testa sulle mani intrecciate.

"Non posso?"

Lo vide aprire lentamente gli occhi, prima uno e poi l'altro. "Tu, Stellina, puoi fare quello che vuoi."

"Allora penso che continuerò ancora per un po'," convenne lei, sorridendogli.

Ethan annuí e ricambio il suo sguardo, allungando nel frattempo una mano verso di lei. Quello sguardo, così profondo e serio come raramente era stato, la mise in soggezione.

Sentì lo stomaco attorcigliarsi e le gambe farsi più deboli sotto gli occhi attenti del ragazzo.

Che schifo, sembrava un'eroina romantica. Qualcuno avrebbe dovuto spararle al più presto, o avrebbe continuato a lungo.

"Allora," chiese lui, "Vogliamo continuare a guardarci o andiamo a prendere un gelato?"

Come sempre, pensò Leanne, sapeva dire la cosa giusta per lei.

Annuì, sedendosi sul prato e togliendosi qualche foglia di dosso. Toccò il pantaloncino, diventato improvvisamente umido per colpa dell'erba e il suo viso si trasformò in una smorfia.

"Che palle," si lamentò, "Odio l'erba e gli insetti, e tutto ciò. Bleah."

"Coraggio," Ethan le afferrò per mani, tirandola su, "Andiamo, principessa, questo posto è troppo plebeo per te."

Leanne gli fece il verso, offesa, e gli tirò uno spintone.

Ma guarda tu questo!

Aveva sempre la capacità di farla sciogliere e innervosire allo stesso tempo, ma com'era possibile?

"Dai," le urlò Ethan, avanti di qualche passo. "Sei proprio una lumaca."

Leanne represse un ringhio e improvvisò una strana corsa scoordinato, che le valse più di uno sguardo scioccato da parte del ragazzo.

"Menomale che sei simpatica," commentò, una volta che l'ebbe raggiunto. "Ahia, mi hai fatto male," si massaggio la spalla, dove Leanne aveva appena tirato un pugno. "Hai perso punti anche in simpatia ora, brava! Ma esattamente perché sono qui con te?"

"Masochismo," si strinse nelle spalle, "Ah, giusto... quello è il mio."

Ethan le fece il verso e le passò un braccio intorno alla vita, avvicinandosela.

"Sei violenta," sorrise e Leanne alzò gli occhi al cielo, "E permalosa. Tanto. Ma chissà perché mi fai impazzire," e la baciò.

Ah beh, finalmente impiegava la bocca con qualcosa di costruttivo.

Leanne si alzò in punta di piedi e rispose vivacemente al bacio, felice di come avesse deciso di troncare la discussione.

Con la mano libera, Ethan risalì il suo collo, fino ad accarezzarle il viso, mentre il bacio si faceva sempre più approfondito.

Leanne si staccò da lui, seppur di malavoglia.

"Siamo in pubblico," mormorò, "E c'è un bambino che ci fissa, l'avremo traumatizzato."

"Lascialo fare," la bacio, "Puo solo imparare."

Leanne scosse la testa, divertita. "Sono seria," un altro bacio, "Ethan," un bacio, "Dai," una risata e un bacio.

La guardò e strofinò i loro nasi. "Va bene," acconsentì, "La smetto."

Leanne gli scoccò un altro bacio, l'ennesimo, prima di allontanarsi. "Et, aspetta."

"Dimmi, Stellina."

"Credo dovremmo parlare e chiarire..." li indicò, "Tutto questo."

"Devo preoccuparmi?" scherzò lui, senza però nascondere un velo di preoccupazione.

Leanne scosse la testa, prendendogli la mano. "No, assolutamente. Però questi giorni sono stati un po' confusi, abbiamo accelerato tutto..."

"Hai ragione," si passò una mano dietro la nuca. "Cioè, non sono d'accordo ma hai ragione e se parlare ti aiuterà a... perdonami? Allora va bene, lo faremo. Ancora."

"Stavi andando bene," lo rimbeccò Leanne con l'ennesimo pugno da qualche ore a quella parte, "Ti se rovinato all'ultimo."

