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7: Riven

Bentornati sulle pagine di Tu per me, io per te!
Conosciamo meglio il ragazzo che tiene la protagonista in scacco matto, lo stronzo con un cuore.
Mettete una stellina e commentate, se vi è piaciuto o no questo capitolo. Le critiche costruttive mi aiuteranno a migliorare❤️

Buona lettura!

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Sono ancora scosso dalle risate. Chi cazzo poteva prevedere quanto sarebbe stata folle questa serata?

Ero convinto che non ci sarebbero state sorprese. Insomma... niente di eccezionale. Un ragazzo e una ragazza che vanno a una festa, si tengono compagnia, parlano con degli sconosciuti.

Anche per quello serviva una presenza al mio fianco. Dovevo restare concentrato.

Avevo progettato di farmi conoscere da quanta più gente possibile. O meglio, farmi guardare mentre mi divertivo senza dare attenzioni a nessuno.

Secondo mio fratello Raven, se devi entrare in una cerchia di persone che non conosci, il trucco più efficace è far si che loro ti vedano e si incuriosiscano. Se sei tu a cercarli o ti fai vedere ansioso di fare amicizia, il gruppo ha il potere.

Se il gruppo è curioso di parlarti perché gli mostri di non aver bisogno di lui, hai il gruppo nelle tue mani.

Di questa roba se ne intende. Per esperienza diretta. Raven è stato un dio tra i compagni del liceo. Tutti lo cercavano, imploravano la sua presenza o attenzioni.

"Essere belli è un vantaggio, ma non la garanzia di piacere." mi ha istruito durante l'estate, quando ormai era sicuro che tutti e due saremmo andati in un college "Anzi, se piaci alle ragazze, i ragazzi o ti odiano o vogliono sfruttarti per attirarle. Fai credere di essere fidanzato, così non ti considereranno un rivale per le femmine a disposizione."

È quasi incredibile come avesse ragione. Grazie a Lia sono stato molto credibile. Molto di più che dicendo di avere una fidanzata in un altro college.

"Non parlare con qualcuno per primo senza un buon motivo. I corsi, per esempio. Agganciati a una persona che segue il tuo stesso percorso di studio e mettiti a disposizione di qualcosa di utile per i voti, la condotta o fingi di essere coinvolto in un suo interesse. Gli parli solo perché avete una cosa in comune, non stai cercando di fartela amica, non deve pensarlo. È quella persona che ti farà da ariete di sfondamento per inserirti nella cerchia della tua facoltà. Se qualcuno ti ignora, ti scansa, ti isola, resta tranquillo. Fingi sempre che non te ne importa."

"E con le teste di cazzo? Come mi regolo?"

"Tranquillo. Peggio della tua non puoi trovarne!"

In questo si sbagliava. Su tutto il resto no, ma in questo, si.

Come si chiamava quell'armadio? James. Perché comportarsi in modo tanto idiota? Non so nemmeno perché avesse afferrato Lia.

Hanno lasciato insieme la festa? Non credo ma non ho avuto nemmeno il tempo di chiederle cosa è successo esattamente. Ho dovuto cercarla lungo quel viale solo perché mi sono sentito in torto a lasciare che una ragazza che io ho costretto a uscire con me, girasse col buio.

Maledetti sensi di colpa. La vita sarebbe più semplice se non ne provassimo mai. So di potermi comportare un po' da bastardo, ma in fondo non sono in insensibile. Quella ragazza non mi ha fatto niente di male... è solo capitata sulla mia strada.

Che tipa bizzarra. Prima si presenta come una secchiona gentile e premurosa. Una noia.

Poi se la prende a morte perché secondo lei insulto la sua scelta di carriera. Lì l'ho presa per stramba.

Alla caffetteria, la sua personalità ha assunto sfumature acide e dispettose.

Ero già convinto che una così è meglio perderla che trovarla. Poi ho sfogliato quel diario. La lettura più interessante mai fatta.

E ho deciso che dovevo conoscerla meglio. Che faceva al caso mio.

Ora che sono vicino alla guardiola illuminata del muro di cinta, posso valutare con sicurezza quanto in effetti non sembra tanto azzardato vagabondare da soli di notte, qui dentro.

