7 - Elis
Mentre il socio mi minaccia al telefono, scorro febbrilmente nel portatile le notizie riguardo a questa Hakkin Driver Academy che pare sia un programma sportivo per la formazione di nuovi piloti di Formula Uno. E Kay Moser è il più giovane coach mai esistito, ex pilota, ingegnere elettronico e sviluppatore del cambio automatico, insomma non ho il minimo dubbio che mi rovinerà.
«Senta, dica al suo cliente, amico, stalliere o quello che è», gli faccio il verso, «che io non so andare a cavallo, anzi i cavalli sono molto alti e mi mettono soggezione.»
E se penso di aver investito un pilota di Formula Uno non so se ridere o piangere.
«Non è un mentore di cavalli», sbraita.
«Ma ha detto che lavora in una scuderia, no?»
Fa una pausa, poi tuona spazientito: «Senta ha qualcuno? Voglio dire, qualcuno nel suo letto?».
Mi blocco.
Ridacchia sadico: «C'è ancora? Yuhuuu?»
«Siete dei pervertiti, per caso?»
Sotto avverto delle risatine sommesse. Sembra che stia facendo lo spiritoso davanti a qualcuno, forse il suo socio genio elettronico che ho quasi ucciso. Mi dico che me lo merito, non potevo aspettarmi che un uomo in carriera costretto a letto a causa mia mi avrebbe trattata gentilmente, ma non capisco perché mi abbia scagliato contro questo idiota invece di parlarmi direttamente. Forse è un sessista.
L'uomo ha finalmente perso la voglia di schernirmi. «La faremo chiamare dall'avvocato, allora. Buonasera.»
Anche lui attacca senza che io abbia modo di replicare, deve essere una moda.
«Chi era quel signore al telefono, Elis?», domanda Chicco trascinando il suo cane da guardia e di pezza Bingo.
Uno che mi ridurrà sul lastrico.
«Il socio – pervertito - di una specie di genio elettronico che collauda le macchine da corsa e allena piloti», sorrido e gli strizzo l'occhio.
«E riparerà la tua macchina rotta?», domanda curioso.
Rido. «Sì, come no, riparerà il cambio automatico che io non so usare e che lui ha inventato.»
***
Alle sette del mattino seguente è arrivato il papà di Chicco, il nuovo compagno di mia madre. Rudolf con la sua camicia a quadri aperta sulla canotta che aderisce alla pancia prominente, pare uno che deve organizzare il barbecue della domenica, gli manca solo il forchettone, e suda copiosamente mentre stacca dal gancio da traino la mia Fiat Panda di seconda mano.
Passa un fazzoletto sulla fronte e dice: «Ti ho portato la macchina».
Me ne ero accorta.
Odio l'idea che un'altra automobile sia sbucata qui per tediare la mia repulsione alla guida, ma sembra sia l'unico modo per restare nella landa con un minore.
«Significa che io e Chicco possiamo finire la stagione estiva?», domando.
Mi fissa divertito mentre si sbarazza del fazzoletto ormai inutilizzabile e asciuga il sudore con la manica slacciata. «Non dicevi che detesti la campagna isolata?»
Alzo le spalle. «Lo faccio per lui.»
Rudolf osserva rassegnato suo figlio attaccato alla mia gamba, poi indica il suo furgone sbullonato. «C'è una riunione straordinaria, sai... per via del tuo incidente... .»
«Quale incidente?», domanda Chicco.
Fulmino Rudolf e lui divaga: «Dico, dovete venire al borgo, poi vediamo. Ma non potevo lasciarti senza macchina, anche se mi pare che quando guidi sei pericolosa.»
Non lo capisco. Sembra sempre cordiale, ammansito da una sorta di compassione di fondo, ma poi spara certe sentenze che mi lasciano interdetta.
Non c'è verso di evitarla, la riunione straordinaria con la mamma è un evento che come le fasi lunari si ripete ciclicamente, e opporsi è inutile: lei ti invita, ma se non vai tu, fa come Maometto.
Montiamo sul furgone col divano in prima fila, guidatore e passeggeri spalla contro spalla, anche se avrei preferito farmela sul cassone di dietro, odio le canzoni matusa che mette Rudolf nel tragitto, odio che le fischietti a tempo senza perdersi una nota, odio che i sedili e la sua pelle odorino di tabacco stantio, da buon ex fumatore.
Scossoni, dossi e buche e poi siamo finalmente sulla strada maestra. Tengo stretto Chicco, e per cinquanta minuti mi sorbisco "Il cielo in una stanza" e "L'immensità" in loop fischiettati.
Sul lungolago, intorno al borgo dei pescatori c'è il parco giochi preferito da Chicco, e mentre lui corre forsennato da uno scivolo a un gonfiabile con Rudolf che si affanna a stargli dietro, io siedo al tavolino del solito bar vista lago con la mamma. È avvolta nell'ennesimo saio sottile e largo stile indiano, e ha orecchini a forma di conchiglia talmente grandi che i lobi le stanno crollando sul collo. La sua acconciatura è più cotonata del solito e anche il tono sembra esagerato. Sorseggia una tisana alle erbe con ghiaccio, e dopo un minuzioso interrogatorio sulle mie condizioni di salute e una predica sul fatto che avrei potuto lasciarci le penne, mi passa il giornale di oggi, la cronaca di Viterbo e dintorni.
