14· Ma ti giuro, ti prometto, che passerà
Okay, non sono pronta. Proprio no. Sospiro velocemente, cercando di inspirare ed espirare la maggior quantità di ossigeno possibile e la minor quantità di anidride carbonica. Così dovrei avere più ossigeno, no?
No, non credo funzioni. Che cosa carina.
Guardo di nuovo l'orologio e scuoto la testa. Sono in ritardo; cinque minuti sono troppi.
Okay, è assurdo, stare nella mia testa è diventato assurdo. Devo uscire di qui, scappare dal Castello e sperare che Oliver mi faccia pensare di meno a tutte la assurdità che vivono nella mia testa.
Va bene, ce la posso fare. Inspiro ed espiro per bene, senza pensare all'ossigeno o all'anidride carbonica. Non è vero, dicendo che non ci penso ci sto pensando. Ah, okay, devo staccarmi da questa parete e uscire di qui. E lo faccio.
Scendo velocemente le scale e mi fermo sul penultimo gradino, guardandomi attorno. E' lì, appoggiato allo schienale del divano con le mani in tasca. Credo stia guardando una mattonella. Alza la testa, forse sentendosi osservato e in un attimo i suoi occhi trovano i miei. Abbozzo un sorriso e lui alza una mano, in segno di saluto. Respiro profondamente un'ultima volta prima di correre verso di lui.
- Ciao.
- Ehi – sorride. – Come stai?
"Uno schifo" è contemplato come risposta? O, "è complicato stare nella mia testa"?
- Bene. Tu?
Corruga le sopracciglia, evidentemente sono stata troppo poco convincente, ma credo decida di sorvolare e di ignorare il mio tono titubante.
- Bene, bene. Andiamo?
- Sì, okay.
Stringo i pugni nelle tasche del cappotto e sfodero un sorriso che non può essere più che finto e, da come si è irrigidito quando mi ha guardato, direi che se n'è accorto anche lui.
Fantastico, dovevo proprio rovinare anche questo.
Camminiamo in silenzio uno di fianco all'altra, le braccia che quasi si sfiorano ma che nessuno ha il coraggio di spostare né più lontano né più vicino.
Mi schiarisco la voce e faccio per dire qualcosa, ma quando si gira a guardarmi, gli occhi color cioccolato pieni di speranza, mi blocco.
Scuoto la testa, iniziando a fissare qualsiasi mattonella passi sotto i miei piedi.
- Non è un'abitudine, vero?
- Cosa? – chiedo, alzando di poco la testa per poterlo guardare.
- Tu che fissi il pavimento. Lo fai sempre quando siamo insieme, ma non ti ho mai visto farlo quando ci sono gli altri.
Spalanco la bocca; non so che dire.
- Oh. Ehm... E' che... – deglutisco velocemente, pensando a cosa dire. Non che abbia molte scelte, in realtà. – Mi mette ansia – sussurro.
- Cosa?
- Il contatto diretto. Cioè, all'inizio, poi mi abituo.
- E' un modo carino per dirmi che ti metto ansia?
Sorrido, scrollando le spalle.
- Non lo so. Io... non credo, perché era così anche con le altre, all'inizio. Però mi sento incredibilmente a disagio.
Perché ho paura, vorrei dire, ma le parole si incastrano durante la loro risalita verso le labbra, temendo di espormi troppo. Ho paura che tu possa vedere cosa c'è qui dietro e andartene.
- Posso... posso chiederti perché?
- L'hai appena fatto.
Sorride, facendo un cenno a Filch mentre gli passiamo davanti.
- Seriamente; perché?
- Perché... – lo guardo negli occhi, sorride rassicurante, e capisco che forse posso fidarmi; posso dirglielo. – Ho paura.
- Non capisco il filo logico – ammette. – Ma ti giuro, ti prometto, che passerà. Okay?
- Okay. Quindi... dove mi porti?
Cambio discorso, cercando di dimenticare tutto quello che mi si accavalla in testa. Tutti i ricordi, tutti i pensieri che non dovrei avere.
- E' una sorpresa.
- No; dài. Le sorprese non mi piacciono.
- E' una sorpresa – ripete, continuando a camminare.
- Oliver.
- Kenzie – sussurra, girandosi a guardarmi.
- Per favore!
- No.
- Ti prego.
- No.
- Perché?
- Perché no.
- Non è una risposta.
- Sì.
- No.
- Sì.
- Che pizza.
- Su, quanto può essere struggente aspettare qualche minuto? Siamo praticamente arrivati.
- Lo so, lo vedo anche io.
- Non fare l'acida solo perché non ti dico niente.
- Non sto facendo l'acida.
- Stai facendo l'acida.
- No.
Non la sto facendo, giusto? O sì? Mi sa di sì.
- Sì.
- Okay, hai ragione. Va bene?
- Certo.
Sorride, tirandomi verso i Tre Manici di Scopa. Il mio sguardo corre velocemente alle sue dita che si stringono attorno al mio polso, sollevando di poco l'orlo del cappotto. Spero con tutta me stessa che non decida di abbassare lo sguardo sulle sue dita, perché sono sicura che, da dove si trova lui, si veda benissimo quello che c'è sotto la manica. E se dovesse farlo, be', sarei spacciata. Cioè, più che io, lei. E' lei il problema qui, non io.
