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16.📍 È mejo er vino de li castelli

2010

Marzo ci ha preso alla sprovvista con la sua aria frizzantina e la sua proverbiale imprevedibilità, nel suo susseguirsi di giornate accolte dal sole caldo e spazzate via dal vento freddo. Mese di transizione, del vorrei, ma non posso, diviso a metà tra la bramosia di allontanarsi dall'inverno e l'incapacità di sfiorare con le sue dita la primavera.
E' adolescente, marzo: arrogante, impenitente. Hanno 18 anni i suoi giorni e la nostra stessa sfrontatezza. Fatece largo che passamo noi.
E, contro ogni aspettativa, marzo ci coglie impreparati anche sul calendario.

I 100 giorni all'esame di maturità.

Mentre chiudo la zip della felpa e i primi raggi del sole accarezzano languidi la scrivania e la trapunta, mi fermo per un attimo a chiedermi cosa mi aspetto, cosa sento.
La paura e la voglia di diventare grandi, che manco Baglioni con quella di essere nudi; abbandonare le calde, ma soffocanti, braccia del liceo per gettarsi a capofitto nel mondo dell'università, del lavoro, degli adulti. Quel senso dolce-amaro che solo il crescere ti regala, che non vedo l'ora, ma aspetta: come si torna indietro? Dov'è il libretto di istruzioni?

Mi avvicino al calendario affisso al muro. A partire da oggi, cerchiato una, due, tre volte di rosso, un solo centinaio di giorni uno dietro l'altro a rincorrersi più o meno pigramente fino all'esame degli esami.
Sono tanti, in fondo.
Sono pochissimi.
E io matura non mi ci sento nemmeno un po'.
Sospiro pesantemente mentre chiudo dietro di me la porta di casa e infilo un passo dietro l'altro verso scuola, dove abbiamo concordato il punto d'incontro. Scrivo il buongiorno ad Andrea che sicuramente dorme ancora e sorrido istintivamente mentre mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Il rumore insistente di un clacson mi fa sobbalzare e una sorridente Vanessa agita la mano e mi invita a sedermi al suo fianco.
«Allora, cì? Come ti senti?» Vanessa picchietta con le unghie laccate di rosa sul volante, mentre aspetta che il traffico romano delle 8 di mattina faccia il suo corso.
«Boh Vane', non mi sento pronta.»
«Per i due litri di romanella?» Mi fa l'occhiolino, mentre indica con un cenno del capo il bottiglione di plastica che troneggia sul sedile di dietro.
«No, a maturare, non ci tengo a fare la pera che casca dal ramo. Per il vino sono sempre pronta» sorrido entusiasta.
«Andrea? Che fa oggi di bello?»
«Tutto bene, ancora dorme visto che ieri ha fatto tardi, mi ha mandato la buonanotte verso le tre.»

Dopo avermi deliberatamente ignorato per tre ore e mezzo. La familiare gelosia di resina stringe un doppio nodo scorsoio intorno alla bocca dello stomaco.

«Suppongo trascorrerà tutto il tempo a giocare alla play, pranzerà e si vedrà con gli altri.»
Vanessa mi lancia un'occhiata eloquente prima di tornare a concentrarsi sulla strada. «E a scuola?»
«Ci va nel tempo libero» commento amaramente, facendo spallucce. «Ho quasi perso le speranze ormai, ma ancora non demordo.»
Aspettiamo in silenzio che il semaforo diventi verde, dandoci il permesso di andare avanti, per quanto l'ingorgo permetta.
«E per il resto?» Vanessa mi da qualche gomitata gesticolando in maniera allusiva con l'altra mano. «Come va col resto?»
«Siamo ancora alle basi» taglio corto con tono acido.

Rispetto al resto delle mie amiche e delle ragazze della mia classe, sono in qualche modo indietro dal punto di vista intimo, diciamo. Ecco, mi imbarazza anche parlarne.
Affronto l'argomento solo con Noemi, quando mi parla spontaneamente delle sue fughe d'amore col bagnino di San Felice Circeo tutto brufoli e spazio tra gli incisivi che manco Georgia Jagger (Get the London look!) e quando mi spingo a fare qualche timida domanda mangiata dalla curiosità legata al mondo VM18.

Andrea, dopo un'infelice uscita iniziale in cui mi ha chiesto senza mezzi termini se fossi pronta a consumare - salvo poi scusarsi poco dopo, "è che non ti resisto accanto" - , ha accettato tutto sommato di buon grado di concedermi tutto il tempo di cui ho bisogno. Lo vedo fremere ogni momento di più e non nego che fremo anch'io, incapace di nascondere i brividi che le sue mani su di me riescono a provocarmi e le scie di fuoco che esitano a seguito di ogni suo tocco, freddo e caldo a unirsi in questo territorio sconosciuto.
Sto comunque aspettando il momento, quello tutto mio in cui sarò pienamente consapevole, così da concedermi con la sicurezza che non tornerei mai indietro sui miei passi, neanche dovesse rivelarsi la decisione più sbagliata degli ultimi diciott'anni.

