Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Cap. 15. Quattro chiacchiere e un caffe

Da quando aveva deciso e comunicato a Ethan che era ormai pronta a sentire la sua versione dei fatti, sembrava essere diventato impossibile anche solo incrociare il ragazzo a pranzo.

Se prima, quando avrebbe fatto carte false pur di non incontrarlo, Ethan era una costante delle sue giornate, in quei giorni era arrivata persino a dimenticare com'era fatto.

Ogni volta che le si avvicinava sembrava succedere qualcosa che richiedeva urgentemente la sua attenzione, pena la fine del mondo: Annabeth che si innamorava di un ragazzo visto in centro e che doveva assolutamente rivedere; suo padre che aveva perso gli occhiali e non riusciva a ritrovarli; James e Noah che litigavano e solo lei poteva decidere chi aveva ragione; infine Danielle che la chiamava disperata perché Rebecca aveva deciso di passare un pomeriggio col perfetto Charles invece di aiutarla col matrimonio (e,  di conseguenza, Rebecca che si lamentarsi della sorella).

Non era mai stata così richiesta come in quei giorni. Qualcuno, lassù, doveva proprio avercela con lei. Non se lo spiegava in altro modo.                                                                                                  
Era stata quindi una sorpresa quando quel pomeriggio, dopo pranzo, Ethan era piombato nella sua stanza senza tanti complimenti. Si era scusato con Annabeth e l'aveva afferrata per un braccio:

"Andiamo, dobbiamo parlare. Ti offro un caffè." 

Leanne aveva fatto spallucce verso Annabeth prima di essere trascinata fuori, cercando di non farsi prendere dal panico e promettendosi di mantenere la calma durante il racconto.

E ora era lì, seduta di fronte a Ethan e preparandosi mentalmente alla conversazione che sarebbe avvenuta di lì poco. In attesa di un caffè, per giunta, che neanche voleva.

"Vuoi qualcosa? Hai fame?" le chiese lui, alzando una mano per chiamare la cameriera.

Leanne scosse la testa. "Un caffè va bene," mormorò poi, solo per tenersi impegnata.

"Sicura, un po' di gelato?" insistette. "Un dolcetto? Ho visto che hanno alcune cose davvero interess..."

"Ti ho detto di no," ribatté Leanne, interrompendolo, esausta da tutto quel tergiversare. "Non lo voglio il dolcetto."

"Come vuoi, é che sembrava molto buono," borbottò lui, aprendo un'ennesima volta il menù. "Io forse però qualcosa la prendo. Sono indeciso tra..."

"Ethan, maledizione!"

Il ragazzo spostò gli occhi dal menù, puntandolo su di lei. "Sei un po' nervosa, oggi?"

"Affatto, sono la rappresentazione della calma." E iniziò a contare fino a dieci, cento, mille per non tirargli qualcosa addosso.

"Beata te," Ethan posò il menù, guardandola imbarazzato. "Io lo sono tantissimo."

Leanne aprì e chiuse la bocca più volte, spiazzata dalla sincerità delle sue parole. "Non ne hai motivo, sono quasi tre settimane che mi preghi di lasciarti spiegare."

"Lo so, è che," si passò una mano tra i capelli, togliendogli quel poco di forma che era riuscito a raggiungere. "...è che ho una paura matta di dire la cosa sbagliata, Leanne."

"Facciamo un patto," gli sorrise e si sporse verso di lui, con la mano tesa. "Io prometto di sforzarmi a essere meno suscettibile del solito..."

"Impossibile," la interruppe Ethan, divertito..

"E tu," Leanne calcò le parole, guardandolo male, "Prometti di essere totalmente sincero con me." 

"Affare fatto," le strinse la mano e le labbra si piegarono verso l'alto, in un sorriso che le scaldò il cuore.

E le strinse lo stomaco in una strana e familiare morsa, ma quello era l'effetto Ethan e si era ormai rassegnata.

"Sono tutta orecchie," si scansò di lato per dare spazio alla cameriera. "Il macchiato è il mio, sì, grazie."