"Mea culpa."

"Et, tu lo sai vero che ti ho già perdonato?"

"Lo spero," scherzò. "Che ne dici se prendiamo questo famoso gelato e parliamo?"

Leanne raccolse la borsa che aveva lasciato cadere durante il loro bacio e si affrettò a seguirlo.

Lo guardò con il cuore che scoppiava, mentre lui le tendeva la mano affinché camminassero insieme.

Aveva un po' imbrogliato ma, si disse, era stato a fin di bene... giusto? Non aveva dubbi su di loro e su quello che provava per lui, non avrebbe potuto dopo quei giorni passati insieme.

Il problema, se così lo si poteva definire, era Ethan stesso e Annabeth, quando la sera prima l'aveva chiamata, si era detta d'accordo.

E se aveva la sua approvazione, allora poteva stare tranquilla.

Sentiva come se Ethan non fosse stato sincero con lei quando le aveva confessato tutto prima di partire, come se non lo fosse neanche con se stesso.

Avrebbe dovuto accettare che suo padre stava cercando di tornare nella sua vita ma, anche, riuscire ad ammettere quanto lo aveva fatto soffrire il suo abbandono.

Altrimenti, aveva capito Leanne, non sarebbe mai riuscito a fidarsi di nessuno, e benché meno di lei.

"E' quella," esclamò Ethan, indicando la gelateria piena di gente.

"Ma quella è la fila per entrare?" chiese Leanne, preoccupata.

"No," rispose una terza voce, una signora con due bambini che le correvano intorno. "Quella è la fila," indicò la fila accanto, lunga il doppio rispetto a quella di cui parlava Leanne.

Ethan soffocò un'imprecazione e le passò il telefono e il portafoglio, tirando fuori solo una banconota. "Tieni, non vorrei perderli lì dentro. Faccio un salto io, va bene?"

Leanne annuì, ancora concentrata sulla fila assurda che si trovavano davanti.

"Mike, adesso basta," sentì dire alla signora, "Smettila di spingere tuo fratello."

Una suoneria attirò la sua attenzione e, incuriosita, cominciò a guardarsi intorno.

"Signorina," la chiamò la mamma con i due bambini, "E' il suo. Le squilla il telefono."

"No, io non ho questa..." si bloccò, dandosi mentalmente della stupida. "E' quello di Ethan. Il mio amico," si voltò verso la signora, indecisa su come continuare. "Non è che siamo proprio amici, in realtà. E' complicato: all'inizio ci odiavamo, poi per una serie di eventi abbiamo dovuto fingere di stare insieme. E indovini un po' com'è finita? Esatto, un po' scontato, però..."

"Signorina," la interruppe la donna, mentre si frapponeva tra i due figli per impedire che continuassero a picchiarsi. "Il telefono."

"Giusto, la ringrazio," esclamò Leanne e rispose alla chiamata. "Pronto?"

"Ethan?" chiese la voce dall'altra parte del telefono, era la signora Scott. "Leanne, sei tu? Dov'è Ethan?"

"Signora Scott, sì, sono io. Ethan sta comprando due gelati adesso, se mi da un momento lo cerco e..."

"Leanne, ti sento male, tesoro. Ascolta, dovevo parlare con Ethan perchè..." sentì una lunga pausa e temette fosse caduta la linea. "Leanne, mi senti? Il padre dei ragazzi è dovuto tornare a Seattle e non ci sarà alla cerimonia. Julian l'ha appena saputo e..."

E la linea cadde.

Leanne guardò il telefono e si portò una mano alla bocca, temendo già il peggio.

"Len, ascolta, se cerchiamo un'altra gelateria?"

Si voltò verso il ragazzo appena arrivato e sorridente, maledicendosi per doverlo riportare alla realtà.

Una realtà in cui, anche questa volta, il padre aveva messo il lavoro al primo posto.

🎈🎈🎈

"Ho dimenticato le chiavi, cazzo."

Leanne si passò una mano tra i capelli spostandoseli e cercando di non urlare addosso al ragazzo.