Inutile aggiungere che mi chiedo se anche questo lo allontanerà da me.
Ha bisogno di altro?
Mi stringo in un abbraccio, scossa da fremiti interni.
Mi impongo di rifiutare l'idea e di pensare ad altro, non è così.

«Torna tra noi umani, principessa. Siamo arrivati.»

Vanessa si catapulta fuori dalla macchina iniziando a suonare uno di quei molestissimi fischietti che si trovano in giro a carnevale e correndo incontro ai miei compagni. Raccolgo le mie cose e scendo anch'io dall'auto, facendomi trascinare dal loro contagioso entusiasmo: ovunque palloncini, striscioni, gente che canta e urla al cielo, clacson che suonano e risate, come fosse l'ultimo giorno della loro vita. Della nostra vita.

Dall'ingresso la preside ci scruta imperturbabile attraverso le lenti tartarugate scuotendo la testa, ormai da anni abituata a questo spettacolo a suo dire irrispettoso, mentre i ragazzi che non sono di terza ci guardano dalle finestre delle aule con le facce incollate ai vetri agitando braccia e mani. Schermandomi gli occhi con la mano tesa, sollevo il viso a scrutare l'ultima classe a partire da destra al secondo piano e saluto col pensiero la piccola me, quartina piena di sogni e aspettative, che nel 2006 fissava inebetita i "grandi".

Mi scappa un sorriso.

Gloria, Vanessa e le altre mi trascinano mettendomi degli occhiali da sole rosa glitter sul naso e costringendomi a mettermi in posa, mentre un nostro compagno lascia la sua fotocamera digitale a una ragazza di IIIB. La bionda ci immortala sorridente mentre urliamo tutti "CENTO!" e ci lasciamo imprigionare felici in una pellicola che dalla maggior parte di noi verrà abbandonata nel fondo di un cassetto a prendere polvere.

Ma adesso la felicità è autentica, vibrante, viva.

Adesso la felicità siamo noi.

«Bea ti muovi? Siamo in ritardo!»
Mi fiondo in macchina di Vanessa insieme a Gloria e Claudia e ancora strombazzando e ridendo ci incolonniamo insieme alle altre macchine verso la direzione finale, mentre rubiamo l'ennesima immagine con un video con la macchinetta fotografica.

Mi accascio sul sedile guardando il paesaggio urbano di Monti scorrere dal finestrino, consapevole che questi sono i migliori anni della nostra vita, e mi lascio già afferrare dalle vellutate dita della nostalgia.

Una lacrima di gioia si affaccia all'angolo dell'occhio destro.

Forever young, I wanna be Forever young.

Do you really want to live forever
Forever, and ever.

Con in mano la spazzola per capelli tonda di Vanessa a mo' di microfono - cosa ci faccia Vanessa con una spazzola tonda nel bagagliaio dell'auto Dio solo sa - mi lascio andare alla mia migliore interpretazione di Jay Z, roba che non applaudite tutti insieme, grazie, non dovete, la mia voce è un dono per voi. Col cuoreeeeee!

Ci facciamo scompigliare i capelli dalla frizzante corrente che entra dai finestrini abbassati della Lancia Ypsilon durante questo karaoke improvvisato mentre maciniamo chilometri sull'Appia, regina viarum, e ci sentiamo regine anche noi. Governiamo sui nostri attimi, sudditi tendenti alla ribellione, a forza di braccia agitate nel vento e corde vocali consumate nello sforzo di intonare a squarciagola le Spice Girls, Britney Spears e ogni cosa ci salti in mente. Possiamo essere come vogliamo, chi vogliamo, quando vogliamo.
Possiamo essere giovani per sempre.

Non c'è limite ai sogni.

È quasi mezzogiorno quando, lasciateci alle spalle il lago di Albano e prima di riuscire anche solo ad intravedere il lago di Nemi, arriviamo ad Ariccia. Sin dal primo momento in cui metto piede nel borgo mi fermo a respirare l'aria pulita, ad ammirare il panorama, con le sue sconfinate distese boscose, le sue viuzze  - spesso in salita, povere gambe - , l'acciottolato, i richiami medievali.
Muovendomi insieme ai miei compagni che si dirigono verso Piazza di Corte per poter dare fondo alla romanella in tranquillità come antipasto della giornata, sono al contempo vicina a loro e distante, godendo del sole che questa giornata ha deciso di regalarci oggi, tutto per noi e per nessun altro; mi guardo intorno come una bambina, che con occhi nuovi si stupisce del poco e si emoziona del nulla.
È tutto bianco intorno a me.
È tutta luce intorno a me.