La ragazza sorrise loro, porgendo il
caffè a Ethan e lasciando lo scontrino sul tavolino. 

Leanne afferrò subito tre bustine di zucchero, cominciando a girare il cucchiaino.

Ethan la guardò ironico. "Cos'è, un modo per compensare la tua propensione all'acidità?"

"Gne, gne, gne," lo scimmiottò Leanne, "Come sei simpatico."

Ethan rise, e lei si ritrovò a nascondere il viso dietro i capelli per non fargli vedere il suo di sorriso. 

"Allora," lo vide sistemarsi sulla sedia, "Ti prego di non interrompermi, va bene?"

"Non lo faccio mai."

"L'hai appena fatto," Ethan sbuffò divertito. "Len, io ti conosco e avrai voglia di intervenire ogni due minuti. Ti chiedo solo di essere paziente."

"Va bene," risposte lei e fece segno di passarsi due dita sulle labbra, "Ho la bocca cucita."

"Vedi, non è facile da dire ma ho passato l'estate in America."

Lui cosa?

"Tu cosa?" quasi strillò Leanne, lasciando cadere il menù col quale stava giocando. 

Fantastico, pur di non chiamarla era fuggito oltre oceano.

"Avevi promesso di non interrompermi," fece notare Ethan, piccato.

"Perché non mi aspettavo fossi andato in America! Giusto per capire, eri troppo impegnato a spassartela per avere anche solo il tempo di lasciarmi?"

Ethan sbuffò, passandosi una mano sugli occhi. "Lo sapevo che sarebbe finita così. Non sono andato proprio da nessuna parte, Len, e benché meno ho conosciuto qualcuno. Ho passato l'estate in America, sì, ma da mio padre."

Ah

Leanne lo guardò spiazzata, desiderando solo sotterrarsi per quella sua scenata di gelosia immotivata. Forse – ma solo forse, eh – avrebbe fatto bene ad ascoltarlo in silenzio prima di tratte conclusioni affrettate. 

Quel tanto per non fare altre figure come quella appena fatta, ecco. 

"Non dici niente?" 

"Non so," Leanne si schiarì la voce, "Non so che dire. Perché è tornato?"

"E' difficile," commentò Ethan e puntò gli occhi lontano da lei, cercando di mantenere un tono di voce neutro. "La mamma dice che si è pentito, ma io non lo so. Un giorno sono tornato dal supermercato e lui era lì che mi aspettava. Ha cercato di parlarmi e scusarsi, ma si vedeva che non era una cosa spontanea."

Si morse il labbro inferiore, indecisa su cosa dire. Fece per prendergli una mano e stringergliela, ma lui non si era fatto sentire per quasi due mesi e la ferita era ancora aperta.

"Com'è lui? Che ti ha detto?"

"E' diverso da come lo ricordavo, più... non so, più! Mi sembrava un estraneo e allo stesso tempo faceva e diceva cose che mi sembravano terribilmente familiari," sospirò  e prese una pausa, soffermandosi a guardare la sua reazione. "Ha detto che gli sarebbe piaciuto se fossimo andati a stare un po' con lui, perché non poteva rimanere in Inghilterra per colpa del lavoro. La mamma non sembrava molto contenta e io, a essere sincero, non volevo."

"Ethan, perché non me l'hai detto prima?" chiese Leanne, non riuscendo a frenarsi. "Perché non mi hai chiamata?"

"Non lo so, credo di essere stato molto confuso," ammise, allungando una mano verso la sua. Non le diede il tempo di reagire e la strinse, proprio come aveva pensato di fare lei poco prima. "Ho passato gli ultimi otto anni a odiarlo e a ripetermi tutti i motivi per i quali era una stronzo, poi si è presentato a casa nostra e non ho capito più nulla," ammise. "Non volevo andare con lui ma abbiamo parlato e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto pagare la retta della scuola di Julian."
Le sopracciglia di Leanne, a quelle parole, slittarono verso l'alto meravigliate. "E Julian era entusiasta. Non l'avevo mai visto così, aveva una luce diversa, era felice che lui fosse tornato."