"Non dirlo come se fosse qualcosa di irreparabile, tua madre è in casa," bussò il campanello, ignorando il visibile malumore di Ethan.

La porta si aprì con una velocità tale da far pensare a Leanne che la signora Scott si fosse quasi appostata in loro attesa.

"Ragazzi, eccovi," fece loro spazio per entrare. "Mi dispiace così tanto avervi chiamato ma..." guardò gravemente il figlio, "Non vuole sentirne di parlarmi, magari con te è diverso."

"Dov'è?" chiese Ethan.

"È in camera vostra," rispose la madre, "Ethan, mi raccomando, sii calmo: lo sai che lui..." guardò verso le scale, "Che Julian ci aveva creduto davvero."

Ethan annuí e si diresse in cucina, appoggiandosi al tavolo con le braccia incrociate. Leanne, invece, si guardò intorno imbarazzata, non sapendo bene come comportarsi.

"Tesoro, vieni anche tu," le disse la signora Scott con tono gentile.

Sorrise e seguì la donna, torturandosi le mani per il disagio. Avrebbe voluto che qualcuno le suggerisse come comportarsi, ma più di tutto non avrebbe voluto sentire Ethan così distante.

Ancora una volta un muro si era frapposto tra di loro e la cosa più dolorosa era che Ethan era l'unico artefice della loro distanza.

"Piccolo mio," la signora Scotto si avvicinò al figlio, "Non prendertela con tuo padre, ha avuto una chiamata di lavoro ed è dovuto correre a Seattle."

Ethan alzò la testa verso la madre mostrando finalmente il volto da quando erano entrati in casa: aveva gli occhi pieni di rabbia e dolore.

Il ragazzo che fino a poco fa la baciava nel parco sembrava lontano mille miglia.

"È l'unico medico di Seattle?"

"Sai che non è così semplice, Ethan. Tuo padre..."

"Lui ha fatto una scelta, ancora una volta," la signora Scott venne interrotta dal figlio. "E direi che, anche questa volta, non siamo noi la sua scelta. Non continuare a difenderlo."

"Ethan," provò a intromettersi a Leanne, facendosi vicina a lui. "Forse tua mamma ha ragione, insomma ieri sembrava contento di stare con voi."

"Non parlare se non sai."

Leanne fece un passo indietro, ferita dalla risposta del ragazzo. Cacciò indietro le lacrime, nate dalla vista del suo dolore, e strinse le labbra in due linee sottili.

Continuava a ripetersi che era la rabbia a farlo parlare, eppure non riusciva a impedirsi di rimanerci male.

Accidenti a lui.

Era stanca di doverlo giustificare ogni volta.

"Vado da Julian," annunciò Ethan, uscendo dalla stanza.

Rimaste sole, le due donne si guardarono: Leanne imbarazzata e la signora Scott preoccupata.

"Vuoi un thè, cara?"

"Sì, la ringrazio," Leanne si accomodò al tavolo, pensierosa. "Posso darle una mano per la cena, signora Scott?"

"Non preoccuparti, Leanne," scosse la testa, "Credo proprio che ordineremo una pizza."

La signora Scott tolse le due tazze dal microonde e vi infilò le bustine, sedendosi anche lei su una delle sedie.

"Leanne, mi permetti di parlarti, senza pensare che io sia una mamma impicciona?" Leanne annuì, prendendo la sua tazza. "Vedi, Ethan è un ragazzo molto particolare. È davvero testardo e orgoglioso, ma qualcosa mi dice che tu questo lo sai bene."

"Anche troppo," abbozzò un sorriso, sentendosi stranamente complice con la donna.

Donna che, se il figlio non avesse fatto l'idiota, sarebbe potuta anche essere considerata sua suocera.

"Bene, vedo che Ethan non si smentisce neanche fuori casa," scherzò. "Quello che forse non sai, però, è il cuore grande che ha. Lo so che può sembrare la tipica frase di una mamma, ma l'ho visto crescere sotto i miei occhi e prendersi responsabilità che non erano sue."