- Ti era piaciuta la Burrobirra, l'altra volta?
- Proprio il mio cibo preferito.
- Quindi cosa vuoi?
- Non lo so, scegli tu.
- Succo di Zucca?
- Okay.
- Vuoi stare dentro, oppure facciamo un giro?
- Scegli tu.
- Kenzie...
- E' uguale, Oliver – fisso il nevischio che circonda le mie scarpe, sperando con tutta me stessa che non inizi a nevicare e cercando di non lasciar spazio ai pensieri che soprattutto oggi devono rimanere fuori dalla mia testa. Direi che non è il caso di lasciarsi andare all'ansia o al terrore, giusto?
- Hai ricominciato – lo sento bisbigliare mentre entra nel locale.
- Lo so. Ma non posso farci niente – perché lo so che se ti guardassi non riuscirei a dire niente, ma il problema è questo. Io non posso dire qualcosa, perché se no me la portano via, e non sono in grado di gestire tutto da sola.
Sospiro, appoggiandomi alla parete; affondo di nuovo le mani nelle tasche, ignorando il freddo pungente che sferza i piedi. Probabilmente mettere le ballerine non è stata la scelta migliore.
Guardo davanti a me; di ragazzi che camminano in gruppo ce ne sono molti, così come qualche insegnante qua e là. Sono tutti felici, sorridono tutti e un mormorio costante affolla le strette stradine di Hogsmeade.
- Ehi, Kenzie.
Giro la testa verso la mia destra, trovandomi accanto George.
- Ehi. Come mai sei qui da solo? Angelina?
- Oh. Non le ho ancora chiesto di uscire, in realtà.
- Come no! George, era quello che dovevi fare!
- Lo so, Kenzie, ma non ho trovato il coraggio.
A chi lo dici.
- Ma vorresti farlo? Avercelo il coraggio, intendo.
- Sì, certo. Perché, tu non vorresti?
Bella domanda.
- Non lo so.
Non so un bel niente apparentemente.
- Stai aspettando qualcuno?
- Sì. Oliver è entrato a prendere da bere.
Mi guarda stupito, gli occhi sgranati.
- Cioè, fammi capire. Tu, Mackenzie, stai uscendo con Oliver Wood e non mi hai detto niente?
- Be', direi che... – cosa diresti? Che non senti di avere tutta questa confidenza con lui? Lo feriresti e basta. – Che mi sono dimenticata. Scusa, George.
- Continuo a non capire. Tu, ripeto, tu, ti sei dimenticata di dire una cosa a me, il gemello Weasley incredibilmente bello e simpatico?
Scoppio a ridere, e penso che effettivamente sì, da quel che ho capito io, lui è il gemello Weasley incredibilmente simpatico.
- Diciamo che sulla seconda sono d'accordo, sulla prima... Non lo so, George, tu e tuo fratello siete così... uguali.
- Ci mancava solo che tu lo notassi! – scherza. – Ma come ho fatto a esser stato così stupido? Comunque, sono lo stesso il gemello più bello. Ammettilo.
- Non c'è niente da ammettere, George. Tu e Fred siete identici. Letteralmente.
- Dài, avrai trovato qualche differenza tra il gemello bello e quello brutto.
- Il gemello brutto ha un neo sullo zigomo destro.
- Che io ho sul sinistro – precisa.
- Ma! Va bene, senti, questa cosa sta diventando ridicola. George, tu e Fred siete spiccicati, stessi capelli, stessi occhi, avete persino le lentiggini negli stessi punti! Non puoi portare avanti una discussione del genere!
- Anche perché chiaramente vinco io.
Ci giriamo tutti e due verso la porta del pub, dove Oliver si trova in piedi con due bottiglie in mano.
- Ma se non siamo neanche fratelli!
- E menomale, George, menomale. Immagina che problemi per i tuoi genitori distinguere tre ragazzi tra loro invece di due.
- Sì, effettivamente non ci avevo pensato.
- Comunque, posso rubartela? Devo portarla in un posto.
Sorride nella mia direzione e io sorrido di riflesso, anche se continuo a fissare George come se stesse ancora parlando.
Credo che prima o poi si stuferà. O forse mi toccherà dire la verità. Il che sarebbe davvero molto meglio.
- Che sono un oggetto? Andiamo, Oliver! Queste domande di fanno direttamente alle ragazze!
- Oh, vedo che hai alzato lo sguardo, adesso.
Ha ragione.
Lo sto guardando dritto negli occhi e ho anche fatto un passo nella sua direzione. Wow, indignarmi mi fa bene.
- Non cambiare discorso!
- Non sto cambiando discorso, il discorso è sempre lo stesso. Comunque, noi andiamo, ciao, George.
- Ciao.
Lo saluto con un cenno della testa mentre rincorro Oliver, sperando che smetta di camminare così velocemente.
- Ehi! Devi ricordarti anche un'altra cosa! Sono un cacchio di gnomo da giardino, devi camminare lentamente.
- Non che io sia un gigante, eh.
- Non l'ho mai detto – sorrido divertita. – Potrei solamente aver pensato che tu stessi quasi correndo.
