30· Sei proprio sadica
Mamma non si vede da nessuna parte e papà non vuole dirmi nulla. Non una parola.
- Andiamo! Dimmi solo se ritorna per 'sta sera! – esclamo, rincorrendolo in giro per casa.
- Non lo so, ma non credo. Comunque vengono Mitchell e Jenny, insieme a Mary e Joseph.
- Chi è Joseph? – lo sorpasso, chiudendo la porta del bagno. Non si ferma un attimo, mamma mia.
- Tuo zio? – mi lancia un'occhiata perplessa, mentre scende le scale.
- Oh. Quindi è quello il suo nome!
- Uhm... sì. Non lo sapevi?
Scuoto la testa, entrando in cucina.
- Direi che chiamarlo solo zio allora ha fatto male – sospira, sedendosi.
- Papà, davvero non vuoi dirmi che è successo con la mamma?
Afferra un bicchiere e lo riempie d'acqua, guardandomi appena. – Non dovresti essere tu a farlo?
Mi blocco, la schiena contro il frigorifero. Stringo i pugni fissando le mattonelle dall'altro lato della stanza. Non sono pronta, soprattutto non oggi. Non voglio rovinare ulteriormente questo giorno.
- In che senso? – chiedo titubante, attenta a quello che potrebbe trapelare.
- Voglio sapere che cosa è successo.
- Quando? – domando, la voce flebile.
Alza le sopracciglia, scuotendo la testa. – Quella volta, quando avevi cinque anni. Perché piangevi? E tutte le volte che rientravo a casa e tua madre veniva da me, sorridendo, e tu piangevi... cosa succedeva? Voglio sapere la verità, Mackenzie.
Sento il diaframma alzarsi e abbassarsi velocemente, cercando di immagazzinare abbastanza aria. Non credevo saremmo mai arrivati a questo punto. – Non sono pronta per parlarne, papà – mormoro.
- Qualcuno almeno lo sa? Oliver lo sa?
Annuisco mesta, cercando di concentrarmi sulla presina appesa alla parete. Un punto fisso dovrebbe aiutare.
- Va bene, almeno non ti tieni tutto dentro.
Mi volta le spalle e se ne va, schioccando la lingua sul palato.
- Papà, dài! Non te la prendere!
- No, capisco perfettamente, però devo andare. Mi sono dimenticato di prendere le lenticchie.
- Lenticchie? – corrugo le sopracciglia. – Per cosa?
- Joseph ha deciso di attingere alle sue origini e di organizzare una cena all'italiana per 'sta sera.
- Oh. Okay – almeno Oliver sarà felice. Spero.
- Comunque sia, torno subito.
- Sì, ciao.
La porta di casa si apre e si chiude, lasciandomi appoggiata al frigorifero e con gli occhi puntati nel vuoto.
C'è troppo silenzio. Dov'è Oliver?
Mi volto, alla ricerca di un bicchiere. Apro la maggior parte degli sportelli, non vedendo la fila di bicchieri schierata accanto al lavandino.
- Cosa cerchi?
Mi fermo, girandomi nella sua direzione. – Un bicchiere.
Mi guarda poi fissa un punto imprecisato alle mie spalle. Gonfia le guance, indeciso se ridere o meno; alla fine opta per la prima.
- Che c'è! – arrossisco, imbarazzata, cercando di frenare l'impulso che mi suggerisce di abbassare la testa.
- Sono lì – indica sempre lo stesso punto alle mie spalle, divertito.
Mi volto, seguendo la direzione della sua mano. – Oh – osservo i bicchieri impilati in file ordinate, segno che la mamma è comunque passata di qui nell'arco di ventiquattrore. – Non... non li avevo visti – ne prendo uno e apro il rubinetto, riempiendolo.
- L'avevo notato, sai – ridacchia, avvicinandosi.
Sento il suo petto aderire alla mia schiena e il suo respiro infrangersi sul mio collo, facendomi venire i brividi. Mi stringo nelle spalle, appoggiando la testa al suo petto. – Mi ha chiesto di dirgli cosa succedeva quando tornava a casa e mi sentiva piangere mentre la mamma gli andava incontro sorridente. Penso che in qualche modo l'abbia capito – mi lascio sfuggire, scrutando l'orizzonte dalla finestra.
- E tu cosa gli hai detto? – il suo braccio si stringe intorno alla mia vita e lo sento girarsi, in modo da potermi guardare negli occhi.
- Che non me la sentivo. Non credo di poterglielo dire.