Il Clayton è un'isola ben protetta dal resto del mondo. Questi viali sono discretamente illuminati, e praticamente deserti. I salutisti sportivi fanno l'eccezione di bere alcolici e fare tardi in onore dei successi dei compagni, ma non si scatenano più di tanto.

Forse, se fossi salito al piano superiore, avrei una opinione diversa, ma non l'ho fatto, e al piano inferiore di quella villa non c'era nulla di sconvolgente. Perfino i drink non erano ufficialmente alcolici, e chi voleva ubriacarsi si era organizzato portandosi dietro la propria scorta da dividere.

Aggravante per James: non era ubriaco.

Mostro il tesserino studentesco alla guardia mezza addormentata e lascio il terreno del college. Per fortuna casa mia è vicina.

Non sono stanco, ma sento il bisogno di riflettere. Di elaborare la serata.

Tagliando nella via laterale, è meno di un isolato. Deserto, smorto, apatico. Questa città vive grazie al college. La notte ha poco e niente da offrire. Un paio di pub, il cinema un po' decadente. I giovani del posto devono radunarsi nei boschi e danzare attorno ai falò.

La tranquilla vita di provincia in una città rurale spersa tra le campagne e i boschi del Connecticut.

James. Perché trattenere qualcuno che vuole andarsene? Non gli interessi, bello. La annoi, è incazzata, gli piace un altro, mollala lì, la notte è giovane, torna alla festa e cercatene un'altra.

Cos'è, uno di quei colpi di fulmine da film per cui devi avere assolutamente quella ragazza o morirai? A quella festa ce ne erano decine libere, carine, ansiose di piacere e più che felici di finire la serata scambiando numeri di telefono per rivedersi il giorno dopo.

Perché seguirne una che non vuole darti retta? Lia Di Blasi, poi.

Capirei quella Reena. Sexy, sicura. Ammiratissima e a suo agio nell'essere guardata. Ecco, con lei varrebbe la pena essere un po' insistenti. Senza imporsi come ha fatto James, ma magari, non arrendersi a un no iniziale. Bellezza a parte, è evidente che si tratta di una regina del campus. Esci con lei e tutti ti considereranno un re.

Ma Lia?

Lia Di Blasi è un mistero.

È bella ma non si comporta come se lo fosse.

Ha talento ma non lo mette in mostra.

Vuole essere scopata ma non si fa toccare.

Magari è quello che le serve per sciogliersi.

Una sbattuta coi fiocchi.

Mi offrirei volontario se non temessi che me lo staccherebbe a morsi.

Si direbbe che il mio fascino faccia cilecca su di lei. Ammette di trovarmi bello, ma al tempo stesso prova repulsione alla mia vicinanza.

E lo dimostra con i fatti.

Toccarla o sfiorarla in modo innocente finora mi è costato pizzicotti sulle mani, schiaffi sulle gambe, un calcio al polpaccio, un piede pestato e se fossi morto ogni volta che mi ha guardato male, avrei una tomba ogni cinque metri da qui a Nashville.

Deve essere per via di quella specie di malattia che la tormenta da anni e porta il nome di Benjamin Blake.

Una brutta infezione resistente agli antibiotici.

Ho paura che Lia sia una di quelle persone che una volta presa una cotta, non ne guariscono più. Non gli interessa superarla.

Restano ossessionate al punto da non desiderare nessun altro.

Il che mi va benissimo. Se non fosse già innamorata persa, potrei finire col piacerle.

E allora dovrei liberarmene.

Mi spiacerebbe. Quando la stuzzico, quando riesco a farla infuriare dicendole qualche cretinata, esce allo scoperto la ragazza che vedo nelle pagine del suo diario.

Una tipa strana, divertente, saccente, dalle reazioni esagerate, diversa da chiunque conosca. Con la parola conseguenza scritta quasi in ogni pagina, sempre ossessionata da quello che le sue azioni provocheranno nel futuro.

Il mio opposto, visto che raramente rifletto sugli effetti a lungo termine delle mie azioni.