- Perché è quello che stavo facendo.
- E perché? No, aspetta. Fammi indovinare! E' una sorpresa, per caso?
- Sì, lo è. Tieni.
Mi porge la bottiglia colorata di... verde?
- Ma... non era Succo di Zucca?
- Sì.
- E' verde, Oliver.
- Lo so.
- Perché? Non è anche questa una sorpresa, vero? In questo caso non è affatto divertente.
- Te la sei proprio legata al dito, eh?
- Sì.
- Comunque no. Questa non è una sorpresa. Ha detto che aveva finito le zucche arancioni.
- Uhm. Secondo te hanno lo stesso sapore?
- Boh. Prova.
La bottiglia si apre da sola, facilitandomi le cose.
La porto alle labbra e in un attimo, quello che dovrebbe essere Succo mi entra nel corpo, alimentando il mio basso livello di zuccheri.
Schiocco la lingua contro il palato, cercando di capire.
- Bah, si può fare. Non è uguale, ma non fa neanche schifo.
- Bene, mi fa piacere. Allora... stavo pensando, cosa ne pensi di andare a vedere questo posto assolutamente trafficato che si trova da questa parte?
Indica a sinistra, dove effettivamente una grande quantità di gente è ammassata.
- E' una domanda, oppure mi stai comunicando sotto forma di questione i tuoi programmi?
- La seconda.
- Ah, okay. Va bene, andiamo in mezzo alla gente!
- Qualcosa mi dice che non è il tuo passatempo preferito.
- La maggior parte delle persone è odiosa.
- Forse devi sapere come trattarle e basta.
- Che pizza che apparentemente sai sempre tutto.
Scuote la testa, mascherando un sorriso.
Si fa spazio tra la gente, mormorando quando ve n'è bisogno "permesso". Mentre si fa largo tra la calca, come se fosse una delle cose che fa tutti giorni, scorgo tra la gente un carretto di libri.
- Oliver!
- Kenzie!
- Andiamo lì?
Segue il mio dito con lo sguardo, sorridendo vittorioso.
- Direi di sì; è dove volevo portarti.
Sbatto le palpebre, perplessa. Possibile che ci abbia pensato lui, e basta? Che nessuna delle mie amiche gli abbia dato una mano?
Sì, dài. Facciamo che sia possibile e che, anzi, sia andata proprio così.
Lo seguo attraverso la calca e, lentamente, riusciamo a raggiungere il carretto. E' davvero un bel posto: uno stand in legno si staglia di fronte a noi, miriadi di libri sistemati sulla sua superficie e su altri tavoli accanto a esso in ordine alfabetico e poi suddivisi ancora per il colore della copertina; un'insegna poco elaborata si stende sulla superficie: "Biblioteca Errante, di Hillary e Frank".
Mi giro verso Oliver, lo sguardo illuminato come non mai.
- Grazie.
- Hai visto che valeva la pena aspettare, invece di farti subito la sorpresa?
- Bah, io continuo a non essere d'accordo, però accetterò la tua decisione con democrazia.
Scuote la testa, nascondendo un sorriso.
- Salve! – esclama una signora apparendo dal nulla.
Se non fossi una strega direi che è molto strano.
- Salve – ricambio il saluto, sorridendole.
- Cercavate qualcosa di particolare?
- Non saprei... Sa – prendo in mano un libro dalla copertina verde chiaro e sfoglio velocemente le pagine. – Non avevo la più pallida idea che sarei venuta qui, perciò non ho avuto né il tempo né il modo per pensarci.
- Non so se dirmi dispiaciuta, o felice del fatto che alla fine si sia fermata. Posso... posso chiederti come mai non lo sapessi?
Normalmente tutta questa confidenza mi darebbe fastidio, ma questa signora dagli occhiali più grandi del suo viso mi ispira tantissima confidenza. Sarà che assomiglia a mia nonna con quel cardigan verde oliva e i pantaloni color cachi, o saranno semplicemente gli occhi che sembrano infondere fiducia, tranquillità e una quantità di rassicurazioni.
- Ehm... Mi ha fatto una sorpresa – indico Oliver, intento a sfogliare un libro dalla copertina azzurra.
- Che cosa carina! – le si illuminano gli occhi, e scommetto che sta ripercorrendo tutti i ricordi che conserva assieme a suo marito. – E' il tuo ragazzo?
Arrossisco violentemente, abbassando lo sguardo sul libro tra le mie mani. – No.
Sono abbastanza sicura, su questo. Perché un "Vuoi venire a Hogsmeade con me?" non significa "Vuoi essere la mia ragazza?", giusto? Secondo me, no.
- Ma come! Sembrate andare così d'accordo; e vi ho visti, per strada, bisticciare come una coppia.
No, aspetta, che? Inquietante. Sorvoliamo? Deglutisco, lanciando un'occhiata a Oliver: non sembra aver sentito, intento com'è a fissare il libro, ma a giudicare dalle spalle tese e la mascella contratta, forse l'ha fatto.
- Uhm... grazie. Comunque, pensavo, per caso avete i classici?
- Ne hai uno in mano, tesoro.
Okay... siamo passati dal tu al "tesoro", va bene.
