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10· Arcicacchio, sorella!


- Ehi, Kenzie!
Mi fermo, nonostante l'ora di Divinazione sia iniziata da dieci minuti e io - ovviamente - sia in ritardo.
Qualcuno mi affianca e una borsa mi urta il fianco. Non ho la più pallida idea di chi possa essere.
- Ciao... – alzo lo sguardo quel poco che mi consente di osservare i colori della cravatta della persona che mi affianca. E' gialla e nera. Okay, quindi, ci sono tre opzioni. O è Harriett, o è Roland, oppure è... qualcuno che non conosco.

- Sono Michelle, Kenzie.
- Ah, okay.
Non mi è cambiato nulla: ancora non ho capito chi sia.
La ragazza – credo sia una ragazza. Michelle è un nome da ragazza, vero? – sbuffa, incrocia le braccia e guarda davanti a sé, scocciata.
- Dobbiamo fare quel lavoro sui bubotuberi che ci ha assegnato la Sprout.
- Ah. Okay.

- Qualcos'altro lo sai dire?
Alzo gli occhi al cielo.
- Sì – sibilo. – Adesso devo andare, sono in ritardo a Divinazione.
- Non ti ho mai vista in fila giù, sotto alla botola.
- Oh – merda, merda, merda, merda. Sento il metallo dorato del ciondolo che porto al collo aderire sullo sterno e percepisco un peso enorme gravarmi sulle spalle.

La voce della McGonagall mi riecheggia in testa, ricordandomi che, in qualsiasi caso, devo mentire. Non posso dire la verità per quanto riguarda quello che porto al collo.
- Sono solo molto in anticipo.
- Sono sempre la prima a entrare in classe; non ho mai visto un tavolo occupato.
Merda al quadrato.

- Ah, be', mi confondo con la tappezzeria – improvviso. – Sai, ha gli stessi colori di Grifondoro.
Svolto a destra, e lei mi segue.
Non spiccica parola per un po', si limita a tirare fuori la bacchetta e a puntarla contro la sua cravatta, stringendo il nodo. Sposto lo sguardo sulla mia, di cravatta, e noto davvero la differenza. Non penso di averla mai lavata né riannodata in tre anni. E' troppo faticoso. E potrei dimenticarmela da qualche parte.

E' un attimo, e quando me ne accorgo è troppo tardi. Michelle ha puntato la sua bacchetta contro la mia cravatta. Stringo gli occhi, preparandomi a una stretta al collo che non arriva mai. Immagino il nodo salire e salire, ma evidentemente si è fermato prima della mia gola. Abbasso gli occhi in tempo per vedere qualcosa evaporare via, lasciandola, lasciandomi, per sempre.
- Arcicacchio, sorella. Ma come ti permetti!
Un ragazzo mai visto prima appare davanti a noi. 
- Oh, Ern, sei proprio una palla assurda – commenta Michelle, squadrando scettica il berretto azzurro vivo che indossa il ragazzo di fronte a noi.

- Ma come ti permetti! – ripete. – Non puoi cancellare la memoria a un oggetto! non è rispettoso! e scommetto che non hai neanche chiesto il suo permesso!
Lo guardo, i capelli marroni gli decorano il viso, allargandogli gli occhi e facendolo sembrare ancora di più un invasato. E' carino da parte sua, però, preoccuparsi per la mia cravatta.
Il ragazzo mi guarda, socchiude gli occhi, stende un braccio in avanti e lo agita in senso orario. La nube argentea che prima era scappata dalla mia cravatta ritorna, rendendola riconoscibile ai miei occhi.
- Grazie...

Non ho la più pallida idea di chi ringraziare.
- Ernest Filbertus, quinto anno, Tassofrasso – si presenta, piegandosi in un buffo inchino.
Trattengo una risata.
- Mackenzie Swaan.
Gli tendo la mano che lui ignora e corre ad abbracciarmi. Okay. Tutto normale. Ricambio a disagio la sua stretta, lanciando un'occhiata a Michelle. O almeno dove sarebbe dovuta essere Michelle. E' sparita. Ma che cattiva. Mi ha lasciata da sola con questo essere a dir poco esuberante. 