Una ragazza incapace di provare sentimenti verso di me perché tutto il suo cuore è già occupato da un altro.

Non desidero avere attorno una ragazza in adorazione, che crede di significare per me qualcosa in più di qualunque altra femmina e forse si mette in testa di riuscire a conquistarmi.

Sono perfettamente onesto nell'affermare che le relazioni sentimentali non mi interessano.

Preferisco che i miei legami con gli altri siano superficiali, non vincolanti.

Non sono bravo a programmare il domani, ed è più semplice non farlo quando si è soli.

Non devo tenere conto dei desideri, degli impegni, dei sentimenti di qualcun'altro.

Una corsa ad ostacoli.

Invece così, il giorno che Lia mi seccherà, le restituirò quella meraviglia di diario e se la filerà lontano da me senza mai più cercarmi.

Starò molto attento a fare in modo che continui a vedermi come uno stronzo insensibile, perfido. Uno di cui avere ribrezzo. Così quel momento sarà molto lontano e potrò continuare a usarla per muovermi nel campus, provare nuove esperienze, divertirmi. Magari costruire qualcosa.

Finché quel momento non sarà arrivato, voglio sfruttare l'opportunità di avere tra le mani una specie di recalcitrante schiava.

Utilissima socialmente, ma soprattutto in grado di stimolare i miei istinti più sadici.

È divertente osservare le sue reazioni alle mie provocazioni.

Come stuzzicare un gattino sventolandogli un rametto sotto il muso e guardarlo impazzire nel tentativo di afferrarlo mentre glielo sposti qui e là.

È lo stesso piacere di quando fai un dispetto, da bambino.

Il suo sguardo preoccupato quando crede o capisce che sto per farle fare o fare io stesso qualcosa che la mette a disagio.

È una perversa goduria costringerla a fare qualcosa controvoglia.

Di solito tutti mi dicono che è un piacere eseguire i miei ordini. So di essere attraente, e so sfruttare questa cosa. Dove il mio aspetto non riesce, vinco comunque grazie all'intelligenza, alla testardaggine o semplicemente sfinendo che non vuole inizialmente cedermi. Manipolatore. Mi hanno chiamato anche così.

Ma con lei non intendo fare nulla per farle cambiare la sua attuale opinione su di me: un bastardo, ricattatore, egoista.

Spero di non essermi danneggiato troppo la reputazione mettendomi tra lei e James. Non voglio che le vengano dubbi sul mio essere una schifosa carogna.

Per i miei scopi è un bene mantenere certe distanze... ma per la miseria, se è uno spreco!

Quella ragazza potrebbe essere una bomba del sesso.

O forse tutte le ragazze scrivono pagine e pagine su come vogliono essere prese dal ragazzo che gli piace?

Non credo proprio. Un simile bisogno di sfogo dei propri pensieri significherà ben qualcosa.

Quel diario è una specie di guida ai gusti sessuali di Lia.

C'è molto altro, ma le sue fantasie erotiche fanno la parte del leone a cicli regolari.

Quando scrive, è totalmente diversa da come appare di persona.

Come... se la sua personalità vivesse avvolta in un bozzolo e sbirciasse le persone dal sicuro del suo rifugio, per rivelarsi nella sicurezza di quelle pagine.

Chi ha scritto quel diario è piena di emozioni, appassionata, affamata di vivere. Sa godere di ogni cosa e si arrabbia, annoia, esalta, con estrema facilità.

È una entusiasta. Qualcosa che non sono più da così tanto tempo da non ricordare cosa si prova nell'esserlo.

Poi ci sono le pagine sul sesso che ancora non ha fatto.

Lì è disinibita, curiosa, entusiasta. Descrive in ogni particolare dove vuole essere toccata, come vestirsi o spogliarsi, le sensazioni che immagina di sentire...

Ho dovuto masturbarmi come un dodicenne mentre leggevo.

E ancora non l'avevo vista con quel vestito addosso.

Infelice, la battuta sull'essere da stupro. Pensavo a cosa dire che potesse irritarla, persino schifarla. Sapevo che come me, non era mai andata a una festa accompagnata a qualcuno. Doveva sentirlo solo come un obbligo. Nessuna emozione, nessun palpito, non avrebbe dovuto volerlo ricordare.