Mi rigiro il libro tra le mani, facendo combaciare lo sguardo con il titolo scritto a caratteri cubitali sulla copertina: L'Abbazia di Northanger.
- L'ho già letto questo.
E non mi è piaciuto affatto.
- Non ti è piaciuto, vero?
Che cacchio, ma cos'è, una veggente?
- Perché non viene a insegnare Divinazione a Hogwarts? Sono sicura che sarebbe bravissima.
- Oh, quanto sei carina. No, semplicemente, la tua espressione non era delle più convinte.
- Capisco; be', quindi ha qualcos'altro da consigliare?
- Che ne dici di – tira fuori da una pila di libri un volume dalla copertina arancione sbiadito, un ritratto al centro e un ragazzo che lo fissa, al lato.
- Il ritratto di Dorian Grey! – esclama Oliver. – E' bellissimo quel libro, Kenzie.
- Ma c'è un ritratto, Oliver.
- E quindi?
- Ritratto uguale arte, arte uguale... noia. A volte.
- Be', se non lo prendi tu, lo prendo io. Ha una copertina bellissima.
- Ottima scelta, ragazzo. La vuoi una busta?
- Bah, non è necessario, davvero. Non si preoccupi.
Hillary gli sorride, credo sia lei a portare il nome della proprietaria, d'altra parte, non si vede nessun altro. Lui ricambia, e mi si stringe lo stomaco. Chissà se anche quando sorride a me gli si illuminano gli occhi.
- Non lo so, allora... Che generi preferisci?
- Boh, ho letto un libro di Jane Austen e uno di una delle sorelle Brontë.
- Ah, ma allora vai proprio sui classici dell'Ottocento! Che libro hai letto di Jane Austen?
- Mansfield Park.
- Non è proprio uno dei suoi romanzi più belli, però. Ti consiglio, vediamo un po' cos'ho... – appoggia tre libri dalla copertina gialla sugli altri, facendomeli vedere. – Puoi scegliere tra Orgoglio e Pregiudizio, Ragione e Sentimento e Persuasione. Sono tutti molto belli e sono sicura che almeno di uno di questi l'avrei sentito nominare.
- Sì; Orgoglio e Pregiudizio. Per questo scelgo Persuasione.
La signora mi guarda stupita, un battito di palpebre di troppo.
- Perché? – non riesce a trattenersi.
- Perché se è nominato molto vuol dire che è quello più famoso e non voglio dire di aver letto i libri più famosi degli scrittori; voglio poter dire di aver letto libri che sì, sono di scrittori famosi, ma che sono ombreggiati dai fratelli. Per render loro giustizia.
Continua a sbattere le palpebre troppo velocemente, per i miei gusti.
- Ha senso, sì. Bene, quindi prendete questi due?
- Sì.
- Conto unico o...
- Unico – esclama Oliver, prima che Hillary finisca di parlare e prima di farmi realizzare cos'è che ha chiesto.
- No, dài, Oliver. Fammi pagare.
- No.
- Almeno la mia parte!
- No.
- Allora la tua.
- Qual è il senso, scusa?
- Tu fai un regalo a me, io lo faccio a te. Semplice.
- Non fa una piega; ragiona bene la ragazza – esclama una voce maschile.
- Oh, Frank. Lasciali stare, stanno decidendo tra loro.
- Come facevamo noi, Hill. Non ti ricordi?
- Sì, certo che sì. E' per questo che mi diverto a guardarli bisticciare. Chissà come finiranno.
E' inquietante anche questo, ma per adesso deve passare in secondo piano. Osservo Oliver attentamente, mentre con un movimento rapido del polso tiro fuori dalla borsa il portafogli.
- Quanto ha detto che è?
- Veramente non ho detto niente.
- Okay; allora, quant'è?
- Kenzie.
- Oliver, mi fa piacere sapere che tu sappia come mi chiamo.
- Non fare l'idiota.
- Che dici, Frank? Quanto glieli facciamo pagare?
- Niente. Assolutamente niente. Ma non diciamoglielo, è molto bello guardarli litigare.
Mi fermo di botto, il portafogli a mezz'aria.
- Okay, allora, innanzitutto, grazie mille. Secondo, Oliver, ridammi il portafogli.
- Come vuoi.
- Grazie.
- Ecco a voi – Frank ci porge la busta e la prendo prima che lui possa dire o fare qualcosa.
- Grazie mille – sorrido ai due, facendo un passo indietro.
- Sì, grazie davvero.
- E di che. Ci vediamo ragazzi.
- Arrivederci.
Ci allontaniamo di qualche metro, prima che i nostri sguardi si incrocino tra loro. Sorrido leggermente, il respiro mozzato dall'intensità con cui mi guarda.
- Che c'è? Vuoi litigare anche per chi porta la busta? – borbotto, vedendolo allungare la mano.
- Ovviamente. Che credi? Che ti faccia portare una cosa così pesante?
- Così mi ferisci; e ferisci l'orgoglio di tutte le donne indipendenti di questo secolo.
- Ma sei fissati con questa cosa.
- Dimmi almeno un motivo per cui non dovrei esserlo.
Lo guardo; passo in rassegna la linea del naso, la mascella leggermente squadrata, i capelli marroni che gli ricadono sulla fronte.