- Ehm... okay.
Si stacca malamente dall'abbraccio e, mettendo male i piedi, inciampa sul mantello a dir poco lungo.
- Arcicacchio – esplode, tirando fuori la bacchetta e incenerendo la parte finale dello strato superiore che indossa. – Ecco fatto. Adesso è perfetto. 
Fa un giro su se stesso, cercando di capire come sia venuto questo taglio improvviso.
- Sembri un pinguino, Ernest.
- Oh, ragazza, chiamami Ern. E' assolutamente troppo lungo Ernest. 
- O-okay.
Tutto normale, non sono affatto sconvolta.
- Be', Ern – calco sul nome, sorridendo davanti la stramberia del ragazzo. – Adesso devo andare, sono in ritardo per Divina...

La campanella suona, interrompendo la mia frase.
- Merda!
- Arcicacchio, sorella – mi corregge il bruno soavemente.
- Arcicacchio – convengo, prima di accorgermi com'è che mi ha chiamata. Sorella. Bah, che strano individuo.
- Mi uccide. La McGonagall mi uccide.
Respiro più volte, guardando i capelli chiari di Ernest senza vederli per davvero.

- Oh, andiamo sorella, non preoccuparti. E' la prima volta che arrivi in ritardo?
- Sì.
- E allora devi stare tranquilla! – esclama, assestandomi una pacca sulla spalla.
Mamma mia, ha una forza micidiale, constato mentre sulle mie labbra si disegna una smorfia.
- Se lo dici tu – borbotto, guardando gli studenti che escono dalle classi e si allontanano chiacchierando animatamente. 
- Kenzie! – un'Alicia trafelata appare al mio fianco, guardandomi arrabbiata. – Ma dov'eri, non c'eri ad Antiche Rune!
Sbatto le palpebre, perplessa. Io quella lezione l'ho seguita.

- Ma come! Mi hai pure parlato Ali! E poi, guarda – tiro fuori dalla borsa la pergamena con gli appunti di quello che ha spiegato oggi la professoressa e glieli faccio vedere.
- Ah. 
La guardo, domandandomi a cosa stia pensando. Sempre che stia pensando; a volte mi chiedo se lo sappia fare o meno. Okay, non volevo essere così cattiva, ma mi è uscita.
- Va be', andiamo o no? – parla Alicia.
- Dove?
- A lezione. Trasfigurazione – mi ricorda, vedendomi perplessa.
- Arcicacchio, sorelle! Anche io ho Trasfigurazione!
Eh? Da quando i Tassofrasso fanno Trasfigurazione con noi?
- Uhm... Ern, scusa, ma non sei in Tassofrasso?

- Eh? Sì.
- Appunto – commenta Ali. – Noi la facciamo con i Serpeverde, Trasfigurazione.
Una smorfia di disgusto si dipinge sul volto di tutti noi, quando sentiamo il nome della casa che, da sette anni, vince tutto: Coppa delle Case, Coppa di Quidditch e chi più ne ha più ne metta.
- Davvero? Ma sul mio orario c'è scritto... – Ern infila le mani in tasca, cercando probabilmente un pezzo di carta. A un certo punto il volto gli si illumina e sfila il braccio destro dalla tasca. Lo osserva soprappensiero, prima di tirarsi su la manica del maglione e quella della camicia. Una scritta azzurra balugina sulla sua superficie ed Ern la guarda, gli occhi socchiusi.

Schiocca la lingua sul palato, poi punta un dito su un punto a caso del suo braccio.
- To', guardate – ci fa cenno di avvicinarci.
Ali lo raggiunge, un cipiglio sul viso. Scandaglia il braccio del ragazzo e sospira vittoriosa.
- Oggi non è mercoledì.
- E quindi?
- Quindi oggi non hai Trasfigurazione. Ce l'hai domani con i Corvonero.
- Davvero? – Ern sposta il suo sguardo dal volto della mia amica sul suo braccio e annuisce lentamente.
- Sì, è vero, scusate.
- Di niente.
Il tempo di sbattere le palpebre che Ern si è volatilizzato, un po' come Michelle qualche minuto fa, e un odore di popcorn disperso nell'aria.
Guardo Ali, perplessa; Ali mi guarda, perplessa. Poi scoppiamo a ridere.