"Oh, Ethan," Leanne si morse le labbra mentre gli occhi le si inumidivano. "Mi dispiace così tanto."

Lui si strinse nelle spalle, cercando di minimizzare la situazione. "Era giusto che io andassi," affermò. "Julian e Jessica non sarebbero andati senza di me, e non era corretto decidere per tutti e tre."

Leanne si grattò la guancia, soppesando bene le parole da dire. "È stato un gesto carino, Et. Lo so che non è stato facile, però era la scelta giusta. Sono... posso dirlo che sono fiera di te?"

"Len," il ragazzo tossicchiò, richiamandola. "Apprezzo molto tutto questo, ma sto bene. Davvero!" Accennò un sorriso e Leanne si sentì sciogliere. "Però grazie, conta molto per me. Spero che tu ora abbia capito un po' perché... beh, perché sono scomparso. Siamo andati a Seattle ed era tutto incredibilmente strano e difficile, e non so perché ma non ti ho chiamata."

"Non volevi sentirmi?" chiese Leanne, quasi temendo una risposta affermativa. Ma aveva bisogno di sapere la verità, doveva capire se poteva dare un'altra possibilità a Ethan o meno. 

"Morivo dalla voglia di sentirti. Mi mancava tutto di te e sembra proprio sdolcinato, lo so. Mi sento come uno di quegli eroi dei film che vede Annabeth, quelli che poi muoiono sempre per un motivo stupido," Ethan scosse la testa e Leanne rise a quella confessione. "Però è quanto di più vicino ci sia alla verità, mi sei mancata ogni minuto. Più passava il tempo e più avevo bisogno di un tuo abbraccio, della tua voce... solo che mi ero incartato, non ti avevo chiamato e più passava il tempo più mi sembrava di peggiorare la situazione."

"E quindi hai pensato bene di non chiamarmi affatto?" 

"No! E quindi, senza che me ne rendessi conto, il tempo passava e io non facevo che dirmi ogni giorno quanto fossi il più grande coglione di tutti i tempi. E poi ho capito che tu, questo, non te lo meritavi e tanto meno una telefonata avrebbe potuto risolvere tutto."

Leanne annuì, mettendo mentalmente tutti i puntini al loro posto. Tutto cominciava finalmente ad avere un senso. "Quindi ti sei presentato alla mia porta, io ti ho insultato per tre settimane e ora siamo qui. Giusto?"

"Più o meno," fece Ethan. "Leanne... Amore," Leanne, a quella parola, si voltò di scatto verso di lui. "Pensi di potermi perdonare?"

Lo guardò con il cuore a mille, emozionata e sorpresa: erano rare le volte in cui lo faceva, ma aveva sempre la forza di scuoterla dalla testa ai piedi. Forse era la parola o il modo in cui lo diceva, ma le sembrava come se sentisse ogni lettera pronunciata. 

Erano sempre stati due cinici loro due, contrari a qualsiasi tipo di romanticismo. "Che bisogno c'è di dirsi ogni giorno cosa si prova," le aveva detto un giorno lui, "Io mica te lo dico ogni minuto che mi piaci da matti, eppure tu lo sai...no?". Leanne aveva annuito perché era vero, lei sapeva. Lo vedeva nel modo in cui la guardava e in cui la baciava, o semplicemente quando le parlava: gliel'aveva detto un giorno Rebecca che quando Ethan era con lei, sembrava non esistere altro al di fuori di loro.

"Io voglio perdonarti," rispose Leanne, senza distogliere lo sguardo da lui. "Ma è difficile. Non ti sei fidato di me e hai sentito di non poterti confidare con me. Così non va, Ethan, e non perché non mi hai raccontato di tuo padre. Ma perché se continuerai a volerti risolvere i problemi da solo, mi lascerai sempre fuori dalla tua vita."

"Ma non era mia intenzione, te lo giuro. Non è perché non volevo dirtelo, solo che non sapevo come. Lì per lì mi è sembrata la cosa più facile."

"Lo so," annuì Leanne, ormai stanca di trattenere le lacrime. "Voglio perdonarti, Ethan, ma perché io possa farlo devi aiutarmi."