- Appunto – commento, dopo il suo silenzio.
- Sei incredibile.
- Grazie. Allora? Adesso dove mi porti?
- Non lo so. Che ore sono?
Guardo l'orologio al polso e l'ho visto mentre i suoi occhi correvano velocemente verso la parte del mio braccio che si intravede dalla manica del cappotto.
- L'una.
- Ti va di pranzare?
- Dove andiamo?
- Credo che l'unico posto sia i Tre Manici di Scopa.
- Mi stai dicendo che dobbiamo tornare indietro?
- Sì. A meno che tu non voglia mangiare caramelle per pranzo – indica un carretto fermo sul ciglio della strada che opera come estensione di Mielandia.
- No. Che schifo.
- Le caramelle... non ti piacciono?
- No. Troppo zucchero.
- Strano. Il cioccolato, invece?
- Sì, quello sì. Da morire.
- Ma... lo zucchero c'è lo stesso.
Infatti non è quello il motivo, genio.
- Lo so. Solo che...
- Non ti va di dirmi la vera ragione, okay.
- Io non...
- Vale lo stesso per quando guardi per terra, giusto? Non è quello il motivo vero.
- Giusto.
- E... ti va di dirmelo?
- E' complicato, Oliver. Però è vero in parte, quello che ti ho detto. E' vero che ho paura, ma non è perché mi metti ansia. Cioè, sì, anche quello. Però c'è una ragione più grande dietro; e non sono pronta per parlarne. Non lo sa neanche Jo, Oliver.
Spero che questo basti per fargli capire che non sono io a non fidarmi di lui.
- Okay – annuisce, come se non avessi capito ciò che ha detto. – Comunque, puoi dirmelo quando ti pare, Kenzie, davvero.
- Grazie.
Apre la porta del bar e la tiene spalancata per farmi passare.
- Indipendenza femminile.
- Eh?
- Smettila di fare cose che secondo voi non possiamo fare ma che in realtà siamo capacissime di fare!
- Continuo a non capire.
- Ecco! Vedi, Ali aveva ragione. Voi non capite mai!
- No, aspetta, cosa? Cos'è questo? "Smettila di fare" in questo caso dire "cose che secondo voi non possiamo fare ma che in realtà siamo capacissimi di fare".
- Touchée. Non vale però, sai pensare, tu.
- E menomale. Se non lo sapessi fare non avrei mai preso quel libro.
- E sai anche parlare.
Che cavolo ho detto?
- Be', ci mancava solo che non lo sapessi fare.
- Intendo... con i verbi giusti, congiuntivo e condizionale. Molti della nostra età non sanno neanche fare una frase al passato.
- A volte sei così snob – sogghigna, indicando un tavolo attaccato alla parete e vicino alla finestra. – Va bene quello?
- Sì, sì. No, comunque, non sono snob. Sono solo selettiva; per passare un bel tempo devi essere con persone piacevoli.
- Allora mi devo ritenere fortunato.
- Assolutamente.
Gli sorrido e mi siedo.
- No.
- Cosa, no.
- Non puoi sedere là.
- Perché no? Cos'è, la tua sedia preferita?
- No. Solo che non si può far sedere una ragazza con la schiena alla parete.
- E perché?
- Perché qualsiasi cosa è più difficile scappare.
No, aspetta, non sto capendo.
- Cosa? Ma dove leggi tutte 'ste cose!
- Boh, l'ho trovato in biblioteca.
- Inaffidabile. Comunque mi rifiuto di sedere in mezzo all'altra gente.
- E perché?
- Perché la gente è uno schifo.
- Bello.
- Comunque, la prossima volta, butta nel dimenticatoio tutta 'sta roba e comportati normalmente.
- La prossima volta?
Sbianco, rendendomi conto di quello che ho detto.
- Oh... Sì, be', intendevo, non... deve essere per forza con me, cioè, in generale, dicevo.
Sorride di nuovo e questa volta lo vedo, gli brillano gli occhi.
Inizia a fare freddo. Sono seduta sulla stessa roccia di qualche mese fa, con la testa rivolta ancora una volta verso l'alto. Solo che questa volta non ci sono foglie; gli alberi sono tutti spogli. Oliver accanto a me, blatera qualcosa sul Quidditch, come al solito. Inutile dire che mi sto limitando a sorridere e annuire.
- Lo so che non mi stai ascoltando.
Sobbalzo, rischiando di cadere per terra in mezzo alla neve.
- Non è vero. Ho sentito la parola Quidditch.
- Che non ho mai detto.
- Ah. Uhm... cosa hai detto, quindi?
- Niente, lascia perdere.
- No, dài. Cosa hai detto?
- Niente – segue il mio sguardo e lo punta anche lui verso il cielo. – Cosa guardi?
- Il Sole –rispondo, senza curarmi del fatto che potrei sembrare incredibilmente strana.
- Il Sole – ripete.
- Sì, il Sole.
- Cosa ti dice?
Oh, pensi che sia così facile prendermi in giro?
- Che vorrebbe radiarti ma sta trattenendo i suoi raggi perché pensa che sarebbe più divertente se lo facessi io.
Mi guarda perplesso e poi scoppia a ridere. E' carino quando lo fa. Davvero molto.