Non riesco neanche a sedermi a tavola, a lanciare un'occhiata veloce a quello che potrei potenzialmente mettere prima nel mio piatto e poi nello stomaco che qualcuno si schiarisce la voce alle mie spalle.
Mi giro, un'aria scocciata sicuramente impressa in ogni lineamento del mio viso. Solo che, nel guardare chi è che mi ritrovo davanti, essi si congelano a metà, fermi, tra l'essere scocciati e l'esser sorpresi. Non mentirei se dicessi che non riesco a capire se sono sorpresa, felice o se non mi fa né caldo né freddo il fatto che lui sia davanti a me. Mi guarda, ed è di nuovo castano contro azzurro, azzurro contro castano, ed è adesso che mi accorgo per la prima volta di chi siano quegli occhi che vedo ogni tanto quando chiudo i miei. Ed è un vero problema, questo; perché io non so proprio che dire, che fare, ma soprattutto cosa non dire e cosa non fare. Che debba fare tutto quello che faccio normalmente? Dire quello che direi in qualsiasi situazione?

Continua a guardarmi, uno sguardo indecifrabile e un sorriso sulle labbra.
- Ciao – saluto, appoggiando la borsa sul pavimento. 
Mi siedo sulla panca che dà le spalle al portone e cerco tra tutto il cibo sul tavolo qualcosa che mi piaccia davvero.
- Ciao – ricambia, sedendosi accanto a me. – Come va?
- Bene, tu?
- Bene. Ho visto che hai conosciuto Ernest.
Sgrano gli occhi, lanciandogli un'occhiata furtiva.
- Come...?
- Lasci dietro di te un odore di popcorn bruciati. Ed è la sua firma, quella.

- Ah.
Che commento stupido. Poi realizzo quello che ha detto e tutto il peso che ho sentito stamattina mi cade di nuovo sulle spalle mentre il ciondolo si fa sempre più pressante. Devo togliermelo. O dirlo a qualcuno. Ma ho promesso che non avrei fatto né l'una né l'altra cosa.
- Sei di poche parole, oggi?
- Ho fame.
Risposta breve e sempre efficace. Meravigliosa.
Non dice altro, credo abbia annuito un paio di volte, per poi posare il suo sguardo altrove. Forse sta cercando Finn e, adesso che ci penso, non vedo Jo da questa mattina. Chissà dov'è. 

Fisso gli occhi sul piatto, fingendo di trovarlo interessante; anche se non c'è niente. Metto gli occhi su una fetta di torta salata e faccio per allungare la mano, ma qualcuno mi precede. Alzo la testa e un paio di gelidi occhi azzurri mi congelano sul posto.
- Mackenzie.
- Ciao, Jason.
Oliver riporta di scatto la sua attenzione su di me, guardando Jason con un sopracciglio alzato.
- Oliver – il suo tono è ancora più freddo di prima.
- Jason.

Non so chi sia più scostante e freddo.
Rimangono per un po' così, a squadrasi, cercando qualche punto debole nell'altro, prima di arrendersi. Oliver sospira, scuote la testa e lancia un'occhiata rassegnata al ragazzo biondo.
Jason sorride vittorioso, ci volta le spalle e se ne va.
Sbatto gli occhi, perplessa.
- E quello cos'era?
- Cosa?
- Quello – lo indico e punto il dito sulla schiena di Jason che si sta allontanando.
- Oh – s'impensierisce, corrugando le sopracciglia. Scrolla le spalle dopo un po'. – Non so, qualcosa di sicuro.

- Non lo avrei mai detto.
Mi guarda, facendo scontrare nuovamente le nostre iridi e, per l'ennesima volta, sento un peso enorme gravarmi sulle spalle. Però sparisce quando mi sorride e, sebbene non mi senta a mia agio così, azzurro contro castano, il loro colore che si fonde, l'acqua che cerca di penetrare nel terreno, non riesco a distogliere i miei occhi dai suoi. C'è qualcosa che mi trattiene lì, che mi impedisce di smettere di guardarlo, un sorriso sulle labbra. Mi sorride ancora, ma è un sorriso più largo, più allegro, più sincero, e, per un attimo, smetto di sentirmi inadeguata. Inizio a sentirmi... me. 