Si alzò dalla sedia, raccogliendo la borsa e passandosi una mano tra i capelli.  "Ho bisogno di pensare a tutto questo, lo capisci vero?"

Ethan si alzò anche lui, seguendola. "Vuol dire che non verrai più da Julian?"

"Non lo so," ammise Leanne, mentre mille pensieri le affollavano la testa. "Ethan, posso chiederti una cosa?" Lui annuì. "Mi abbracci?"

Non ebbe il tempo neanche di guardarlo che si trovò avvolta nelle sue braccia, stretta contro il suo petto. Inspirò a pieni polmoni il suo profumo e una lacrima solitaria le bagnò la guancia. 

Avrebbe avuto tempo di pensare a quanto si erano detti, adesso aveva solo voglia di dimenticare tutto anche solo per un attimo e stringersi a lui. Che, negli abbraccia di Ethan, era sempre sembrato tutto più bello.

***

Leanne si rigirò per la quarta volta sul letto, incapace di trovare una posizione adatta e comoda. Sbuffò e, annoiata, buttò il telefono sul comodino: aveva aperto ogni social almeno cinque volte l'uno, ma niente sembra tenerla impegnata o attirare la sua attenzione. 

Annabeth era stata con lei fino a quando, probabilmente esausta del suo silenzio, non aveva annunciato di volersi fare di una doccia. 

Leanne non poteva darle tutti i torti, quell'estate era stata di pessima compagnia, parlando sempre e solo solo dei suoi problemi.

L'amica però non aveva mai detto nulla e, senza lamentarsi, le era stata pazientemente vicino. 

Emise un ringhio soffocato dal cuscino e desiderò solo addormentarsi o smettere di pensare. Forse, avrebbe potuto proporre a Annabeth di darle una botta in testa così da accontentare entrambe.

Willow, il loro cane grande, pigro è permaloso la guardò di sottecchi, senza prendersi neanche la briga di alzare la testa.

James una volta le aveva detto che quel cane era la sua fotocopia e lei non aveva potuto che trovarsi d'accordo.

A distrarla dai pensieri tutt'altro che felici - e che la vedevano zitella fini al m resto dei suoi giorni - fu suo padre che da fuori la porta le chiese se poteva entrare.

"Certo, vieni pure," disse Leanne, mettendosi seduta.

"Ehi, piccolina," l'uomo le sorrise, raggiungendola. "Che dici, c'è un po' di spazio per il tuo invadente papà?"

Leanne rise, annuendo e facendogli spazio. "Devi dirmi qualcosa?"

"In realtà, pensavo di farti la stessa domanda," ammise lui e le passò un braccio intorno alle spalle. "Cos'è che ti preoccupa?"

"Niente di che," si strinse nelle spalle. "Pensieri."

"E che pensieri può mai avere la mia piccolina per chiudersi in camera?"

Lei sorrise, appoggiandosi al padre. "Cose sciocche, non preoccuparti."

Il padre non sembro insistere, lasciando cadere il discorso e limitandosi ad abbracciarla e cullarla dolcemente. Leanne si lasciò consolare, cercando di allontanare il pensiero di Ethan almeno per un po'.

Impressa assai difficile, se si considerava il fatto che di tanto in tanto le arrivava l'eco della sua voce dal salotto.

"Papà," chiamò, indecisa. "Ma quand'è che le cose hanno cominciato a farsi così difficili?"

"Quando sei cresciuta, Len," rispose e si allontanò da lei, per guardarla negli occhi. "La vita ci mette davanti degli ostacoli e lo fa in modo direttamente proporzionale alla nostra crescita."

Leanne rise. "Certo che oggi sei proprio saggio, eh?"

"E' la maturità, dona saggezza."

"Ah, adesso si dice così? Non più vecchiaia?"

Il padre la spintonò leggermente, fingendosi offeso per le sue parole. "Piccolina," riprese poco dopo, "Stai crescendo e le cose ti sembreranno sempre più difficili, ma non ti devi preoccupare, così come non lo farò io: qualsiasi cosa ti troverai davanti, sono sicuro che saprai affrontarla. E sai perché?"

