02. L'estate addosso
Leanne si sedette controvoglia al tavolo e mise su la sua migliore espressione corrucciata.
"Iniziamo a mangiare," disse sua madre, "Ethan, caro, siediti pure dove preferisci."
Leanne alzò brevemente lo sguardo e lo vide sedersi sulla sedia di fronte la sua.
Le coincidenze della vita, insomma.
Al fianco di Ethan, Noah continuava imperterrito a guardarla: lei sapeva bene che, se avesse incrociato i suoi occhi anche solo per un secondo, vi avrebbe letto tutto il suo senso di colpa per quella situazione.
Peccato che quella volta non era proprio disposta a perdonarlo.
E che diamine!
James, contrariamente al solito, si sedette vicino a lei e le sfiorò una mano con la propria: "Se vuoi gli do un pugno."
Alzò gli occhi al cielo. Possibile che continuasse ancora a risolvere tutto in quel modo?
Eppure uno si sarebbe aspettato un po' di maturità da lui, ormai, ora che era un uomo diplomato pronto alla vita adulta (queste, almeno, erano state le parole commosse della nonna).
"Esattamente, chi dei due vorresti picchiare?" chiese Leanne, con voce disinteressata.
"Mi è indifferente, a essere sincero. Per me vanno bene anche entrambi."
Giusto appunto, maturità e responsabilità.
"Magari la prossima volta, eh." Leanne ringraziò la madre, prendendo il piatto che le porgeva.
Di fronte a lei, Ethan fece lo stesso e le sorrise.
Si impose di abbassare gli occhi e, soprattutto, di mantenere l'espressione impassibile, ma la verità era che i sorrisi di Ethan erano la cosa che più le era mancata.
"Allora, Ethan... come sono andate le vacanze?" chiese sua madre.
Leanne strinse la presa sulla forchetta facendosi diventare le nocche bianche per lo sforzo.
"Niente di eccezionale," rispose il ragazzo, stringendosi nelle spalle. "Potevano andare meglio."
James, al suo fianco, cominciò a masticare un boccone generosamente grande e in modo rumoroso.
Evidentemente, si disse, il disagio lampante che stava provando era evidente almeno a suo fratello.
Tutt'al più che Ethan continuava a tenere lo sguardo fisso su di lei, e l'insistenza dei suoi occhi era tale che sarebbe potuta andare a fuoco.
La cena era appena iniziata e lei già desiderava fuggire il più lontano possibile. Ed era solo la prima di tante.
"Io sto imparando ad andare sulla bicicletta, invece. Senza rotelle," ci tenne a precisare Ally, a un interlocutore imprecisato.
"Ma sei un piccolo genio," Ethan le strizzò l'occhio, "Io alla tua età mica ero capace, sai?"
Ally annuì, ben consapevole di essere brava. Dopotutto, era quello che le veniva ripetuto ogni giorno da qualsiasi membro della famiglia.
Avrebbero dovuto smetterla o, una volta cresciuta, avrebbe avuto un ego tale che, in confronto, James sarebbe stato solo un lontano e sbiadito ricordo.
"Se vuoi, domani ti faccio vedere," rispose sua sorella. "So quasi fare tutto il giro del giardino."
Per la miseria.
Sua sorella di sette anni faceva la civetta con il suo ragazzo.
Rettificava.
Sua sorella di quasi sette anni faceva la civetta con il suo assolutamente ex ragazzo.
Ma si poteva essere più sfigate di così?
"Certo, scricciolo," rispose Ethan, usando il tipico nomignolo con cui erano soliti chiamare Ally in famiglia.
Inutile dire che, a quella risposta, la sorella per poco non ebbe gli occhi a cuoricino e non si lasciò andare a un sospiro sognarne.
Ma porca miseria!
"Tua madre come sta? Mi riprometto sempre di telefonarla ma ci sono così tante cose da fare ogni giorno e..." sua madre lasciò cadere la frase, in imbarazzo per quella sua dimenticanza.
Leanne cercò di finire quanto aveva nel piatto il più velocemente possibile, mentre Ethan conversava come se niente fosse e lei non fosse sul punto di ucciderlo.
Poco ci mancò che, nella foga di finire, non si strozzasse e dovette pure subire l'umiliazione di essere richiamata dalla madre.
"Leanne, santo cielo, non stiamo mica facendo una gara."
James, contro ogni aspettativa, riuscì a essere molto dolce, stringendole di tanto in tanto il ginocchio affettuosamente e intervenendo al posto suo nella conversazione ogni qual volta fosse necessario, impedendo così che l'attenzione potesse ricadere su di lei.
E insultando Noah in ogni occasione che lo permetteva, ma quelli erano solo dettagli.
Fu quindi con notevole sollievo che Leanne, alzando finalmente la testa dal suo piatto, vide come tutti avessero finito di mangiare e come la conversazione si stesse lentamente esaurendo.
Le sue preghiere erano state accolte.
"Mamma, io devo andare a prepararmi o farò tardi," disse James, alzandosi e controllando l'ora. "Posso?"
Sua madre controllo velocemente il telefono, per cercare un messaggio di suo padre. "Va bene, Jim. Non fare troppo tardi, mi raccomando."
James le schioccò un bacio sulla guancia e corse di sopra.
Leanne, ben felice di non essere la prima ad essersi alzata, fece per seguire l'esempio del fratello.
La sua idea di serata ideale, al momento, la vedeva chiudersi in camera sua ed evitare la presenza di Ethan fino a data da destinarsi.
Doveva solo procurarsi un'adeguata scorta di cibo.
"Noah, mi dai una mano a sistema le ultime cose in camera tua per Ethan?"
Noah annuì e, lasciando i piatti che aveva iniziato a raccogliere, si alzò da tavola.
Aveva ancora quell'espressione pentita e Leanne sentì un formicolio attraversarle la mano: forse avrebbe dovuto permettere a James di intervenire a modo suo, almeno quella volta.
Solo un po', non troppo.
"Tesoro, sparecchi tu?"
Leanne si voltò a guardare la madre a occhi aperti e con una protesta già sulla punta della lingua: quello era un enorme intoppo nel suo piano di fuga.
"Non si preoccupi, signora," s'intromise Ethan, "Le darò una mano io."
Merda. Era stata incastrata e per di più con l'aiuto di sua madre.
Si voltò speranzosa verso la sorella, suo ultimo salvagente rimasto.
"Mammina," urlò Allison. "Aspettami, vi ho io stare con te," e corse via.
Ma, davvero!, quanto poteva essere sfigata?
Cominciò a impilare i piatti l'uno sull'altro con rabbia, provocando un suono sempre più forte dovuto allo scontro violento della ceramica.
Ancora un po' e sicuro ne avrebbe rotto uno, e lì sì che sarebbe stata fregata.
"Scommetto che per tutta la cena non hai fatto altro che pensare a un modo per evitarmi e non dover parlare con me."
Accidenti.
La semplicità con cui Ethan, ogni volta, dimostrasse di conoscerla più di quanto lei si potesse aspettare faceva male. Era una fitta che partiva esattamente al centro del petto e si estendeva fin dentro lo stomaco.
Annabeth le aveva detto che era mal d'amore, ma secondo lei non era altro che mal di guarda che stronzo è il mio ex.
"Fammi indovinare, quante fasi aveva il piano? Quattro?" Ethan le passò l'ultimo piatto e, nel farlo, le sfiorò la mano, attardandosi più del dovuto.
Almeno, si disse Leanne, non la conosceva così bene: aveva pensato a ben sei fasi, più una di scorta.
Mi dispiace per te, Ethan, ma questa volta hai sbagliato.
"Leanne," il ragazzo si fermò e con una mano la costrinse a voltarsi. "Potresti almeno rispondermi?"
"Per me non esisti," disse allora Leanne. "Non voglio avere niente a che fare con te e ti sarei immensamente grata se potessi evitare di rivolgerti a me direttamente."
Gli rivolse uno sguardo glaciale e si impose di non farsi scalfire dall'espressione triste che vedeva riflessa nel suo volto.
"Adesso non dire così, dai," stavolta fu Ethan a spostarsi per raggiungerla e posizionarsi davanti a lei. Le tolse i piatti di mano, posandoli sul lavandino dietro di sé. "Se solo mi lasciassi spiegare, se ti decidessi a parlarmi..."
"Non vedo perché dovrei."
"Perché se sapessi come sono andata realmente le cose, non ce l'avresti più con me," Ethan le si avvicinò, supplichevole. "O forse sì, ma molto meno di ora, e a quel punto potrei fartela passare."
"Il problema è che a me non interessa sapere cosa è successo, non più almeno," rispose Leanne e mosse un passo all'indietro, per allontanarsi da lui.