- Stavo pensando – Oliver rompe il silenzio, continuando a guardarmi negli occhi. – Ti va se...
- Kenzie!
Qualcuno piomba in mezzo a noi e mi abbraccia. Lancio un'occhiata dispiaciuta a Oliver, ma lui ha smesso di guardarmi.
- Ehm...
Mi finiscono dei capelli in bocca e, scorgendone il colore, scuoto la testa.
- Jo. Quanto tempo.
Si stacca dall'abbraccio e si sistema i capelli rossi, lasciati sciolti. 
- Che fai a maniche corte? Si muore di freddo! – esclamo, fissando la sua maglietta a righe.
- Bah, si sta bene.

Alzo gli occhi al cielo e mi scanso per farle posto.
- Allora? Che succede?
Prende una fette di torta e sorride allegramente, come una bambina.
- Stavo pensando, cioè, io e Terence stavamo pensando... – oddio, no. Per favore. – Magari una volta potevamo uscire insieme.
Tiro su le sopracciglia a una velocità sorprendente e la guardo, scettica.
- Senti, Kenzie, lo so che non ti sta particolarmente simpatico, ma – mi fa cenno di tacere quando apro la bocca. – Lui vorrebbe davvero conoscerti e poi io vorrei davvero che la mia migliore amica e il mio ragazzo siano quantomeno in buoni rapporti. Non sto dicendo che dovete diventare amici del cuore, per carità, solo arrivare a scambiarvi un "ciao, come va?" o anche semplicemente un "ciao". Va bene anche se smetti di ignorarlo!
- Uhm... Va bene, okay. Ma solo perché sei tu.

Che frase fatta quella che mi è appena uscita dalle labbra, ma lei sembra non averci fatto caso, infatti mi sta abbracciando di nuovo. Però credo che abbracciare sia troppo poco; lei mi sta soffocando.

Ancora non ci credo. Come è riuscita a convincermi? Io non voglio conoscerlo, né tanto meno parlarci. Sbuffo, calcandomi il berretto in testa. Non ho la più pallida idea di che colore abbia, so solo che ho preso il primo cappello che ho trovato nel baule. Mi stringo nel cappotto, guardandomi attorno. Ancora nessuna traccia dei due, e io sono qui fuori, al freddo, ad aspettarli. Insomma, quanto gli costa capire che a novembre si gela? E che non possono lasciarmi qui, che se no iberno?

Bah, apparentemente non gli interessa. Guardo un'altra volta la strada principale e, trovandola deserta, decido di entrare. Che mi venissero a cercare nel caso in cui si degnassero di venire. Apro la porta del bar, strofinando i piedi sul tappetino. Mi guardo attorno sfilandomi il cappello dalla testa. Levo i minuscoli fiocchi di neve che avevano iniziato a cadervici sopra e sospiro, passando in rassegna tutti i tavolini presenti nel locale. Sono rotondi, su di essi un porta-fazzoletti terribilmente rosa e un menù rettangolare, anch'esso di quel colore.

Stomachevole.
Mi siedo al primo tavolo libero, sfilandomi anche i guanti dalle mani: sembra fare caldo qui.
- Ciao! Benvenuta da Madame Puddifoot, come posso esserle d'aiuto?
Giro la testa, spostando la mia attenzione dal menù alla ragazza apparsa dal nulla accanto al tavolo.

- Oh, non si preoccupi, sto aspettando delle persone.
- Ah, okay. Be', mi chiami quando arrivano, va bene?
- Sì, non si preoccupi.
Un sorriso di circostanza e via.
La cameriera se ne va e io riporto la mia attenzione sul menù.
- Ma Ern, non è possibile!
Una voce più alta del normale di qualche ottavo mi perfora il timpano, costringendomi ad alzare gli occhi dal menù, di nuovo. Mi giro quel poco che basta per identificare la coppia di ragazzi seduta al tavolo accanto al mio.

- Sorella, è possibilissimo, invece – ribatte pacato Ern, guardando la ragazza che gli siede davanti.
- Andiamo, Ern, come può essere questa la funzione della polvere lunare?
Pozioni.
- Guarda sul libro, Michelle, se non ci credi.
Michelle apre uno dei volumi accatastati sul tavolo e scorre velocemente le pagine prima di arrendersi al fatto che Ernest abbia ragione.