Poi l'ho vista, mi si è annebbiato il cervello e ho esagerato con la mancanza di tatto.

Quelle gambe non le avevo previste.

Gliele hanno fissate in massa, al club.

E io che avevo pensato quanto fosse perfetto avere al mio fianco una ragazza che non dà nell'occhio, per poterci mescolare agli altri senza troppi traumi.

Senza scoraggiare le ragazze che ci volevano provare, presentandomi con una troppo carina.

Invece erano i maschi a volerci provare. Con lei.

Nemmeno se ne è accorta. Dei toni di voce che si sono smorzati quando siamo entrati nella casa. Le teste che si voltavano, seguendoci.

Se la mangiavano con gli occhi.

Era nervosa al punto da tremare.

Mi ha fatto provare l'impulso di toccarla. Solo per tranquillizzarla. Per ricordarle che non era sola.

È stata la volta che mi ha pestato un piede.

Ma non le ho visto trionfo negli occhi.

Era angoscia.

Mi sono quasi pentito di averla portata lì.

Quello non era più un dispetto, ma un atto di tortura.

Il punto è che se si è ridotta così, un tale fascio di nervi e insicurezze, è proprio perché ha sempre evitato quelle situazioni dove l'avrebbero notata.

Ho sbagliato, lo ammetto, a lasciarla sola.

La Gillespie mi ha agguantato, ricordato la promessa di apparire nei video promozionali del college e prima di riuscire a dirle una parola di spiegazione mi sono fatto trascinare nel gruppo che ballava.

Seguendo il suggerimento di Raven, non ho perso tempo nell'agganciare le persone che studiano Comunicazione come me. Anche se chiedere all'attuale studentessa più premiata per le sue idee pubblicitarie quale professore sia il più stronzo, è stato un puro caso.

Era nel padiglione con le aule di Comunicazione ancora deserte. Ci sono andato prestissimo proprio per orientarmi senza apparire in difficoltà e per scovare qualche solitario mattiniero con cui parlare. Leggere quel diario non doveva impedirmi di avviare il mio piano di recuperare tutte le esperienze della vita che mi sono perso finora.

Lei era davanti al tabellone di sughero coperto di foglietti trattenuti da puntine, proprio oltre l'ingresso. Un guazzabuglio di richieste o offerte di ripetizioni, vendita di libri di testo, ricerca di alloggi, attrezzature sportive, ricerca di membri per piccoli club o di aiuti per organizzare eventi.

Ho finto di consultarli e l'ho studiata: piccola, un po' sciatta, palesemente concentrata.

"Scusa, sono nuovo e oggi devo seguire la mia prima lezione, con un certo professore Thornton. Sai se è molto stronzo?"

Mi ha guardato malamente da dietro gli occhiali spessi, come se l'avessi strappata al più importante ragionamento della sua vita. Ho creduto che fosse lei, il professor Thornton, e di aver appena decretato la mia fine.

Poi la bocca ha sorriso.

"È stato cagato dal più stronzo degli uomini." ha risposto.

Assolutamente inaspettato. Quei quaranta chili scarsi simili a un topo da biblioteca in piedi, parla come il più scafato degli scaricatori portuali. Adorabile.

"Incoraggiante." sono riuscito a ribattere nascondendo la mia sorpresa. Essere disinvolto, essere disinvolto "Devo parlargli per accordarci sul progetto individuale da sviluppare nel biennio."

"Porta ginocchiere e vaselina. Ti serviranno." ha riso "Thornton è spietato con voi novellini. Metà del primo anno molla il suo corso. Tutta gente convinta che Comunicazione sia fare il modello e leggere testi davanti a una telecamera."

"Ah, non sei al primo anno?" è così piccola che a malapena l'avrei creduta liceale.

"Terzo nel corso quadriennale. Gillespie." mi ha porto la mano. È stato facile.

Sono stato deluso nel sentire quel pizzico di eccitazione che stavo provando, svanire. Nessuna difficoltà. Nessuno stimolo.