- Che c'è? – domando, sentendomi i suoi occhi addosso.
C'è qualcosa che mi dice che dovrei spostare i miei dal Sole e ricambiare lo sguardo, solo che sembro incredibilmente una mozzarella e prendere un po' di sole non sarebbe male. Oh, ma chi sto prendendo in giro? E' inverno, sarà impossibile farlo.
Sospiro, decidendo che devo smetterla di pensare troppo, almeno quando sono in sua compagnia, e mi giro a guardarlo.
- Niente. E' solo assurda come cosa.
- Per favore! Non sai che poi si offende?
- Ma chi.
- Il Sole, ovvio.
Mi guarda ancora, ma questa volta credo stia cercando di capire se sia seria o meno. Non lo so neanche io, onestamente.
- Okay... Sei sicura di aver bevuto solo Succo di Zucca?
- Oliver.
- Uhm?
- Era verde il Succo; è ovvio che mi ha dato alla testa.
- Allora si spiega tutto.
Anche se non ho capito se fossi seria o meno, questo non vuol dire che tu ti possa prendere gioco di me, idiota.
- Ehi, non mi sfottere!
- Non sto sfottendo te, sto sfottendo la tua incapacità di accettarti così come sei.
Ah, bella questa.
- Chi ti dice che non mi accetto per come sono?
Alza un sopracciglio, guardandomi.
- Per favore, chi è che, accettandosi così com'è, si impone paletti ovunque per trattenersi dal dire o dal fare qualcosa?
- Qualsiasi persona che ci tiene a fare bella figura.
- E tu vuoi fare bella figura?
Anche.
- Indifferente.
- Bah, per favore. Lo so che vuoi farlo, Kenzie. Ti si legge in faccia in alcuni momenti, insieme alla voglia di scappare via.
- Io non voglio scappare via. Sto bene.
E non sto mentendo, per favore, credimi.
- Davvero?
- Davvero.
Sorride, ma c'è qualcosa che non va, lo so. Non mi guarda più, ha spostato il suo sguardo su degli steli d'erba che spuntano fuori dal leggero nevischio che ricopre tutto.
- Cos'hai?
- Niente. Solo... Sei sicura di non sentirti in difetto?
- Che vuol dire, scusa?
Lo so che vuol dire, ma... Sono sorpresa dal suo tatto e dal fatto che abbia capito tutto senza che io abbia detto niente.
- Che non vuoi scappare via.
- Sono sicura, Oliver. Sto bene; davvero.
- Okay. Allora... Rientriamo? Sono le quattro e mezzo.
- Sì, certo.
Mi tende la mano, come se non fossi in grado di...
- Non dire niente, lo so che stai per urlarmi contro che sei in grado di alzarti. Fammi solo credere di fare tutto quello che mio nonno mi ha detto di fare.
- Questo spiega molte cose.
- Ah, sì?
- Sì – confermo, afferrando la sua mano.
E' calda.
- Hai la mano gelata.
- Lo so; si muore di freddo.
- Potevi dirmelo; saremmo ritornati prima.
- No, non volevo. Te l'ho detto, sto bene con te.
Non risponde e, dal suo silenzio, ho paura di aver detto qualcosa di sbagliato. E di aver rovinato tutto.
- Ho... detto qualcosa che ti ha dato fastidio?
- Certo che no. Cosa te lo fa pensare?
- Il tuo silenzio.
- Ah. Be', sì, devo ammettere che manda un po' in confusione. Ma non – si ferma, credo per cercare le parole giuste. – Non è che non ho detto nulla perché non volevo dire niente. Stavo solo pensando a cosa dire.
Scrollo le spalle e punto lo sguardo sul cielo: è plumbeo, e il colore è talmente compatto che quasi mi spavento. La pioggia è orrenda, perciò spero nevichi, anche se inizierà a fare ancora più freddo.
- Ti piace la neve?
- A chi non piace, scusa?
- Uhm...
Non a me, no. Assolutame...
- A te, vero?
- Già. E' bella da vedere, però mi mette un sacco di freddo.
- Perché è fredda.
- Appunto. Mette freddo, solo che a me lo fa venire anche solo pensandoci. Però non è brutta da vedere. E poi... non so cosa ci si debba fare e come.
E... sì, brava, inizia ad aprirti dicendo le cose più stupide della tua infanzia.
Si ferma di scatto e si gira a guardarmi, gli occhi sgranati.
- Aspetta... mi stai dicendo che non hai mai giocato con la neve?
- No. Cioè, sì, ti sto dicendo che non l'ho mai fatto.
- Okay, allora... Quando nevica rimediamo?
- Rimediamo, okay.
Sorrido e, sentendolo stringermi la mano mi ricordo che sì, sto dando la mano a un ragazzo che non sia mio cugino per la prima volta in tutta la mia vita. Be', è un po' inquietante. E triste, forse. Non lo so.
- Che c'è? Che altre confessioni stai per fare? Non mi dire che non avevi mai bevuto il Succo di Zucca!
- No, quello l'avevo bevuto. A cena non bevo altro.
- Okay, va già meglio. Ah, sì! La Burrobirra?
- Credo di averla bevuta per la prima volta quando siamo usciti con Harriett e Logan.