«Leggi.»
Sbuffo e sbadiglio, fisso il lago, fisso i natanti che si stanno divertendo, ogni tanto osservo Chicco, non mi fido di Rudolf, se l'è perso già tre volte.
«Leggi il giornale», ripete con più energia.
«Mamma, ho caldo, sono stanca, non mi va di leggere il giornale.»
Lei non demorde, infila una mano nel cesto di paglia gigante e fucsia, ed estrae gli occhiali da vista, li inforca, afferra il quotidiano e cita: «Incidente sulla Tuscanese, travolto il mentor automobilistico Kay Moser mentre viaggiava in sella alla sua Ducati. Le sue condizioni non sembrano essere gravi ma la riabilitazione gli impedirà di prendere parte all'evento per ex piloti di Formula Uno organizzato dalla scuderia Hakkin a cui interverrà un parterre di eccellenza: esponenti sportivi di fama internazionale appartenenti a tutte le categorie...».
«Ma basta, mamma, che palle!»
Lei si ferma, abbassa il lembo del giornale e mi osserva da sotto le lenti: «Che palle? Hai detto che palle? Ma dico, hai capito chi hai travolto? Secondo te questo tizio come lo ripagheremo?».
Sospiro e abbasso gli occhi: ecco dove lo avevo visto, sulla copertina di una delle riviste che compra Rudolf, roba di macchine e motori.
«Dev'essere il karma», civetta pensosa. «Il tuo karma ti porta sempre agli incidenti stradali, devi assolutamente vedere qualcuno che incanali la rotta cosmica del tuo destino, devi invertire il flusso energetico.»
Adesso mi propone Ori Lumi, il suo guru personale. Prima che lo faccia salto in piedi.
«Vado a fare due passi lungo il lago, ho bisogno d'aria.»
«Vengo con te.»
«No, vado da sola, ho bisogno pure di riflettere», non le do il tempo di pagare il conto e mi precipito verso la darsena a passo svelto.
Mi fermo sulla spiaggia vicino all'ormeggio di piccole imbarcazioni colorate che s'incastrano perfettamente nello specchio immutato del lago. Piombo col sedere sulla sabbia e porto le ginocchia al petto. Ha ragione Vinny, dovevo morire al loro posto, ne ho quasi ammazzato un altro, toccava a me.
La tasca vibra. Sfilo il cellulare e avverto un fremito: pensi al diavolo... .
«Come ti senti?», il suo è un tono gentile.
Un momento: è gentile? Scanso il display e leggo il nome che compare per accertarmi che sia proprio mia sorella.
«Perché lo vuoi sapere?», chiedo sospettosa.
«Tesoro, sei stata in ospedale, è normale volerlo sapere, sono tua sorella.»
Ma che ha? È sotto l'effetto di qualche metamfetamina?
«Sto... sto bene... e tu come stai, Virginia?», la provoco.
«Senti...», allunga la i finale, trascina la voce e la domanda, evidentemente le serve qualcosa. «Stavo pensando che di quel centauro che hai investito me ne posso occupare io, ci tratto io».
Deglutisco aria.
Cerco di non sembrare acida o sconvolta o acida e sconvolta: «Per caso ti è apparso in sogno papà che ti ha pregata di smettere di fare la stronza con me?» Okay, sono stata acida. E stronza.
Vinny incassa. Non è da lei. Non ha mai incassato in vita sua. Si trattiene, lo sento, la conosco, e fa ancora la gentile: «Non sei tu che in ospedale mi hai pregata di parlarci e di patteggiare al tuo posto?»
«E non sei tu», ribatto, «che alla villa mi hai detto che l'ho investito io e che devo pensarci io?».
«Ho cambiato idea.»
«Posso sapere perché?»
Lei fa una pausa lunga. Poi sento che le costa dire: «Vuoi una tregua? Vuoi che ti perdoni e che torniamo a essere le sorelle di un tempo? Bene, passa a me questa rogna, dammi fiducia e io prometto che tra noi le cose si sistemeranno».
Sono basita.
Ci rifletto. Non mi dispiacerebbe riavere indietro mia sorella, quella di tanto tempo fa, intendo, quella che mi voleva ancora bene. Non mi dispiacerebbe smettere di essere chiamata assassina.
«Va bene», sospiro. «Kay Moser è tutto tuo.»
«Perfetto, mandami i contatti via messaggio. E dimentica questa storia, da ora in avanti sarà un mio problema. Ciao, sorellina», ridacchia eccitata come una zitella stupida.
L'importante è che mi risparmi la bancarotta, poi come pensa di riuscirci... mistero. Forse avrei dovuto dirle che si tratta di un uomo importante, famoso. Poi scuoto la testa e mi esce un sorriso torbido, o forse lo sa già.
Due braccia piccole e veloci mi cingono le spalle.
«Ti ho trovata, ti ho trovata!», ride Chicco.
Lo prendo sulle gambe e dietro di lui sbucano Rudolf e la mamma.
«Andiamo a pranzo? Ho prenotato da Fritto Italiano, lungo il molo», dice mamma.
Sbuffo sonora. «E, lasciami indovinare: mangeremo fritto?»
Possibile che niente di quello che fanno loro vada bene anche a me? Forse ha ragione, è un problema di karma.
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