Non c'è proprio posto per altri pensieri quando il tiepido sole di marzo decide di solleticarti la pelle.

*

La Strada Nuova con le tipiche fraschette si dispiega di fronte ai nostri occhi come fosse il paese dei balocchi, mentre il profumo della porchetta, le voci degli osti, l'allegria che permea ogni tratto dei Castelli regala a noi burattini di legno una scarica di adrenalina. Siamo affamati, di cibo e di vita.

All'inizio eravamo andati alla ricerca di una fraschetta di una volta, come quelle di cui mi parlava sempre nonno, quando l'oste non serviva pietanze, ma solo vino. Punti di passaggio e ristoro dei contadini, ornate solo dalle botti di legno profumato e da poco altro di strettamente essenziale, le fraschette non avevano altre pretese se non il buon bere, la compagnia, le risate; i fagottari portavano il cibo da sé, consumandolo sui tavoli dismessi e sulle panche di legno.
Si viveva di poco e si viveva sereni.

Più razionalmente, alla fine, ci siamo piegati alla scelta di una fraschetta tipica dei nostri giorni e così ci siamo ritrovati seduti ai tavoli spartani dell'Osteria del Borgo, davanti a noi una sfilata di salumi, formaggi, trippa, fagioli, patate al forno e pasta alla carbonara, cacio e pepe e amatriciana, disposte al centro del tavolo per essere condivise con ampie forchettate.

Abbiamo ricordato il prof. di arte dei primi anni con le sue lenti spesse come fondi di bottiglia e la sua cotta per la prof. di inglese; le prime versioni, di quella volta che Fabio traducendo scrisse delle gesta degli ippopotami che banchettavano con le fanciulle dalle dita rosate, scatenando l'ilarità generale; del terrore puro che ci serpeggiava lungo la spina dorsale quando il prof. di matematica sorteggiava il nome del malcapitato del giorno; dei pizzini durante i compiti, delle soste alle macchinette, degli scherzi tra i banchi - come dimenticare la BigBabol tra i capelli di Francesca, la ragazza più bella e antipatica di tutto il primo municipio? Se mi concentro posso ancora sentire in lontananza le sua urla stridule mentre osservava con espressione di genuino terrore il garbuglio biondo cenere e rosa shocking, circondata dalle nostre risate sotto i baffi.

Siamo gente vera, più di cuore e di pancia che di cervello, qui a Roma e dintorni e inevitabilmente gli altri commensali si sono fatti trascinare senza troppi complimenti dalla nostra allegria. Tra un brindisi e l'altro hanno applaudito con noi, hanno cantato con noi, noi giovanotti de' sta Roma bella, fatti cor pennello. E che ce frega, che ce 'mporta, se l'oste ar vino c'ha messo l'acqua?...

Ci siamo fatti promesse più grandi dei nostri diciott'anni.
Non perdiamoci di vista.
Lo diciamo già con la nostalgia negli occhi, ché sappiamo che ci perderemo, invece, come foglie trascinate dal vento.

Rimpinzati di cibo, risate e vino frizzantino, è ormai buio quando ci fermiamo fuori dal locale a bere un bicchierino di digestivo, la felicità nell'aria serotina velata da quell'impalpabile strato di consapevolezza che ti coglie quando tutte le cose belle arrivano, inevitabilmente, al termine.
Con un movimento improvviso Roberto, uno dei ragazzi più alti della classe e per questo punta della nostra arrabattata squadra di basket, mi solleva sulle spalle tra le mie urla sorprese per permettermi di scattare una foto a quella compagnia brilla e apparentemente mal assortita.
Ridacchio nel vento freddo, scatto una foto mossa e perdo l'equilibrio, mentre Roberto si diverte a camminare tenendomi ancora salda in questa posizione in cui posso sfiorare le stelle.

E improvvisamente, dopo essere scesa tra le sue braccia con la testa che si trova ancora in uno di quei giri di giostra, mi ghiaccio, riprendendo di colpo ogni briciola di lucidità.

Mollemente appoggiato al muretto di fronte alla fraschetta, tutto riccioli scuri, sigaretta, giubbotto di pelle nera e occhi come tizzoni ardenti, c'è lui, maledettamente bello come Lucifero nel mezzo dell'Inferno.

Sono morta e sono rinata nel nono cerchio dantesco, lui al centro di Cocito e io immersa nel ghiaccio della Caina.

Andrea.

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