- Va bene, ci sta dàì. Era la prima volta che venivi qui, no?
- Sì.
- Allora è accettabile. Le Tuttigusti +1?
- Uhm... no. Le ho assaggiate tipo all'inizio di quest'anno, però. Te l'ho detto, le caramelle non...
- Sì, giusto. Va be', diciamo che è tutto okay. Sì, possiamo sorvolare e rimediare.
E' fissato con sta parola, eh? Però apprezzo il fatto che stia cercando di sottolineare che nonostante tutto ha intenzione di chiedermi di uscire ancora. Perché è questo che significa, no?
- Però, posso dire da parte mia di non aver mai acquistato dei libri da una bancarella.
- No! Questo è peggio di tutto. Non puoi assolutamente dirmi una cosa del genere! – ah, che bello essere melodrammatica. – Non lo accetto.
- Ma per favore.
- No. Niente "per favore". Questo è davvero un colpo basso; dove li compreresti i libri, allora?
- Libreria?
- Già, esiste anche quella. Una volta ci andavo anche io.
- Uhm... sento che stai per tirare fuori qualcos'altro.
- Esatto. Solo che poi mia madre ha detto che spendevo troppi soldi in libri e quindi ho iniziato ad andare alla ricerca di bancarelle in giro per la città.
Sì, be', il motivo non è tutto qui, ma va bene. Non era, non è, il caso di farla arrabbiare. Quindi... mi sono adeguata, ecco.
- Credo che sia anche una cosa più carina da fare.
- In che senso?
- Adesso che ci penso, dare i soldi a un signore che magari rivende suoi libri o quelli dei familiari che nessuno vuole più, è meglio che continuare a darli alle librerie diffuse in mezzo mondo.
- Non fa una piega. Proprio no.
Annuisce e io mi fermo di scatto, osservando la salita che mi ritrovo davanti.
- No. Io quella cosa non la faccio. Non potevano semplicemente appiattire la terra, invece di lasciarla andare su e giù?
- Eh? Devo dirlo, ma questo mi sembra davvero il commento che farebbe un bambino.
Oh, sai com'è, non ho avuto il tempo di esserla quando potevo, ecco perché.
- Si vede che conosci solo bambini molto maturi – sogghigno, felice di aver ribaltato la situazione.
- Decido di non ribattere. Per la mia incolumità, sia chiaro.
- Ah ah. Ci scommetto.
- Allora, come la vuoi fare questa salita? Volando?
Rabbrividisco. – Assolutamente no, meglio camminare.
Mi giro a guardarlo e, se avessi delle gambe normali, che camminano a un passo normalmente svelto, inizierei a tornare al Castello, lasciandolo là. Ma siccome non ce l'ho e sono tremendamente pigra ho deciso che rimarrò qui ad attendere ciò che mi aspetta per aver fatto un commento del genere.
- Io accetto che a te non piaccia il Quidditch, perché sì. Ma volare è molto più comodo.
- Non è vero.
- Ci hai mai provato?
- Certo che no.
- Appunto.
- Appunto, cosa?
- Non lo puoi dire se non l'hai mai fatto.
- Ci sarà un motivo se non l'ho fatto, non credi?
- Può darsi, ma ritengo che questo sia uno degli insulti peggiori del mondo.
- Va bene, me lo ricorderò. E cercherò di usarlo il più possibile.
- Sadica.
- Mi diverto solo a darvi fastidio. E' lo scopo della mia vita, non sono felice senza averlo fatto.
- Be', questo è un po' inquietante.
- Lo so; è per questo che mi diverto molto.
- Bene, allora farò attenzione a fare di tutto per farti arrabbiare.
Ma che bella dichiarazione d'affetto.
- Wow – commento, ritrovandomi davanti il cancello di Hogwarts. – Non pensavo che parlare mentre si cammina avrebbe facilitato il processo.
- Normalmente non è così. Ma apparentemente hai una parlantina inesauribile, quindi non è stato affatto difficile.
- Questo lo prendo come un complimento.
- Come vuoi.
Il cancello si apre appena ci passiamo davanti e si richiude subito una volta che l'abbiamo varcato. Devo dire che è un po' ansiogeno. Il parco brulica di ragazzi, molti di loro, a giudicare dall'altezza, sono usciti per godersi una delle ultime giornate non troppo fredde in cui non piove dell'anno. Che carini; prima o poi capiranno che è meglio stare al chiuso davanti al caminetto.
Qualcuno di loro si è anche, molto coraggiosamente, seduto vicino al Lago Nero che sono sicura sarà freddissimo. Ma come viene loro. Emanerà una dose di ghiaccio assurda.
- Che fai, pensi a quanto possa essere freddo il lago?
- Sì, ma come fai a...
- Stai guardando inorridita le due ragazze sedute sulla sponda.
- Oh, be' sì, direi che è un indizio molto molto grande.
- Già.
Passiamo oltre, entrando nel Castello. Oliver saluta di nuovo Filch, ancora con un cenno del capo, e lui si affretta a scribacchiare qualcosa sulla pergamena che tiene in mano. Sarà sicuramente per segnare che siamo tornati. O che uno di noi ha un capello fuori posto e allora deve essere punito; non lo so, ma fa lo stesso. Non mi importa.