- Ciao!
Una figura mi si para davanti, coprendo Ernest e Michelle.
- Ehi, Jo.
Sorrido, alzandomi, e l'abbraccio. Si siede davanti a me, si srotola velocemente la sciarpa dal collo e l'appoggia sullo schienale della sedia.
- Terence? – le chiedo, mentre si leva il cappello.
- Non lo so, aveva detto che ci raggiungeva qui. Aveva qualcosa da fare con Thomas.
Annuisco un paio di volte, tornando a guardare il menù.
- Ce l'hanno la cioccolata calda?
Mi rigiro tra le mani il foglio di carta plastificata scorrendo velocemente i titoli.
- Sì. 
- Bene.

La stessa cameriera di prima ci raggiunge, tirando fuori dal grembiule che porta un block-notes. 
- Ciao! Benvenute da Madame Puddifoot, cosa vi porto?
- Non aspettiamo Terence?
- No, 'sti cavoli. Si arrangia. Io vorrei una cioccolata calda, se è possibile – Jo guarda la cameriera, sorridendole.
Scrive velocemente sul foglio, prima di guardare nella mia direzione.
- E lei? Cosa prende?
- Tè verde ne avete?
- No, mi spiace.
- Uhm... allora, un bicchiere d'acqua, grazie.

Se ne va, lasciandoci sole ancora.
- Allora... Sei sicura che abbia detto che ci avrebbe raggiunto? – le domando, vedendola che guarda nervosa fuori dalla finestra, verso la strada. 
- Sì. Anche perché se così non fosse non avrei certo scelto questo posto.
Arriccia il naso, fissando lo sguardo sui cuscini rosa che ricoprono tutte le sedie vuote.
- E... perché siamo qui, allora?
- Non gli piacciono i Tre Manici di Scopa, dice. 
- E preferisce questo posto? – sussurro, lanciando un'occhiata alla cameriera che sta prendendo le ordinazioni qualche tavolo più indietro.
- Non lo so. Non credo sappia dell'esistenza di questo locale.

- Ci mancherebbe pure.
Sbuffa insieme a me e si alza in piedi di scatto quando il campanello sopra la porta suona dopo che essa è stata aperta. Agita una mano, richiamando l'attenzione della persona che è appena entrata. A giudicare dalla sua espressione, non può essere altro che lui.

- Ciao.
E' solo la quarta volta che sento questa parola e già non la sopporto più. Lo saluto con un cenno della testa, guadagnandomi un calcio da parte di Jo.
- Come va? – forzo un sorriso, guardando a malapena il ragazzo che mi si siede accanto in modo da poter guardare tranquillamente Jo negli occhi. Ah, che cosa carina.
Strizzo gli occhi, non riuscendo a capacitarmi di che cosa abbia detto, ma soprattutto di chi l'abbia detto.
- Bene. Tu?
- Non c'è male.

- Frequenti Divinazione, vero? 
- Eh?
- Divinazione. La segui, giusto?
- Sì, perché?
- Oggi non c'ero a lezione, magari...
- Non sono andata a Divinazione, oggi.
Jo sgrana gli occhi, guardandomi.
- Ho fatto tardi e sono arrivata praticamente sotto la botola quando è suonata la campanella. 
- Non me la racconti giusta – mi punta il dito contro, assottigliando gli occhi.
- Andiamo, Jo. Perché dovrei saltare Divinazione?
- Perché la professoressa è una noia assurda.
- Ottimo punto, ma no. Questo non basta. 

- Magari non avevi voglia.
- Non salto una lezione perché non ho voglia di andarci.
- Okay, okay, ti credo, va bene.
- Sai a chi posso chiederli?
Annuisco, prima di puntare lo sguardo verso il tavolo accanto il nostro.
- Ehi, Michelle! Ce li hai li appunti di Divinazione?
La ragazza bionda si gira verso di me, alza gli occhi al cielo, e mi passa una serie di fogli. 
- Li rivoglio indietro, Mackenzie.
- Te li ridò subito.

Li appoggio sul tavolo e mi rigiro verso di lei. 
- Ce l'hai della pergamena?
Sbuffa e mi porge un rotolo intonso.
- Grazie.
Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni la bacchetta. Picchietto un paio di volte sugli appunti di Michelle e faccio lo stesso sulla pergamena vuota. Gli appunti si copiano su di essa e, dopo aver tagliato il foglio poco sotto la fine degli appunti, lo rifaccio.

- Grazie. Ma come li hai presi? Neanche tu sei andata a lezione.
Scrolla le spalle, lanciandomi un'occhiata penetrante.
Ah. Anche lei ha una GiraTempo.

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