- Perché? – mi sfila il bicchiere dalla mano, che ha iniziato a tremare, e lo appoggia sul piano del lavandino. Mi sento... troppo al centro dell'attenzione, oggi. Forzo un sorriso, abbassando la testa. – Non voglio essere responsabile di qualsiasi cosa succeda tra loro. Almeno, non ancora di più, perché se hanno litigato è solo colpa mia.
Scuote la testa, circondandomi il viso con le mani. – Non è vero, Kenzie, non lo è. Se vogliamo dirla tutta, non è colpa di nessuno.
Lo guardo, perplessa. – In che senso? – mi mordo il labbro, fissandolo negli occhi. – No, sai che c'è? Non mi interessa. Non ho intenzione di rovinare anche questa giornata.
Alza le mani, continuando a mantenere il contatto visivo. – Posso dire che...
- Cosa? – lo interrompo, avvicinandomi e allacciando le braccia dietro al suo collo. Si abbassa, lasciandomi un bacio sulla guancia.
- Ti amo – bisbiglia nel mio orecchio. Sorrido, sentendo i muscoli rilassarsi e permettermi di appoggiare la testa sulla sua spalla.
- Anche io – sussurro, chiudendo gli occhi. – Grazie per esserci, davvero. Penso che non sarei durata neanche un giorno, da sola.
- E di che. Quante volte te lo devo dire?
- No, no. Va bene così, grazie. Ormai lo so a memoria.
Ride, coinvolgendomi. – Però se va detto lo devo dire, eh.
- Lo so. Ma apparentemente devi dirlo tutti i giorni.
- E allora te lo meriti – alzo le spalle, inspirando. Ha un buon odore e le sue braccia sui miei fianchi sanno di casa.
- Non mi ero reso conto di essere una persona degna di ringraziamenti convulsivi.
- E dài. Ma se non mi prendi in giro una volta al giorno non sei felice! – mi mordo il labbro, iniziando ad aprire e chiudere le mani, così, per passare il tempo. Credo.
- Ma se mi diverto – ribatte, notando in qualche modo quello che sto facendo e scostandosi. Mi afferra le mani, stringendole. – Stai bene?
- Sì sì. L'ho fatto... così, per passatempo.
- Allora anche tu ti diverti a farmi prendere colpi.
- Scusami. Non era mia intenzione, davvero.
- Lo so, non ti preoccupare – sorride, dandomi un bacio sulla fronte. Arrossisco, imbarazzata, e cerco di ignorare il cuore che batte troppo rumorosamente. Mi lascio abbracciare e stringo forte, perché la mia casa in questo momento è lui e ne ho più bisogno che mai. E perché sto bene, tra le sue braccia. – Sei sicura di stare bene? – passa una mano tra i miei capelli, sistemandoli dietro alla schiena.
- Sì, te l'ho detto. Sto bene, non ti preoccupare.
Annuisce, probabilmente sentendosi sconfitto, e sbuffa appena. – Va bene, ma dimmelo se c'è qualcosa che non va, okay?
- Tanto o te lo dico o lo capisci da te, quindi è indifferente.
Ride, appoggiando una mano sulla mia.
Papà lascia una pila di piatti sulla credenza, prima di uscire dalla stanza, dicendo di avere da fare. In realtà si sentiva a disagio nello stare nella stessa camera con me e Oliver. Probabilmente si sentiva imbarazzato e in qualche modo di troppo. Non faccio fatica a crederci, onestamente, perché è come se esistessimo solo noi due, quando siamo insieme.
- C'è una divisione precisa oppure...?
- A parte i fondi che vanno sopra i piani, dici?
- Sì, certo – trattiene una risata, osservandomi.
- Che c'è? – appoggio le posate al centro del tavolo, voltandomi verso di lui. Alza le spalle, cominciando a sistemare i piatti. – Dài. Che c'è?
Prendo il piatto che mi sta passando e lo lascio al centro. Dovrebbe essercene uno al centro, no? Tipo come piatto per... boh, roba. Non lo so, a qualcosa servirà.
- Niente, davvero. Lo metti là?
Lo appoggio a capotavola e inizio a piegare i tovaglioli.
- Vanno a sinistra, assieme alle forchette.
Non dice nulla, probabilmente sta immagazzinando quello che gli ho detto. Metto i coltelli e i cucchiai a destra, mentre i cucchiaini davanti ai piatti. Osservo il tavolo, stringendo le labbra. Vado verso la credenza e apro gli sportelli: mi servono otto bicchieri, in caso mamma si palesi.
- Ti aiuto, aspetta – si avvicina e gli passo quattro bicchieri. – Accanto o davanti al cucchiaino?
Gli lancio un'occhiataccia, sperando che sia il più eloquente possibile. – Okay, ho capito, ho capito. Va bene, li metto davanti.
Rido, scuotendo la testa. Ne prendo altri quattro, distribuendoli dove mancano. – Perfetto! Adesso possiamo anche andarcene.
- Dove?
- Devo studiare. La McGonagall ci ha dato una roba strana...
- E devi farlo proprio oggi? C'è tempo, dai.
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo. – Okay, okay – sorride, passandomi un braccio sulle spalle. –E quindi, che facciamo?
- Non ne ho la più pallida idea.
- Mi sembra un programma fantastico – sorrido, cercando i suoi occhi.
- Adesso chi è che prende in giro chi? – ride, abbracciandomi.
- Oh, andiamo. Io ho fatto solo una constatazione.
Ho appena scoperto che abbiamo un balcone. Ancora non riesco a crederci. Lancio un'occhiata a Mitchell che, per la prima volta da quando è arrivato, è in silenzio. Sta guardando il cielo.
- Mitch? Tutto okay? – Jenny gli si avvicina, cingendogli la vita. Non risponde, ma sembra aver fatto un cenno con la testa. Sento Jenny sospirare, mentre appoggia la testa sulla spalla del suo ragazzo.
Mi stringo nel maglione, osservando le mani di Oliver appoggiate accanto alle mie, sulla ringhiera. – Non sapevo avessimo un balcone, sai? Di solito mamma apriva le finestre e basta. Sì, mi sentivo in dovere di rompere il silenzio – alzo le spalle, mordendomi l'interno della guancia.
- Mi stai dicendo che non l'hai mai visto neanche dall'esterno? – il tono sorpreso riecheggia nell'aria, incastrandosi in qualsiasi sporgenza.
- No. Dà sul retro e... e niente, non ci potevo venire qui, perché mamma non mi poteva vedere.
Sospira, sovrapponendo una mano alla mia. Fa intrecciare le nostre dita, come se non volesse lasciarmi andare.
- Bah, comunque non ti preoccupare. E non ci pensare, soprattutto.
Sorrido, appoggiando la testa sulla sua spalla. – Va bene – lo guardo dal basso, incrociando il suo sguardo.
Mi lascia un bacio sulla fronte, cominciando a guardare davanti a sé. Tiro un sospiro, fissando un punto indefinito all'orizzonte. Tanto per cambiare, naturalmente.
- Cos'è che stiamo aspettando, esattamente? – Mitch è tornato e con lui anche il suo insopportabile tono da saccente.
- Non lo so, te l'ho già detto – fa Jenny, disperata.
- Ma infatti non chiedevo a te – sputa fuori, la voce intrisa di irritazione.
Sgrano gli occhi, girandomi a guardare mio cugino. – Ma Mitchell, come ti permetti! Chiedile scusa. E comunque, nessuno ti costringe a rimanere.
- Non ho mai detto di non voler restare – sbuffa. – Dico solo, che cosa stiamo aspettando?
- Non lo so. Come non lo sa Jenny. Stiamo qui e basta.
Sbuffa ancora, scuotendo la testa. – Va bene, ma se entro un tempo ragionevole non succede qualcosa me ne vado.
- Guarda che non ti trattiene nessuno, stai tranquillo – sussurra Jenny, offesa.
Mitchell si gira a guardarla, esita un po', ma poi le ridà le spalle. Deglutisco, facendo scivolare via le mani dalla ringhiera. – Vado a parlare con lei.
Oliver si sposta e abbozza un sorriso, guardandomi per tutto il tempo.
Mi fermo, indecisa, a pochi passi da lei. La guardo, i capelli neri le incorniciano il viso, facendola sembrare ancora più angelica di quanto non lo sia. Sta guardando verso il basso, le mani strette sulla ringhiera, le nocche bianche, e le labbra compresse in una linea retta. Chissà cosa si sta trattenendo dal dire.
- Jenny – le vado accanto, riservandole un'occhiata di sottecchi. – Tutto okay?
Scuote la testa, tirando su col naso. – Non capisco cosa sia successo, davvero. Siamo arrivati qui e ha iniziato a comportarsi in modo strano. Non so... come gestire la situazione.
- Oh. Jenny, ma lo sai che Mitchell è un po' così, un po'... lunatico. Non ti preoccupare.
- Il punto non è questo – sussurra, alzando la testa nella mia direzione. Si sta trattenendo, non vuole piangere. – E' che... a volte ho la sensazione che si sia stancato di me. Come se non fosse successo niente, se io e lui non fossimo mai esistiti. E inizio a chiedermi cosa ho sbagliato, perché è sicuramente così, ma poi lo guardo e... e mi dico che è lui che ci perde, me lo devo dire per forza, se no poi è peggio ma – sospira, distaccandosi dalla ringhiera.