Leanne scosse la testa. "No, perché?" mormorò sentendosi ancora un po' bambina, come quando la notte faceva brutti sogni e correva nel lettone dei suoi genitori.

"Perché sei mia figlia e so che darai sempre il massimo," l'abbraccio stretta, cercando di trattenere per un attimo ancora la sua bambina che correva via troppo velocemente.

"Grazie, papà," mormorò Leanne, asciugandosi di nascosto una lacrima furtiva. In quei giorni era decisamente troppo emotiva.

"Ovvio che," suo padre si staccò da lei, fingendo la voce grossa, "Se vuoi io vado e lo sistemo."

"Sono sicura di sì," scherzò Leanne, "Sei il mio super papà, però attento a non perdere di nuovo gli occhiali."

L'uomo rise e si alzò da letto, tirandola su con sé. "Ora vieni, Annabeth è di sotto che si strugge per te, mi ha praticamente pregato di salire."

Oh, Annabeth! Era sempre la solita, pensò Leanne con affetto. 

"Aspetta un attimo, papà," lo guardò con curiosità. "Io non ho mai detto che si trattava di un ragazzo, come hai fatto?"

"Certe cose un genitore le sa, piccolina," fu la risposta saggia che ricevette. "E poi, Annabeth non è l'unica anima in pena che sta in salotto."



🎈


Alzò la mano chi è innamorata del papà di Leanne che fondiamo un fun club. Padre che ormai, dopo un commento nello scorso capitolo, per me ha il volto di Luca Argentero.

Ma passiamo alle cose importanti. Ethan, Ethan, Ethan. Voi avete altri punti all'ordine del giorno? Perché io no...

Finalmente si inizia ad avere un'idea sempre più chiara di cosa è successo e cosa gli è passato per la testa, anche se (anche questa volta, si) non è ancora tutto svelato. Adesso sappiamo i fatti ma non possiamo davvero dire che sia stato affrontare l'argomento - che, se non l'aveste capito, occuperà la restante parte dei capitoli. Possiamo infatti dire che dallo scorso capitolo siamo ufficialmente entrati nella seconda parte della storia.

Non ho molto da dire sulla questione "padre di Ethan" perché si commenterà da solo in futuro, dandovi la possibilità di conoscere di più. Ciò che posso fare è dirvi che in casi come questo non è facile. Mi permetto di sbilanciarmi e dirvi che parlo per sperimenta personale quando vi dico che la reazione di Ethan, per assurdo, è più che giusta. Una cosa così ti spiazza, ma soprattutto l'assenza di un padre (così come di una madre... di un genitore in genere) è una cosa che ti segna.

Puoi pensare di cavartela quanto vuoi ma alla fine lo sai tu e solo tu quanto questa "mancanza" ti accompagnerà. Detto ciò, spero di avervi aiutato a capire Ethan che sicuramente non si è comportato bene ma ja semplicemente smesso di ragionare.

Il prossimo capitolo sarà un extra con il pov di Ethan, quindi direi che è abbastanza ovvio il periodo di ambientazione.

Passiamo ai soliti "angoli" lettore:

Finalmente sappiamo cosa è successo, ve l'aspettavatw? No? Why?

Leanne io la trovo davvero maturata rispetto al primo libro e anche ai primi capitoli di questo. Non ha senso rifiutare di essere ancora dentro la storia con Ethan, e ha smesso di farlo con se stessa.

Sono troppi capitoli che passo senza James, sto andando in astinenza.

Big Help: vi viene in mente un attrice che possa essere Annabeth, da usare per le foto, card etc che faccio per promuovere la storia. Io avevo pensato a Jennifer Lawrence o Emily VanCamp, ma in realtà è un grande boh. Sono aperta a proposte.

Ah si, ho pubblicato alle 2 di notte perché domani mattina dovrò fare un full immersion nello studio matto e disperato, e pubblicare mi avrebbe distratta e avrei sprecato la mattinata col telefono in mano.

Dura la vita dell'universitario!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro