03. Reazioni inaspettate
Leanne chiuse la porta alle sue spalle e si buttò sul letto con un tonfo: la sera prima aveva impostato la sveglia notevolmente presto, il che era già per sé un evento straordinario trattandosi di lei ed essendo in vacanza.
Ma anche la sua pigrizia aveva una fine ben precisa, con un nome e un cognome: Ethan Powell.
Era disposta a svegliarsi all'alba ogni mattina pur di non essere costretta a fare colazione con lui. Proprio per questo, aveva passato la notte a escogitare un piano così da riuscire a evitarlo per tutta la sua permanenza a casa e, se fosse stata attenta, sarebbe riuscita a non rivederlo fino all'inizio della scuola.
Chiaramente, avrebbe stilato un piano anche per allora, ma aveva tempo.
Sentì distrattamente dei rumori fuori la sua porta, segno che anche gli altri si stessero svegliando.
"Vado un attimo in bagno e scendo," sentire la voce di Ethan, nonostante avesse preparato l'intera nottata a preparasi psicologicamente, riuscì comunque a destabilizzarla come se fosse appena finita sotto un treno.
Avrebbe mai smesso di sentirsi così con la sua sola presenza? Come se un treno ad alta velocità l'avesse investita in pieno. Sperava fortemente di sì, perché a essere onesti non aveva molta voglia di passare l'estate a disperarsi per un idiota come lui.
Era già stato sufficiente l'anno trascorso che gli aveva dedicato.
La suoneria del suo telefono fu tempestiva e riuscì a ridestarla dai suoi pensieri. E menomale, o avrebbe finito per deprimersi tutto il giorno.
"Caramellina del mio cuore, ma ciao!" Leanne quasi urlò nel ricevitore del telefono.
"Sei sorprendente felice, perché?" chiese la voce leggermente metallica di Annabeth, dall'altra parte del telefono.
"Hai chiamato proprio al momento giusto, sai? Ho deciso che devo iniziare a essere più propositiva verso la vita."
Il silenzio che seguì le sue parole fu così lungo che Leanne temette fosse caduta la linea. Allontanò velocemente il telefono per controllare che l'amica fosse ancora lì e che non vi fossero interferenze.
"Annie... sei ancora lì?"
"Scusa, questa non me l'aspettavo," rispose Annabeth. "Leanne, tu sei la quint'essenza del pessimo."
"Da oggi non più, abbraccio una nuova filosofia di vita," fece Leanne e si sistemò meglio sul letto. "Più... com'è che si dice? Ah, giusto: più zen. Dirò sì più spesso alle opportunità che la vita mi offre e smetterò di perdere tempo dietro agli idioti."
"Len, c'è forse qualcosa che devi dirmi?"
Leanne si portò una mano alla testa, ricordandosi come non avesse aggiornato l'amica delle ultime novità.
"Tieni forte, Annie... sei seduta?"
"Sono ancora a letto, quindi direi di sì. Avanti, parla."
"Ieri è arrivato Ethan a casa."
Leanne dovette allontanare il telefono dall'orecchio per non essere stordita dall'urlo dell'amica e alzò gli occhi al cielo con un sorriso.
"Racconta, subito," Annabeth fu perentoria e sentì una serie di rumori in sottofondo. "Scusa, stavo chiudendo la porta della camera. Se mamma si accorge che sono sveglia dovrò per forza alzarmi."
Leanne rise, conoscendo bene la teoria della madre sull'abitudine (a suo dire pessima) di sprecare mattine intere a letto e in pigiama.
Abitudine che, invece, Annabeth apprezzava particolarmente.
"Voglio tutti i dettagli. Cosa vi siete detti, come vi siete saluti..."
"In realtà, non c'è molto da raccontare," rispose Leanne. "Io non l'ho salutato, poco ci mancava che non gli chiudessi la porta in faccia. Se non fosse intervenuta mamma, probabilmente ora lui avrebbe un livido in faccia e io un prurito alla mano in meno."
"E non ha provato a parlarti? Perché è a casa tua?"
"E' qui perché Noah ha deciso che voleva una sorella in meno, e questa gli sarà sembrata la via più facile. James, per lo meno, era furioso con lui."
"Ma avete parlato o no?" insisté Annabeth.
"Una mezza cosa, diciamo. Dopo cena siamo rimasti un po' da soli e lui voleva chiarire, ma io non gliene ho dato modo."
"Voleva chiederti scusa," riassunse Annabeth. "Esattamente, si scusava per..."
"Non te lo dirò, Annabeth."
Annabeth, dall'altra parte del telefono, emise un verso di stizza. "Andiamo, Len. Perchè non vuoi dirmi perché vi siete lasciati?"
"Perchè no, non voglio tornare a parlare di quello e non voglio neanche più parlare di lui. Ha avuto abbastanza tempo della mia vita, ora basta."
"Ma io sono curiosa," sbuffò Annabeth. "E potrei darti un giudizio più obiettivo se tu..."
"Annie, ho detto no. Ora perché non finisci di dirmi quello che mi stavi dicendo l'altra vol..."
"Aspetta un attimo," la interruppe l'amica. "Ho capito," la sentì urlare. "Sì, arrivo... No, mi sono svegliata ora. Len," Annabeth sospirò, "Gozilla mi reclama...Sto arrivando," urlò ancora. "Scusa, devo andare: ci sentiamo!"
Leanne non ebbe il tempo di rispondere che sentì nuovamente l'amica alzare la voce e la telefonata chiudersi.
Almeno con Annabeth non ci annoiava mai.
Guardò l'orario sul suo telefono: erano solo le dieci e mezza del mattino e lei cominciava ad annoiarsi terribilmente.
Magari, con un po' di fortuna, Noah ed Ethan sarebbero usciti per non tornare mai più. Che visione!
"Leanne," urlò Noah, dal piano di sotto. "Leanne, mi senti?"
Leanne sbuffò, questo decisamente non era dei piani: ora avrebbe dovuto rispondere e sarebbe stata costretta ad avere a che fare con Noah e, di conseguenza, con Ethan. E tutta la nottata che aveva passato sveglia per riuscire a evitarlo sarebbe stata inutile.
Probabilmente, se non gli avesse risposto si sarebbe stancato di chiamarla.
"Leanne," chiamò Noah, ancora più forte.
Prima o poi.
"Leann..."
"Cosa vuoi?" spalancò la porta e si affacciò, nervosa per il piano saltato.
"Scendi" sentì dei passi, segno che Noah si era avvicinato alle scale per parlarle meglio. "C'è un ragazzo per te, un certo..." s'interruppe. "Scusa, come hai detto che ti chiami? Ah, sì... un certo Daniel."
Porca miseria!
Daniel era lì e voleva parlare con lei... e lei aveva i capelli stravolti e indossava una tutta con sopra dei pulcini.
Porca miseria! Ma cosa aveva fatto di male alla vita? Evidentemente, doveva aver fatto qualcosa di molto brutto in una vita precedente e quella era la pena che doveva scontare.
"Arrivo..." si schiarì la voce, cercando di suonare meno gracchiante. "Arrivo subito, solo un secondo."
Corse davanti lo specchio e, cercando di soffermarsi il meno possibile su tutto ciò che non andava nella sua figura in quel momento, si fece una coda veloce così da sistemare il cespuglio che aveva in testa.
Buttò un occhio in giro per la stanza e, saltellando su un piede, cominciò a togliersi la tuta con i pulcini. Afferrò un pantalone che aveva lasciato in giro e se lo infilò, aprendo contemporaneamente la porta della camera.
Beato disordine che le faceva trovare le cose nei momenti più disperati.
"Eccomi," disse Leanne, scendendo le scale a due a due, fino a trovarsi davanti a Daniel in sua attesa. "Ciao, scusami."
"Tranquilla," le sorrise. "Eri impegnata?"
"Oh, no, figurati, stavo solo..." evitando il mio ex ragazzo che, guarda caso, sta dormendo alla porta accanto alla mia, "Mettendo in ordine la camera."
Sì, come no. Noah, in piedi alle spalle di Daniel, a quelle parole alzò le sopracciglia scettico e scosse la testa.
"Come mai qui?" chiese Leanne, con un sorriso e avvicinandosi al ragazzo.
"Sono venuto a prendere James," Daniel si strinse nelle spalle, "E ho approfittato per salutarti. Ieri siete corsi via e non ci siamo salutati bene."
Leanne cercò di mascherare l'entusiasmo, nonché il sorriso gongolante, e fece per rispondere, quando venne interrotta da una tosse particolarmente forte.
Si voltò verso la cucina e vide Ethan, comodamente appoggiato allo stipite della porta, che si godeva la scena con una tazza in mano.
"Scusate, non volevo rovinare il momento," mise su la sua tipica faccia da schiaffi, "Mi è andato un po' di caffè di traverso. Comunque piacere, amico, sono Ethan."
Daniel la guardò per un momento confuso, prima di ricambiare la stretta di Ethan: "Sono Daniel. Non sapevo aveste un altro fratello."
Oh, per carità, ci mancava solo quello.
"Non lo abbiamo, infatti," rispose Leanne, anticipando qualsiasi risposta di Ethan. "E' un amico di mio fratello. Niente di più."
Indirizzò un sorriso vittorioso in direzione di Ethan e si beò della sua espressione contrita: uno a zero per lei, palla al centro.
"E tu invece," intervenne Ethan, "Sei anche tu solo un amico?"
Leanne strinse i pugni, cercando di mantenere un'espressione distesa quando invece non avrebbe voluto altro che andare da lui e strangolarlo. Lo avrebbe ucciso. Oh, se lo avrebbe fatto, era solo questione di tempo.
Sarebbe entrata in camera sua di notte e lo avrebbe soffocato senza pietà.
Daniel si grattò la nuca in imbarazzo. "Ecco, a proposito di questo. Volevo proprio chiederti una cosa," Leanne annuì, in attesa, e vide con la coda dell'occhio l'espressione turbata di Ethan. "Certo, non mi aspettavo tutto questo pubblico ma... sabato ti andrebbe di fare un giro?"
"Tu e io?" squittì, in un modo che avrebbe successivamente definito imbarazzante, e Daniel annuì. Leanne cercò di ignorare la linea sempre più sottile delle labbra di Ethan, così come gli occhi spalancati e fissi su di lei del fratello: erano tutti in attesa di una sua risposta e lei non avrebbe certo deluso le loro aspettative. "Con molto piacere, sono contenta tu me l'abbia chiesto."
Due a zero per lei, palla al centro.
Quella giornata era partita nel migliore dei modi e, se fosse continuata nello stesso modo, non avrebbe potuto che migliorare.
"Che grande idea," Ethan si avvicinò a loro, ignorando l'occhiata glaciale che gli stava riservando. "Sei stato molto gentile, Dan. Posso chiamarti Dan?"
"No che non puoi," rispose Leanne, temendo il peggio.
"Come vuoi, amico. Dan va bene."
"Bene, Dan. Mi sembri un caro ragazzo," Ethan sorriso. "Vero, Noah?"
"Non mettermi in mezzo, Ethan."
Ethan alzò gli occhi al cielo e sfoggiò un sorriso radioso: "Ehi, amico," ma quante diamine di volte stava dicendo amico? "Ora che mi viene in mente, ci serve un uomo per una partita di calcetto. Ci stai?"
Leanne spalancò gli occhi, inorridita all'idea. Non riusciva a capire quale fosse il piano di Ethan ma, di qualunque cosa si trattasse, non avrebbe portato a niente di buono per nessuno di loro.
Come ogni volta che c'era lui di mezzo.
"Ethan," fece Leanne a denti stretti, "Sono sicura che Daniel abbia ben altre cose da fare che..."
"In realtà no," ammise Daniel. "Mi piace! Fatemi sapere quando, sono dei vostri."
"Grandioso," poco ci manco che Ethan non abbracciasse il ragazzo per l'entusiasmo, e Leanne strinse la mano in un pugno, cercando di non far trapelare l'agitazione.
"Ethan," chiamò allora.
"Dimmi, Stellina."
"Potresti, per favore, venire un momento con me in cucina? Così ti faccio vedere dove mettere la tazza."
"Oh, ma io lo so dove..."
"Muoviti," lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé e in cucina.
Si girò un'ultima verso Daniel che, ancora in piedi nell'ingresso, li guardava interdetto. Gli dedicò il miglior sorriso rassicurante e spontaneo (ma a chi la dava a bere?) che riuscisse a fare e, con discrezione, fece segno a Noah di fare qualcosa nel frattempo.
Che almeno iniziasse a rendersi utile.
"Stellina, allora cosa..."
"Sta zitto," lo interruppe Leanne, spingendolo violentemente contro il muro. "Non hai diritto di parola in questo momento."
"Ho sempre adorato questo tuo lato aggressivo," Ethan ammiccò, per nulla toccato dalla situazione. "Lo trovo molto eccitante."
Leanne lo colpì al fianco e aumentò la presa sul suo petto. Ma che aveva fatto di male nella vita? Davvero!
"Non voglio sentirti parlare, non mi devi guardare e assolutamente non puoi pensarmi. Per te non esisto più, ormai. Qualunque cosa tu abbia in mente è bene che tu..."
"Rilassati, Stellina, o così ti verranno le rughe," fece Ethan e Leanne ringhiò. "Non fraintendere, a me piaci sempre ma non so se il nostro amico Daniel sarà dello stesso avviso."
"Io ti odio."
"Non è vero, sei pazza di me."
"Hai ragione, sono così pazza che sto immaginando cinque scenari diversi che si concludono con me che ti stringo le mani al collo," Leanne allentò la presa e mosse alcuni passi all'indietro, per allontanarsi da lui. "Cosa vuoi da me?" chiese sconfitta.
"Te, è semplice," Ethan si strinse nelle spalle e accennò a un sorriso.
"E' tardi, ormai."
"Se solo mi lasciassi spiegare," il ragazzo cercò di avvicinarsi ma, non appena vide l'avvertimento nei suoi occhi, arrestò la propria camminata. "Non chiedo altro."
"Non voglio che mi spieghi niente, te l'ho già detto. Per favore, non rendere questa convivenza difficile."
Leanne abbassò lo sguardo, non riuscendo a reggere il confronto con quello di Ethan: avrebbe finito per immergersi nel verde dei suoi occhi, perdendo così ogni capacità di contrastare i suoi tentativi di avvicinarla.
"Qual è il tuo piano?" gli chiese.
"Nessun piano," ammise Ethan, candidamente. "Sembra un ragazzo simpatico e ci serviva davvero un ultimo giocatore."
"Ma io devo uscire con lui e tu sei... tu, non pensi che..."
"Non penso niente, Leanne," la interruppe e fece quell'ultimo passo che lo separava da lei. "Non devo pensare a niente, perché io so che torneremo insieme, quindi non ho motivo di prendermela con un ragazzo che non ha neanche l'ombra di una possibilità."
Fu con queste ultime parole e con buffetto affettuoso sotto il mento che Ethan se ne andò, lasciandola impalata nel bel mezzo della cucina.
Non era così che si era immaginata la conversazione e decisamente non era il modo in cui doveva finire.
Leanne due, Ethan cento.
E al diavolo la palla al centro.
Dopo alcuni minuti in cui era rimasta sola e in silenzio, James si affacciò nella cucina con espressione infastidita: "Cos'è questa novità che esci con Daniel? Dovresti smetterla di uscire con i nostri amici, davvero."
Eccoci qui con il terzo capitolo. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate della situazione che stanno vivendo Ethan e Leanne, e soprattutto su come entrambi la stanno affrontando.
È ancora preso per avere un'idea chiara, lo so, ma sono curiosa.
Ma soprattutto... quanto amiamo James?
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