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5 - Elis


Uno scossone mi sospinge avanti.

Vinny tiene la strada e sbraita: «Questo schifo di campagna, le radici degli alberi mi stanno massacrando gli ammortizzatori, finisce che mi spostano l'asse e devo rifare la convergenza».

Non ho idea di cosa abbia detto, è sempre stata un meccanico mancato, so solo che è incazzata.

Continua a lamentarsi: «La colonia estiva è stata una pessima idea, adesso chiamiamo mamma e le diciamo che glielo riportiamo. Anche perché sei rimasta pure senza macchina, non potete restare qui in questa landa desolata da soli, se c'è un'emergenza a chi telefoni?».

«A te», ridacchio.

Mi fa il dito medio: «Non sono la vostra autista».

«Chicco si sta divertendo, e con mamma a Viterbo sul lago di Marta a fare la muffa si annoierebbe a morte.»

Alza un sopracciglio e mi sfotte: «E perché, scusa? Mi pare che noi ci siamo annoiate a morte su quel cazzo di lago per tutta la vita, non vedo cos'abbia di così speciale quel folletto per meritare di meglio».

«Ma quanto sei stronza.»

«Dopo vent'anni ha deciso di mettere al mondo un marmocchio col coglione nuovo che s'è messa in casa, beh, che se lo crescano loro. Noi non le dobbiamo niente. Io poi, le devo meno di te. Tu hai da scontare l'ergastolo. Ma siccome alla fine lo fai scontare a me, meglio darci un taglio.»

Sbotto: «Quando la finirai di farmi sentire un'assassina?».

Lei frena e si ferma in mezzo al sentiero polveroso. «Ammetterai che venire a recuperarti in ospedale per aver quasi ammazzato un uomo risvegli ricordi dolorosi, cazzo!» Mi guarda con odio: «Mi hai resa orfana e vedova in un colpo solo, e no, non smetterò mai di ricordartelo. Eri tu quella che doveva morire quel giorno».

«'fanculo», smonto e mi metto in marcia. Non manca molto per la villa e non ho intenzione di ascoltarla ancora. Per l'ennesima volta mi ha vuotato addosso quello che pensa, mi ha sempre dato la colpa. Pensavo che col tempo avrebbe capito, ma a quanto pare il tempo non illumina il buio. E quando parla in quel modo dimentica che anch'io sono rimasta orfana di padre, quel giorno. E me lo sono goduto dieci anni meno di lei, e ce l'ho anche sulla coscienza.

Sento le ruote schiacciare ghiaia e sbuffi di polvere mi circondano, mi sta seguendo a passo d'uomo.

«Sali, cretina. Mancano due chilometri e ti hanno defibrillata solo quattro ore fa.»

Continuo a marciare con le braccia strette al petto e non la guardo. «Beh? Tanto mi vuoi morta.»

«Te l'ho detto», fa lei sprezzante, «dovevi morire quel giorno, ormai non serve più».

Inizio a pensare che mia sorella sia diventata completamente pazza.

Mezz'ora dopo, al tramonto, grondo sudore ma non gliel'ho data vinta, il sentiero di casa è raggiunto e vedo sbucare Chicco che mi corre incontro con le braccine spalancate e il sorriso a cento dentini: «Elis! Elis! Sei tornata!».

Mi arriva addosso e me lo carico in braccio anche se non ho la forza.

Lui si stringe al mio collo: «Perché non sei venuta a prendermi?».

Sospiro. «Mi si è rotta la macchina, piccolo.»

Vinny smonta col passo pesante.

«Non saluti Vinny?», lo metto giù.

Chicco le lancia un'occhiata distratta e si attacca alla mia gamba. «No, lei è brutta e cattiva.»

Come dargli torto.

«Appunto», mi dice lei, «questo impiastro è uguale a te».

Al suo fratellastro di quattro anni dedica uno sguardo fugace e inespressivo, si fruga nella borsetta e allunga il braccio verso di me: «Tieni. Kay Moser vuole che sia tu a chiamarlo».

Chi diavolo è Kay Moser?

Sul biglietto da visita leggo tre numeri di telefono, uno fa capo a Lugano, in Svizzera, l'altro a Trento e l'ultimo a Vienna, Austria. Poi c'è la mail.

«Perché», balbetto preoccupata, «perché devo pensarci io?».

«Lui non vuole me», dice perentoria.

Che razza di risposta è?

Nota la mia perplessità e si riprende: «Perché l'hai investito te. Risolvila te. Ciao», prende e si infila in auto senza neanche salutare Chicco.

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