- Ma non sei sicura sia così – completo, avvicinandomi ancora.
- Sì, esatto – annuisce, scostandosi i capelli dal viso.
- Io penso che tu debba parlarci. Non per forza ora, ma se ti fa star meglio fallo. Però, ecco, non trascinarti dietro cose che alla lunga ti faranno soffrire sempre di più, okay? Non ne vale la pena. Non per uno come lui.
Allarga gli occhi, guardandomi. – In che senso, uno come lui?
- In questo senso – lo indico, alle mie spalle. – E' una persona complessa, lo so, ma a volte lascia trapelare reazioni destabilizzanti, che potrebbe anche non avere. Che potrebbe anche controllare. E poi – tiro un sospiro, non sapendo come potrebbe reagire a quello che sto per dire. – Credo che a volte ti dia troppo per scontata. Nel senso, non sembra prestarti l'attenzione che meriti.
- Per scontata? Lui? – il suo sguardo si ferma sul ragazzo alle mie spalle. – Sì, è possibile – schiocca la lingua sul palato, forse riflettendo. – Cosa devo fare?
- Parlarci? Credo sia la cosa migliore – ripeto, alzando le spalle, dubbiosa.
- Ma adesso?
- Se vuoi sì, ma non sei mica costretta.
- No, sì, vado adesso. Grazie – sorride, ma non sembra felice e neanche sollevata. Mi dispiace un sacco, sia per essermi dimenticata il suo nome, sia perché si è innamorata di Mitchell. La seguo con gli occhi mentre si infila nella conversazione tra Oliver e il suo ragazzo.
Immagino chieda a Mitch di parlare, perché Oliver si discosta e viene verso di me. – Che le hai detto? Sembrava turbata – sussurra accostandosi.
- Solo che secondo me Mitch la dà per scontata. E che doveva parlargli. Poi ha scelto lei di farlo adesso – evito il suo sguardo, timorosa di vedere del disappunto nei suoi occhi. Forse non doveva dirle niente; o forse dovevo limitarmi a dirle di andarci a parlare.
- E sei sicura di non averla ferita eccessivamente?
- Io non... non sembrava offesa, né altro – mormoro.
- Okay, va bene – annuisce, cingendomi la vita. – Non volevo farti preoccupare, scusa.
- Ma io sto bene – ammetto. – Ho solo... sonno.
Ride, scuotendo la testa. – E che ore sono?
Tiro su la manica del maglione, lanciando un'occhiata all'orologio. – Undici e cinquanta. Quasi – faccio per ritirarla giù, ma gli occhi si incastrano sul livido che spunta fuori da sotto il quadrante dell'orologio. Deglutisco e sono talmente assorta nel tentativo di reprimere sensazioni che non è il momento di mostrare, che non mi accorgo dello sguardo di Oliver che, seguendo il mio, sta fissando con un'espressione indecifrabile il livido.
Tiro giù la manica di scatto, quando ci faccio caso. Sembra voler dire qualcosa, ma scuote la testa, ripensandoci. Stringo le labbra, avvertendo una sensazione di gelo diffondersi un po' ovunque. Non che si sia allontanato fisicamente, ma emotivamente sembra distante. Abbasso la testa, fissando il pavimento. Sospira, avvicinandosi ancora un po'. – Non ti preoccupare, okay? Non è successo niente.
Chiudo gli occhi, sentendo i muscoli contrarsi. – Dal tuo tono non sembra, però – ribatto.
- Non ero... – stringo le mani a pugno, alzando appena la testa.
- Guarda non... non è importante – lo liquido, ricominciando a ignorarlo. Ma lo so che dopo ne riparleremo. Per forza. E' un non - detto troppo pesante. Ma non credevo ci sarebbe stato bisogno di dirlo, pensavo ci sarebbe arrivato da solo. Ma apparentemente non è così. Il riecheggiare della campana della chiesa segna la mezzanotte e, qualche secondo dopo, diverso fuochi d'artificio iniziano a brillare nel cielo.
Sarebbe uno spettacolo meraviglioso, se solo non ci fosse questa specie di tacito accordo tra di noi.
- Allora è questo che stavamo aspettando – commenta Mitch.
Mi giro a guardarlo: sta abbracciando Jenny. Sorrido, incrociando lo sguardo della ragazza. Mi fa un cenno col capo, abbozzando un sorriso. Alzo le spalle, voltandomi verso Oliver.
- Quindi... se imparare a stare in equilibrio su una scopa non è tra i propositi di questo anno, quali sono gli altri?