"Chambers. La vaselina servirà a Thornton se prova a sbarazzarsi di me." assolutamente tranquillo. Stava succedendo. Prendevo contatto con altre persone.

Credevo sarebbe stato eccitante.

Ha riso "Ci sono modi per ingraziarselo? Pensavo di offrirmi per qualche attività extra, visto che entro in ritardo."

"Chambers, sono lesbica. Non ti faciliterò la vita per quel tuo bel faccino. Se vuoi ..." è diventata improvvisamente pensierosa "Già. Sei proprio bello. Scommetto che se fossi etero, ti starei sbavando dietro."

Non sapevo cosa dire. È difficile quando ti parlano in modo tanto diretto.
Si è portata una mano sul mento. Mi è girata intorno.

"Ti va di fare qualche fotografia e finire sul sito del campus?" si è buttata "Con un bel ragazzo come te, ma meno palestrato di quelli là fuori, scommetto che la home Page del sito avrà un numero di accessi assurdo."

"Non mi interessa fare il modello." ho fatto il prezioso. Non che mi interessi davvero ma è una di quelle cose che può effettivamente inserirti in un gruppo sociale.

"Thornton apprezzerebbe. È il responsabile del sito " ha rivelato, da astuta manipolatrice.

Abbiamo stretto rapidamente un accordo. Quando ho capito di aver legato senza saperlo con un futuro pezzo grosso della pubblicità, nonché beniamina dei vari professori della nostra facoltà, ho intuito di doverle dare corda senza fare resistenza, almeno per la storia delle fotografie.

Così l'ho seguita e abbiamo ballato facendoci fotografare da un'altra ragazza del suo club. E ad altri ragazzi bravi nel ballo, che si è portata appresso.

Una parte di me era convinta che Lia ci avrebbe seguiti per ballare.

Solo per non stare sola. Doveva cedere. Scendere in pista.

Avrei avuto modo di toccarle impunemente quel culo da favola, là in mezzo. Strusciarmici addosso.

Non sa ballare, lo so perché l'ho letto.

Le sarei andato alle spalle, messo le mani sui fianchi, per guidarle i movimenti e farle capire come muoversi.

Sarebbe valsa la pena beccarsi un ceffone.

Ho sottovalutato il suo disagio. O sopravvalutato il mio fascino.

Le sono stato lontano cinque minuti.

Cinque schifosi minuti!

E se l'erano già acchiappata, portata nel recinto e quasi servita come piatto forte della serata.

Riesce a mandare me a quel paese ma non riesce a dire no a uno sconosciuto che le rivolge la parola solo per vederle le gambe da vicino.

Se non altro mi era così pateticamente grata per averla raggiunta e salvata dall'interrogatorio di quei ragazzi, che non mi ha picchiato quando le ho messo un braccio attorno alle spalle.

Ma il momento migliore è stato conoscere Blake. Lì mi ha preso una specie di frenesia. Finalmente, il protagonista del diario, in carbe e ossa! Potevo dare un volto all'essere capace di sconvolgere gli ormoni della timida suorina californiana.

Ho solo pensato: quel biondino sarebbe lo stallone dei sogni di Lia?

Ti accontenti di poco, avrei voluto dirle.

Che ha di tanto eccezionale? Viso regolare, fisico palestrato, perenne sorriso educato a tirargli le labbra. Il tipico bravo ragazzo americano.

Mi è stato sulle palle al primo sguardo. Non so perché.

Forse per la sua ragazza, col nome strano.

Reena. Una meraviglia bionda e sexy fasciata da canottiera e microjeans.

Il tipo che dovrebbe stare sui calendari per camionisti.

È stato per impressionare lei che deve essersi scatenata la voglia di umiliarlo. Mi è sembrata una bella idea.

Schiacciare uno di quei cosiddetti campioni.

Un capitano ammirato da tutti.

Dopo averlo fatto, sarei diventato famoso nel campus.

Probabilmente lo diventerò comunque, ma vorrei aver provato la soddisfazione di schiacciarlo fino in fondo.

Si sa che belle ragazze scatenano da sempre gli impulsi di rivalità tra noi maschi.

E dare una lezione a quel coglione pieno di sé è stato un piacere.