"Signora Scott," la interruppe, "Io... io queste cose le so, non deve cercare di giustificarlo, davvero. Ethan è buono, l'ho capito anche io."

"Ne sono contenta," le strinse una mano, affettuosa. "Allora, visto che lo conosci così bene, mi sarà più facile spiegarti quello che sto per dirti. Io e il papà di Ethan, Andy, ci amavo molto. Ci siamo conosciuti quando avevamo diciotto anni, più o meno," cominciò a raccontare con lo sguardo perso nei ricordi.

Leanne cominciò a bere il thè, ben attenta a non perdersi neanche un dettaglio di quella storia.

"Erano stati gli anni delle rivoluzioni, ormai stavano giungendo al termine però ci sentivamo tutti un po' rivoluzionari. Capisci cosa intendo, vero?" Leanne annuì, partecipe. "A quell'età ti senti il mondo in mano, sai Leanne. Non hai più le insicurezze di quando sei adolescente e neanche la maturità di un adulto: hai semplicemente la convinzione di poter cambiare il mondo."

La donna si alzò a prendere lo zucchero e le porse un cucchiaino. Leanne per poco neanche lo notò, immersa com'era nel racconto.

"Ho incontrato Andy che era estate, me lo ricordo ancora. Era un rivoluzionario, aveva un sacco di idee ed era convinto di poter fare qualcosa di significativo: voleva essere il medico di chi ne aveva bisogno."

"E poi?" chiese Leanne, ricordando l'uomo che aveva conosciuto il giorno prima , così lontano da quel ragazzo. "Cos'è successo?"

"E poi si cresce, Leanne. La vita non sempre va come vogliamo e dobbiamo adattarci. Andy veniva da una famiglia molto povera, tutto quello che ha se l'è costruito da solo, e a un certo punto credo che abbia iniziato a non capire più nulla: era terrorizzato all'idea di perdere quello che aveva guadagnato," fece un pausa, sorseggiando del the. "Era agli inizi della sua carriera quando io sono rimasta incinta di Ethan, ma eravamo ancora innamoratissimi. Ci siamo sposati, abbiamo preso casa e non ti nego che abbiamo incontrato tante difficoltà. Eravamo solo due ragazzini che pensavano di poter cambiare il mondo."

"Non vi amavate più, signora Scott? Com'è potuto succede?"

"Vedi, tesoro, l'amore a volte non basta. Quelli sono stati anni difficili, a volte arrivavo a fine giornata e pensavo di non farcela, poi guardavo Ethan. Bastava a cancellarmi ogni dubbio," le sorrise, portandosi una mano al collo, lì dove era una catenina. "Sono stati gli anni più belli della mia vita, ma non sempre è sufficiente. Il padre di Ethan voleva di più, lavorava dalla mattina alla sera e iniziò a convincersi che noi eravamo un peso. Nel frattempo era arrivato anche Julian, e io ero sempre più impegnata."

"E Jessica? Lei è..."

"È arrivarti più tardi, sì. Andy ebbe un offerta di lavoro a Seattle e partí, ci salutammo con la promessa di trasferirci tutto insieme l'estate successiva. Solo che poi dall'estate passammo all'autunno, all'inverno e così fino a quando abbiamo smesso di sentirci. Eravamo ancora sposati, ma non stavamo più insieme da tempo, lui impegnato col lavoro, io con i ragazzi."

Senti le lacrime pizzicarle gli occhi, mentre un'ondata di tristezza l'assalliva. I suoi genitori avevano vissuto la stessa situazione ma c'è l'avevano fatta.

Era stata fortunata.

"A un certo punto lui disse basta, voleva pensare al lavoro e noi eravamo un peso. Lo disse chiaramente. È li che è nata Jessica, diciamo che è stata... un ultimo saluto tra di noi."

"Non ha provato a fermarlo?" chiese Leanne, "Perché non lo ha seguito?"