- Non ne ho la più pallida idea.
Annuisce, ma sento che il suo commento è solo un commento di cortesia. Maledetta me; perché mi sono incantata? Non è che quel livido è apparso oggi. Deglutisco ancora, sussurrando con voce flebile:
- Dobbiamo parlarne, vero?
- A meno che tu non voglia ignorare questo fatto e lasciarlo gravitare su di noi, sì.
Incrocio le gambe, sistemandomi i capelli dietro le orecchie. Lancio un'occhiata alla porta, aspettando la comparsa di Oliver. Non ho la più pallida idea di che cosa dirgli. Afferro il libro sul comodino e lo apro al punto dove mi sono fermata ieri sera. Sfilo via il segnalibro, lasciandolo sulle coperte. Cerco la riga giusta, appoggiando la schiena alla testata del letto. Mi sto perdendo, non riesco a capire che cosa stia succedendo. Faccio per tornare indietro di qualche pagina, fino all'inizio del capitolo, ma la porta si apre.
Recupero il segnalibro, rimettendolo nel volume e appoggiando quest'ultimo sul comodino. Oliver si avvicina e si siede al mio fianco, fissando la parete.
- Non so che dire, Oliver. Io credevo che fosse sott'inteso – pigolo, fissando i fiori sul piumone.
- Sì, ma non pensavo che sarebbero... Qual è l'ultima volta che...?
Ecco, lo sapevo. Mannaggia a me. Lo guardo, trovando calore nei suoi occhi, nonostante tutto. – Quest'estate – sussurro. – E' per questo che si vede tanto.
- Ancora? Non dovrebbe tipo riassorbirsi in poco tempo?
- Dovrebbe, ma dopo un po' non lo fa più.
Annuisce, accorciando le distanze. – E perché quello sul polso? Nel senso, come fa a esser rimasto il segno anche lì?
Anche. Alzo appena le sopracciglia. Anche. Almeno questo l'ha capito. – Non lo so – anche. Anche. Anche. Perde via via significato. Suona strano perfino alle orecchie. Sospira, cingendomi le spalle. – Mi dispiace. Se non mi fossi fermata a osservarlo non sarebbe successo nulla. Non avrei rovinato le cose.
- Non hai rovinato nulla, Kenzie – mi stringe a sé, appoggiando il mento sulla mia spalla.
- Sicuro? Nulla? Non intendevo la giornata, intendevo... tra di noi; in generale.
- Non hai rovinato niente, men che meno tra di noi. E lo sai che queste cose non cambieranno assolutamente nulla – si discosta, appoggiando le mani sulle mie guance. – Non cambierà nulla, Kenzie, perché ti amo da morire e non... Attualmente, non riesco a immaginare le mie giornate senza di te e pensare che... No, niente – abbozza un sorriso, a disagio.
- Io non capisco se tu ti sia bevuto qualcosa oppure...
- No, Kenzie, sono serio.
- Sì, ma perché? Sono un disastro, letteralmente. Sia dentro che fuori. Soprattutto dentro, però. E tu... tu ti meriti di meglio, sicuramente.
- Kenzie. Non devi neanche pensarla una cosa del genere. Perché non è vero, okay? E se anche fosse, non è certo colpa mia se mi sono innamorato di te. E non è vero che sei un disastro. Sei un po' complicata ed è normale, soprattutto dopo quello che hai passato. E fuori... be', fuori sei fantastica, davvero.
- Sì? – trattengo un sorriso, nel tentativo di ostentare un'aria di sfida.
- Sì. E mi piace tutto di te, davvero. Mi piaci qui – mi dà un bacio sulla fronte, sorridendo. – E qui. E qui – due baci sulle guance lo seguono. – E qui – appoggia le sue labbra sulle mie, tirandomi verso di sé. Mi ritrovo seduta su di lui, le mani aggrappate alle sue spalle.
- Addirittura – sibilo, staccandomi.
- Già. E mi piaci comunque, non mi interessa cosa c'è fuori, tu sei bella dentro. E se fuori sei un casino... be', io ti accetto così come sei, dovresti essertene accorta.
Sorrido, appoggiando la fronte alla sua. – Devo dirti una cosa – mormoro.
- Vai. Dimmi tutto – si fa serio, le sopracciglia che si abbassano all'improvviso.
- Ti amo – scoppio a ridere, osservando la sua espressione cambiare velocemente.
- Certo che sei proprio sadica, eh.
- Lo so. Ma almeno mi diverto anche io, ogni tanto.
- Sei incorreggibile.
- Lo prendo come un complimento – bisbiglio, chiudendo gli occhi.
- Brava. E' quello che devi fare.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro