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00. Cosa è successo?

Leanne Adams, quella mattina, aprì gli occhi e con una smorfia si nascose il viso sotto le coperte, cercando di evitare la luce prepotente del sole.

Avrebbe dovuto cominciare a chiudere la finestra prima di andare a dormire o si sarebbe svegliata sempre con un forte mal di testa. Con un sonoro sbadiglio ed elencando mentalmente tutti i motivi per cui era necessario alzarsi dal letto, scostò le coperte e si sedette sul letto.

Alzò lo sguardo e, di fronte a lei, il suo riflesso le offrì un'immagine di lei che definire disastrosa sarebbe stato un insulto. Promemoria per la giornata: spostare lo specchio da vicino al letto.

Fu questione di pochi minuti, tempo che impiegò per svegliarsi e smettere di guardare lo specchio, e subito un'ondata di euforia la travolse.

Quello, si disse, era il giorno: con tutte le lettere maiuscole e in grassetto, e in corsivo e tutto quello che si poteva usare.

Era il suo compleanno, per la precisione lo era da ben 10 ore e 36 minuti, e non avrebbe perso un minuto di più. Quel giorno diventava ufficialmente una sedicenne (niente più "quindici e 275 giorni") e niente sarebbe più andato storto.

Aveva avuto all'incirca quattro anni quando aveva stabilito, con la tipica fermezza e ferrea convinzione di una bambina, che i sedici anni sarebbero stati il suo traguardo.

Quando nella vita le chiedevano cosa voleva, lei si limitava a una lapidaria quanto spiazzante risposta: "Avere sedici anni."

E ora quel giorno era finalmente arrivato e nell'aria, lo sentiva, c'era qualcosa di diverso: una magia che non avrebbe dimenticato tanto facilmente.

Aveva finalmente sedici anni!

Niente più "Hai solo quindici anni, sei una ragazzina,", nessuno più le avrebbe detto "Ma che ne vuoi capire tu, sei piccola."

I quindici anni erano storia vecchia per lei. Quel giorno metteva piede nei sedici e, se lo sentiva, tutto sarebbe stato diverso.

Con un balzo scese dal letto e, senza neanche infilare le pantofole, corse al piano di sotto, pronta a dare inizio a quella giornata in cui era lei la protagonista indiscussa.

"Tanti auguri, pulce," fu il saluto di suo fratello James, non appena Leanne entrò in cucina, evitando per poco di cadere scendendo l'ultimo scalino.

Si fermò non appena varcata la soglia della porta, godendosi lo spettacolo dei suoi due fratelli che l'aspettavano.

Premette mentalmente "play" e diede il via al suo compleanno.

"Grazie, fratelli," rispose, puntando il naso in alto e camminando sulle punte dei piedi. "Vi ringrazio infinitamente, ma spero capirete se non mi lascerò andare a manifestazioni troppo eccessive. Ormai sono una donna adulta."

Noah e James, di fronte a lei, si scambiarono uno sguardo veloce di biasimo prima di placcarla in un abbraccio.

Anche se, a detta sua, sembrava più una mossa di lotta libera.

"Mi state strozzando," borbottò Leanne in affanno, cercando di allontanarsi da quel groviglio di braccia che erano diventati."

"Che strano," commentò Noah, con un sorriso, "Non eri tu che avevi istituito che il tuo compleanno fosse il giorno degli abbracci più grandi del mondo?"

"Avevo cinque anni," Leanne rise e spintono i due ragazzi per allontanarli da sé.

"Ma abbiamo fatto stretta di mignolo, ormai non si torna indietro," obiettò James, avvicinandosi al tavolo e versandosi del latte nella tazza.

"Allora," fece Leanne, sedendosi anche lei, "Non dovete dirmi niente?"

Noah e James si scambiarono uno sguardo complice e cominciarono a fare colazione.

"Ha chiamato papà," le comunicò Noah, disinteressato.

"Voleva farti gli auguri," continuò James, "Ha detto che ti richiama lui perché è a lavoro."

Leanne annuì, maledicendosi per aver dormito così tanto e aver perso così la telefonata del padre. Sperò solo che, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a tornare presto a casa e che quel viaggio di lavoro fosse l'ultimo.

"Nient'altro?"

"Cosa dovremmo dirti, Len?"

Con uno sbuffo spazientito, Leanne picchiettò le dita sul tavolo: "Il mio regalo," rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. "Dov'è e perché non l'ho ancora scartato?"

"Mi dispiace," strinse James nelle spalle, "Da me non scoprirai nulla. Ora smettila di guardarmi male e impegnati un po', quest'anno non indovinerai mai dove ho nascosto il tuo regalo."

Leanne spalancò la bocca, indispettita. Aveva sperato che, almeno quell'anno, sarebbe riuscita a scoprire qualcosa; meglio dei regali, infatti, c'era solo quella loro piccola sfida: ogni anno si nascondevano il regalo a vicenda e, se uno dei due fosse riuscito a trovarlo prima della mezzanotte, avrebbe avuto diritto a un altro regalo.

Inutile dire che solo una volta uno dei due era riuscito a vincere quella scommessa e per sua sfortunata di certo non era stata lei.

Ma quell'anno, lo sapeva, ce l'avrebbe fatta.

"Noah, tu invece cosa mi hai regalato?"

"Una giornata in mia compagnia," rispose il fratello, intento a prepararsi la colazione.

A quella risposta, non riuscì a reprimere una smorfia, mentre James si voltava a guardare il fratello con espressione di biasimo:

"Anche quest'anno senza idee?" lo stuzzicò, facendo un neanche poco velato riferimento alla totale assenza di capacità nel fare regali di Noah.

"Triste ma vero," fece Noah, senza falsi scalfire dal tono derisorio di James. "Non fare quella faccia, Leanne. Andremo in centro e potrai scegliere tu stessa cosa preferisci, accetterò tutto."

La faccia di James, a quelle parole, fu tutto un programma: Noah, per la prima volta da che aveva memoria, nella sua totale assenza di idee, aveva forse avuto la migliore che potesse esserci.

Leanne, ridendo felice, gli saltò al collo e cominciò a tempestarlo di baci sulla guancia.

"Così non vale, è giocare sporco," si lamentò James.

"Accetta la sconfitta, Jim, quest'anno ho vinto io.

Leanne annuì divertita e cominciò a tempestare il fratello di possibili idee per il suo regalo. "... e poi ho visto una borsa in quel negozio in centro, quello dove... aspettate un attimo," si interruppe nel bel mezzo della frase e si girò su se stessa. "La mamma dov'è"?

"E' andata a prendere le ultime cose per il pranzo prima che arrivino gli altri," disse Noah, cominciando a togliere le sue cose dal tavolo.

Leanne stava giusto per rispondere quando sentì una musica diffondersi per la cucina.

"E' il mio telefono," James si alzò per rispondere. "Sì, ciao, certo... okay, va bene, subito."

Leanne si sporse per riuscire a vedere il fratello, curiosa di sapere con chi stesse parlando.

"Sì, te la passo subito... okay, va bene... Ho capito!" James sbuffò e si avvicinò alla sorella e premette qualcosa sullo schermo.

Subito la ragazza si illuminò, vedendo il viso sgranato del padre che le sorrideva dal telefono di James.

"Tanti auguri, piccolina," la voce del padre arrivò lontana e poco chiara, ma nonostante ciò Leanne riuscì ugualmente a sentire tutto l'affetto del padre, come se la stesse abbracciando. "Ti prometto che torno presto, vorrei tanto essere lì."

"Lo so, ti voglio bene," Leanne si morse il labbro inferiore e sorrise, cercando di reprimere le lacrime: i viaggi di lavoro del padre diventavano, ormai, sempre più frequenti; così come aumentava il suo dispiacere nel vederlo lavorare così tanto. "Senti, ma... che sta succedendo?" fece giusto in tempo a sentire la risata del padre quando si trovò una mano davanti agli occhi.

Immediatamente sia James che Noah cominciare a cantare, in modo particolarmente stonato, l'inconfondibile canzone di compleanno. Con un sorriso largo, Leanne allontanò la mano che le copriva gli occhi e vide sua madre entrare in cucina.

Dietro di lei zampettava sua sorella, seguita prontamente dal loro cane Willow. Alla vista del cappellino che gli avevano messo in testa si trattenne a stento dal ridere, quando la sua attenzione fu attirata da ciò che sua sorella reggeva a fatica: una torta con sopra delle candeline.

Noah si affrettò ad andare in corso alla loro sorellina, Ally, e salvare la torta, mentre Leanne cacciava il labbro in fuori, intenerita.

Si beò di quel momento e dell'abbraccio di sua madre, golando alla vista delle candeline e del numero che faceva bella mostra di sé: un sedici grande e ben visibile.

James  le si avvicinò e cominciò a cantarle, o per meglio dire urlarle, la canzone nelle orecchie, stringendosela contro e improvvisando un bizzarro, e per fortuna breve, balletto.

"Tanti auguuuuri a teeee."

Leanne soffiò con foga le candeline e si perse un momento per guardarli tutti uno a uno: in quel momento, felice come non mai, non aveva alcun desiderio.