- Sono sette piani. Sette piani – borbotto, facendo vagare lo sguardo sulla Sala d'Ingresso. Scruto ogni angolo e poi mi cadono gli occhi su quell'armatura quasi nascosta dalla vista degli altri. Chissà se Fred e George l'hanno sistemata.
- No, aspetta. Vieni di qua – tiro Oliver per il braccio.
- Dove mi stai... Non è vero, preferisco non chiedere.
- Ce l'hai la bacchetta? – domando, fermandomi davanti all'armatura.
- Sì, ma...
- Puntala contro sta cosa.
- E' un'armatura.
- Sì, come vuoi.
Oliver fa come gli ho detto e l'armatura si sposta di poco.
Mi infilo nell'anfratto dopo avergli detto di seguirmi. Lo sento entrare e l'armatura si rimette al suo posto.
- Accendi la luce?
- Un attimo. Lumos.
La bacchetta si illumina, illuminando tutto il resto.
- Cos'è questo posto?
- Un passaggio segreto.
- Va bene. Non pensavo che tu fossi a conoscenza di queste cose.
- Me l'ha fatto vedere George.
- Mmmh.
Mi allontano dall'entrata e mi dirigo in direzione della salita. Guardo verso l'alto, ma non vedo assolutamente niente. Poi mi ricordo che è buio e che avrei bisogno della luce.
- Oliver?
- Arrivo.
In un attimo è al mio fianco e punta la bacchetta verso l'alto.
- Cosa stiamo cercando?
- Questo – sussurro, afferrando un cavo di metallo che pende lateralmente. Provo a tirarlo ma non si muove neanche di un millimetro. – Che ne dici di darmi una mano?
- Non credo di fare la differenza.
- Con la bacchetta, idiota.
- Mi hai chiamato idiota? – domanda, picchiettando la bacchetta sul cavo.
- Sì. Non posso?
- Boh, come vuoi.
Qualcosa si sblocca e poco dopo uno sferragliare si diffonde per tutto il cubicolo.
- Che cos'è?
- Non ne ho la più pallida idea.
- Ma avevi detto che...
- Mi ci ha portato prima che gli facessi venire l'idea di costruire un mezzo per risalire su.
- Capisco. E tu stai scegliendo di fidarti dei gemelli Weasley?
- Assolutamente sì.
- E' preoccupante.
- Bah.
- Credo che tu ti debba spostare da lì. Sai, si ferma esattamente a qualche centimetro da te – indica un binario che è stato fissato sul pavimento e che, effettivamente, si ferma a poco dai miei piedi.
- Bello.
Mi sposto in tempo per vederlo arrivare e fermarsi.
- Allora? Andiamo?
- Devo dire che sono molto riluttante. Ma dirò che mi fido di te, quindi comporta anche che mi fiderò dei gemelli; il che, lo so, porterà molti problemi nella mia vita.
- Non essere così drammatico.
- E' divertente.
Mi fa salire e poi mi raggiunge. Aspettiamo così un paio di minuti, non sapendo cosa fare.
- Credo tu debba dire al carrello che vogliamo risalire.
- Oh, sì – picchietta ancora la bacchetta sul cavo e lo vedo arrotolarsi, mentre il carrello inizia a prendere velocità.
- Direi che è meglio farsi la discesa di sedere! – urlo, cercando di sovrastare il rumore e fissando lo sguardo sulle mie nocche che sbiancano sempre di più per la tensione che sento in questo momento. Forse aveva ragione, non dovevamo fidarci dei gemelli.
Lentamente si ferma e non credo di aver mai trovato una parete grigia più bella di così.
- Va bene, allora, adesso che abbiamo stabilito che quel coso può essere utile ma che è meglio farsi sette piani a piedi, possiamo uscire. Oliver?
- Eh.
Sobbalzo, non avendolo sentito mentre si avvicinava.
- Dovresti...
- Sì.
Ripete lo stesso gesto per la terza volta, ma questa volta lo fa sul telaio del quadro che chiude il passaggio. Si muove sui cardini, facendoci uscire.
- Che piacere, vedo che ha cambiato idea su quello che c'è alle mie spalle, signorina.
- Sì, decisamente – commento allontanandomi. – No, non è vero. Ero riluttante la prima volta che ci sono entrata e lo sarò sempre, però il potere che i sette piani avevano sulla mia mente è stato più forte.
- Va bene. Continuerò a non capire, ma mi limiterò a darti ragione.
- Bravo, si fa così.
Raggiungiamo il quadro della Signora Grassa in poco tempo e Oliver si affretta a dire "Testa di Porco", facendo aprire il quadro.
- Grazie – sussurro, non sapendo neanche io se lo stessi dicendo alla Signora Grassa, a Oliver che mi ha fatto passare o che ha detto la parola d'ordine al posto mio o che semplicemente mi ha sopportato per una giornata intera.
- Va bene, allora... Direi che... ci vediamo domani? – mi chiede, lanciando un'occhiata furtiva ai suoi amici seduti sul divano vicino al caminetto che, in compagnia delle amiche, fanno finta di non averci visti e di non star morendo dalla voglia di sapere che cos'è successo.
- Certo. A domani, Oliver.
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