Da lui e dal suo respiro caldo che, nonostante non volesse ammetterlo, riusciva ancora a destabilizzarla.
Da lui e dai suoi occhi così espressivi che, maledizione a loro, avevano sempre il potere di trasformale le gambe in gelatina.
Da lui e da quel suo sorriso che non era cambiato di una virgola, era sempre lo stesso e riusciva ancora a farle mettere in discussione tutto il suo mondo.
"Non fare così, Len. Non fare la melodrammatica."
Da lui e la sua faccia da schiaffi che, nonostante tutto, avrebbe baciato anche con la paura che potesse arrivare sua madre da un momento all'altro.
Leanne allargò le narici, cercando di incanalare aria e di calmarsi.
Alzò la mano verso di lui e, inarcando le labbra, levò il dito medio verso l'alto: "Ethan, fottiti."
Si allontanò velocemente da lui e si sporse verso il corridoio. "Ehi, James," urlò, "Stasera posso uscire con te?"
Passarono alcuni secondi e dal secondo piano arrivo la risposta affermativa del fratello.
"Io vado a prepararmi, finisci tu di mettere in ordine, sì?"
🎈 🎈 🎈
Uscire con James, inaspettatamente, si rivelò più piacevole del previsto.
Nonostante le mille discussioni di cui erano sempre stati protagonisti, aveva scoperto che lei e il fratello sapevano essere davvero complici.
Scherzavano insieme e riuscivano persino a parlare con le stesse persone contemporaneamente senza ammazzarsi.
Sua madre avrebbe gridato al miracolo, se solo li avesse visti.
Senza contare che gli amici di suo fratello non l'avevano tratta come la sorellina piccola di James neanche per un momento, mostrandosi da subito amichevoli e curiosi di conoscerla.
"Non sei per niente come ti aveva descritta, sai," disse uno dei ragazzi, avvicinandosi amichevolmente.
Aveva una massa di capelli ricci che, a causa del vento, proprio non riuscivano a stare fermi e un sorriso dolce.
A Leanne inspirò subito simpatia, oltre che portarla a chiedersi quanto sarebbe stato inopportuno offrirgli una forcina per tenere a bada i capelli ribelli.
"Spero proprio di no, sono abbastanza sicura che non abbia esattamente delle parole lusinghiere per me."
"Non proprio, no," ammise il ragazzo, "Ma non preoccuparti, è la sorte dei più piccoli: non sai quante volte anche io mi sono lamentato di mia sorella."
"Mi premurerò di fondare il club delle povere sorelle maltrattate e svalutate, allora," scherzò Leanne.
Certo che James non contribuiva a diffondere di lei una bella immagine. Avrebbero proprio dovuto fare un discorsetto una volta arrivati a casa.
Non capiva proprio cosa avesse da lamentarsi... lei era adorabile, accidenti.
"Comunque sono Daniel," le porse la mano. "E abitiamo nella stessa via."
Leanne si fermò per un momento a osservarlo meglio con espressione interrogativa, fino a quando non le si palesò davanti l'immagine di un bambino riccio che correva dietro un pallone con il fratello e un improbabile maglietta più grande di lui.
"Eri tu," esclamò allora, "Cioè voglio dire... sei tu!"
Daniel rise e si passò una mano nei capelli, per sistemarseli. "Già, di solito io sono io, è una mia abitudine. È incredibile, sono anni che non ti vedo, se ti avessi incontrato per strada probabilmente neanche ti avrei riconosciuto."
"A chi lo dici, non ti avrei mai associato a... cioè," Leanne s'interruppe, pensierosa. "Probabilmente se avessi indossato di nuovo quella maglia così brutta ti avrei sicuro riconosciuto."
"Ma di cosa stai parlan..." Daniel spalancò gli occhi, mentre anche lui cominciava a ricordare. "Ma sì, mi ricordo, era fantastica quella maglietta. Me l'aveva dato uno dei giocatori del liceo vicino, lui era il mio eroe."
"Oh, ti prego, era proprio brutta. E poi chi era questo grande atleta, scusa?" scherzò Leanne, con una piccola risata.
"Non me lo ricordo più," rispose Daniel e si strinse nelle spalle.
"Allora sì che era un eroe degno di nota," fece lei e Daniel, in risposta, la spintonò scherzosamente.
Leanne si portò una ciocca di capelli al dito e cominciò a giocarci, completamente rapita dalla conversazione.