Stava bene così come stava e niente avrebbe potuto destarla da quel nuovo zen con cui aveva deciso di affrontare la sua vita.

Era tutto perfetto.

"Allora," chiese non appena fu finita la canzone, "I regali dove sono?"

Sua mamma alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi per stringerla in un ultimo abbraccio soffocante, e riempirla di baci.

"Dopo," rispose, "Ora dobbiamo prepararci, stanno per arrivare anche gli altri."

"Di già?" James sbadigliò. "Ma io speravo di tornare a dormire..."

"Fila in bagno e guai a te se ti trovo di nuovo addormentato sul water," rispose suo padre dal telefono, accompagnando le sue parole con una risata.

"Vado subito a prepararmi, allora," sorrise Leanne. Era il suo giorno e niente glielo avrebbe rovinato. "Ciao papà, ti chiamo stasera... un bacio, ti voglio bene," e con un ultimo saluto lasciò il telefono nelle mani della madre.

Adorava stare al centro dell'attenzione... questo però non lo avrebbe detto ad alta voce neanche sotto tortura, era bene che tutti continuassero a biasimare solo James.

"Io ti ho fatto un disegno," Ally le si avvicinò e le sventolò un foglio sotto il naso.

Leanne, con un espressione dubbiosa, lo aprì: più che un disegno, le sembrava un insieme di scarabocchi colorati, ma di certo non sarebbe stata lei a smontare l'autostima di sua sorella.

Se voleva credere di essere il nuovo Picasso, chi era lei per fermarla così brutalmente?

"E'... bellissimo, lo adoro!"

"Siamo noi, non vedi? Stiamo giocando insieme."

"Oh, certo, è chiaro. Mi piace il colore della mia... ehm... maglietta," rispose Leanne, dubbiosa e incerta.

"Ma che dici, quella sono io. Non vedi che sono più piccola?"

A essere onesta, Leanne non vedeva proprio nulla.

"Oh, scusami. Certo, ho sbagliato: volevo dire che l'altra sono io," e così dicendo indicò la seconda macchia che risaltava rispetto alle altre.

"Quello è Willol, Len..."

🎈  🎈  🎈

Era pronta.

Pronta e sedicenne.

Pronta, sedicenne ed estremamente felice.

Si guardò allo specchio, passandosi una mano tra i capelli così da dargli un po' di volume e si sorrise: no, okay, così non andava per niente.

Forse avrebbe dovuto cercare un altro sorriso per le foto: uno più adulto ed elegante.

Provò nuovamente a sorridere, stavolta inclinando solo leggermente gli angoli delle labbra e inclinando la testa da un lato.

Sì, così andava decisamente meglio.

Era pronta, sedicenne, estremamente felice e fotogenicamente accettabile.

"Leanne," chiamò sua madre dalla cucina. "Len... LEANNE!"

Con uno sbuffò, aprì la porta del bagno e urlò di rimando alla madre, per sapere cosa volesse.

E che diamine, lei doveva prepararsi: era la protagonista della giornata.

"Sono dieci minuti che ti squilla il telefono," le rispose la madre. "O lo spegni o rispondi, sennò te lo butto dalla finestra."

Alzò gli occhi al cielo, a volte sapeva essere proprio melodrammatica!

"Arrivo subito."

Guardò un'ultima volta il suo riflesso e, prima di chiudersi la porta alle spalle, frugò in uno dei cassetti sotto il lavandino: il regalo di James non era neanche lì, era stato più bravo del solito.

"Oh santo," sentì dire a sua madre: "Leanne, il telefono, di nuovo!"

"Sto arrivando, non ti preoccupare. Sarà Annabeth che vuole farmi gli auguri, lo sai che vuole sempre essere tra i primi."

Leanne scese con un balzo gli ultimi scalini e si tuffò sul divano, alla ricerca del telefono: maledizione, ma dove l'aveva lasciato?

Oh, eccolo!

Lo rigirò tra le mani, così da poter guardare lo schermo, proprio quando gli squilli terminarono.

Undici chiamate perse.

Leanne spalancò gli occhi alla vista di chi la stava chiamando e poco ci mancò che non buttasse via il telefono, proprio come aveva annunciato poco prima la madre.

Sotto i suoi occhi sbigottiti, il telefono prese a squillare e lo stesso nome le illuminò lo schermo: Ethan P.

"Leanne, per l'amore del cielo, rispondi," fece sua madre, scocciata.

Mosse il dito verso lo schermo ma, invece di poggiarlo sulla cornetta verde, lo avvicinò al testo di accensione e lo spense.

Per lei, Ethan Powell era morto.

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