"Come vorrei avere ancora la tua età e pensare che tutto si risolva così," disse amaramente la donna. "A volte non basta, l'amore non è sufficiente. Era passato troppo tempo, troppe cose erano succede e io ce l'avevo con Andy perché lui aveva lavorato e si era costruito qualcosa, mentre io ero rimasta a casa. Poi, con molta fatica e qualche sono riuscita a trovare qualcosa per tirare avanti."

"Signora Scott," chiamò Leanne, timidamente. "Lo amava ancora? All'epoca intendo."

"Non lo so più, la rabbia aveva offuscato tutto. L'ho odiato per tanto tempo, perché mi aveva lasciata sola, perché aveva lasciato i ragazzi... per un uomo sembra sempre più facile andarsene. Poi la rabbia è finita, lasciando spazio solo ai ricordi."

"Signora Scott, grazie. Per avermi raccontato la sua storia e per essersi fidata."

"Mio figlio si fida di te e allora anche io, cara. Hai capito perché ti ho raccontato tutto questo?"

"Per farmi capire che il padre di Ethan non è uno stronzo," tentò lei.

La donna rise e scosse la testa. "Oh, no, è proprio uno stronzo. Ma non per questo è una cattiva persona, e credo che Ethan gli debba dare una possibilità o in futuro se ne pentirà."

"Vuole che io lo convinca?"

"Voglio che tu lo aiuti," rispose la signora Scott. "Ethan è tanto simile al padre e forse questo è il motivo principale per cui non riescono ad avere un dialogo. Sono entrambi testardi, orgogliosi e convinti di doversi risolvere i problemi da soli," Leanne annuí, concorde con ogni parola della donna. "Però sono diversi in un unica cosa, che logora il loro rapporto: Ethan è stato deluso più di quanto riuscirà mai ad ammettere, e questa è una cosa che non si dimentica."

"Ho capito, signora Scott," disse Leanne. "Ho capito davvero, adesso. Sono contenta che abbia deciso di fidarsi di me."

"Ma figurati, cara. Dobbiamo aiutarci tra di noi, avere a che fare con i Powell non è facile." Leanne annuì. "E permettimi ora una richiesta da mamma: perdonalo. Qualsiasi cosa abbia fatto, non chiudergli la porta in faccia, può darti tanto."

Leanne si morse il labbro inferiore, desiderando abbracciare la donna. Si sentiva il peso di quel racconto sulle spalle, come se avesse vissuto in prima persona quella tormentata storia d'amore.

Dovevano essersi amati proprio tanto.

Senti il rumore di una porta che si apriva, dei passi e poi una porta che si chiudeva.

"Direi che hanno finito di parlare," disse la donna. "Perché non vai da lui?"

"Non vuole andare lei?" chiese Leanne, con un piede già fuori dalla stanza, sentendo uno scrupolo.

La signora Powell scosse la testa. "Sarà più felice di vedere te."



🎈

Capitolo un po' bipolare con un inizio felice e arcobaleno, e una fine più triste e forte.

Come aveva detto, la questione Ethan-padre è ben lontana dall'essere risolta ed era mia intenzione (lo ripeto per l'ennesima volta) approfondire il suo personaggio.

Ma soprattutto dare a Leanne l'ha possibilità di esserci per lui, di ricevere tanto porte in faccia e di riaprirle ogni volta per andargli incontro.

I miei cuccioli sono cresciuti *si asciuga una lacrime solitaria*.

Stavo pensando di fare un capitolo un po' più "spinto", niente di più troppo eccessivo ma avevo voglia di toccare anche altre "zone", per darvi un'idea dei Lethan a tutto tondo.

Potrebbe interessarvi? Nel caso lo farei nella raccolta a parte, così da non rischiare di incorrere in una violazione delle regole.

Però PLS ditemi cosa ne pensate, se potrebbe interessarvi/piacervi l'idea di questi "missing moments" in una raccolta a parte

Detto ciò, forse potrebbero esserci dei ritardi con la storia di James, io sto proseguendo con la scrittura però dovrò rimetter mano ai capitoli iniziali, dividere, tagliare e aggiungere: inoltre sono davvero immersa nei libri, quindi potrebbero esserci ritardi non troppo grandi

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