Fu solo quando James le si avvicinò che si costrinse a distogliere l'attenzione da Daniel per dedicarsi a qualcosa di diverso.
Anche se, neanche due secondi dopo, già lo stava cercando di nuovo con lo sguardo per accertarsi che lui fosse ancora concentrato su di lei.
E così era, si disse esultando mentalmente.
"Len, andiamo?" propose il fratello. "Mamma mi ammazza se faccio tardi un'altra volta e stiamo passando proprio dalle parti di casa, a questo punto torniamo."
Ma lei non voleva tornare a casa!
Voleva parlare ancora con Daniel e vederlo sorridere per qualcosa che diceva lei, e sentirsi di nuovo al centro delle attenzioni di qualcuno.
Era da tanto che non succedeva, più precisamente da quando un certo individuo di genere maschile e sottosviluppato aveva deciso di... beh, mostrarsi per l'essere sottosviluppato che era.
E ormai era arrivato il momento di andare avanti, non aveva più voglia di perdere tempo dietro a Ethan Powell.
Fu per questo che annuì, ma con malavoglia, alle parole del fratello e si apprestò a salutare tutti.
"Ci vediamo in giro," disse, una volta trovatasi di fronte a Daniel.
"Contaci," rispose lui con un simpatico occhiolino.
Leanne sorrise e, insieme a James, si allontanò dagli altri per tornare a casa.
"Sono stata bene, Jim. Grazie."
"Non ho fatto niente," si sminuì James, "E poi non sono scemo, mica ti lasciavo a casa con quei due idioti."
Leanne si morse il labbro inferiore: era un bravo fratello James.
Troppo bravo, rifletté. Specialmente per i suoi standard.
"Ehi, James," si affrettò a raggiungerlo, mentre lui apriva la porta di casa. "Hai rotto tu la mia lampada a forma di papero?"
James, a quelle parole, quasi corse al piano di sopra, lasciandola senza risposta e ancora sull'uscio di casa.
Suo fratello era così prevedibile. Scosse la testa rassegnata ed entrò in casa, cercando di fare il minor rumore possibile per compensare quello da bufalo del fratello.
"Attenta a non inciampare," fece una voce alle sue spalle, cogliendola di sorpresa.
Leanne saltò sul posto e, portandosi una mano al petto, si voltò.
Il cuore le batteva per lo spavento e, strizzando gli occhi, riuscì a individuare il suo interlocutore nel buio della casa.
Poco lontano da lei, Ethan la guardava a braccia incrociate e con un piccolo sorriso ad ammorbidirne i tratti.
"Mi hai spaventata, idiota," lo accusò. "Perché sei sveglio?"
"Avevo sete," fece Ethan e alzò un bicchiere a riprova delle sue parole.
"E quindi hai deciso bene di farmi venire un infarto."
"Era un'occasione irripetibile, non sono riuscito a farmela scappare."
Leanne si massaggiò le tempie, esausta. "Ottima scelta! Ora, se non hai altro da dire, io andrei."
"Una cosa c'è, effettivamente," Ethan le si avvicinò così tanto da far toccare i rispettivi petti. "Oggi volevo dirti che sei molto carina, ma non me ne hai dato l'occasione. L'estate ti dona."
Le sfiorò la mano. Fu un tocco così breve che Leanne, per un momento, si chiese se non se lo fosse immaginato.
Ethan le diede le spalle e si diresse al piano di sopra.
E adesso chi avrebbe dormito più?
Sono stata molto contenta di vedere che siete ancora tutti qui, pronti a ridere e disperarvi con quei due testoni.
Ci tengo solo a dire una cosa: non disperate!
E soprattutto, non odiatemi.
Comunque sia, alcune piccole premesse:
- ovviamente incontrerete un Ethan è una Leanne poco diversi rispetto al primo volume: è il naturale corso delle cose e loro sono diciamo "maturati" (perché è possibile)
- rispetto al primo libro alcune dinamiche saranno sacrificate dal loro essere in vacanza e quindi non più tutto insieme a scuola
- Non prendiamocela con Noah, è solo un cucciolo indifeso
- troverete Ethan e a Leanne un po' lontani dai due ragazzini che non riuscivano ad ammettere di avere una cotta: sono stati insieme, hanno acquisito consapevolezza dei loro sentimenti e preso confidenza.
Quindi sono più consapevoli di quello che provano
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