La goduria nel vederlo accettare la sfida.

La faccia che ha fatto quando ho risposto al primo colpo. Non se lo aspettava.

L'espressione angosciata di Lia nel capire che il suo idolo si era infilato in un bel guaio.

Bastarda ingrata, tifava per lui, lo so.

Stava lì in piedi a pugni stretti, preoccupata per come Blake poteva sentirsi.

Solo dieci minuti prima con le sue domande la stava mettendo a disagio davanti a degli sconosciuti, ma a Blake perdona tutto!

Non ha ben chiaro che la sua fedeltà dovrebbe essere riservata a me.

A che mi serve una fidanzata, vera o falsa, se tifa per un altro? Avrebbe dovuto sgolarsi urlando il mio nome.

Mi è montata la rabbia. Stavo stracciando quella nullità e le due ragazze più carine presenti, erano in pena per lui invece di ammirare la mia abilità.

È stata quella rabbia a farmi iniziare la crisi. Non la fatica.

Ce l'avevo in pugno. Lui, la folla. Fottevo entrambi.

Bastava un ultimo tiro e l'avrei fatto supplicare di potersi tenere le mutande addosso.

Invece le due dee si sono fatte avanti a difenderlo.

Una di fianco all'altra. Reena, alta, formosa, palestrata.

E Lia. Slanciata. Delicata. Femminile. Tutta premurosa verso Ben.

Se non avessi avuto la certezza che entro pochi minuti, senza una bella presa dal mio inalatore, avrei collassato, avrei massacrato quel Blake. Con una gioia infinita. Un piacere perverso.

Invece, a denti stretti, ho dovuto accettare quella scappatoia che mi offrivano e approfittarne per nascondermi in uno dei bagni.

Mi ci sono chiuso dentro, contro ogni consiglio del mio medico.

Se fai fatica a respirare, non chiuderti mai in una stanza, Riven. Se perdi i sensi potrebbero passare ore prima che qualcuno ti scopra.

Vaffanculo la prudenza.

Non inizio la mia nuova vita mostrando a tutti la cicatrice sul lato destro del torace, né l'inalatore pieno di farmaco che mi aiuta a respirare.

Mi sono seduto sul pavimento freddo, schiena contro la parete.

Avevo il tremolio tipico di quando sono in carenza di ossigeno.

La musica arrivava attutita attraverso la porta chiusa ma rimbombava sulle pareti coperte di piastrelle azzurre.

Mi riflettevo nello specchio sopra il lavabo.

Boccheggiavo. Il mio sudore era gelato sulla pelle.

Ma l'ho superato senza l'inalatore. Inspira, espira. Inspira.

I puntini rossi non sono apparsi. Il tremito è calato d'intensità.

È tutto un circolo vizioso. Se per qualche motivo si altera il ritmo della respirazione, mi spavento perché parte quella sensazione di fatica che ho imparato a riconoscere. Il dolore intercostale. La cassa toracica che sembra sentire qualcosa che cerca di allargarla.

Lo spavento mi porta a respirare in modo scorretto, peggiorando la situazione.

Quando inizia il tremito o uso l'inalatore o trovo un posto dove stare da solo per controllare la respirazione senza ansia o pressioni.

È a riposo completo ma continua a mancargli il fiato, protestavano i miei genitori con i medici, perché continua a succedere?

Non è lo sforzo fisico, il problema. Cercavano di fargli capire. La capacità polmonare di Riven è rientrata nei parametri di normalità. Le crisi iniziano non per la fatica, ma per un input psicologico.

Volete farci credere che è il suo cervello a dire ai suoi polmoni di bloccarsi?

Lo abbiamo esaminato sotto sforzo e sotto stress. Ogni volta le crisi sono iniziate quando provava rabbia, ansia, frustrazione. Mai quando era solo affaticato. Lasciatelo uscire, fatelo tornare a una vita normale e le crisi pian piano spariranno. Tenetelo sotto chiave e lo stress dovuto all'isolamento gli provocherà attacchi fino a farlo ricoverare.

Sono qui da quasi un mese. È stata la prima volta che è successo.

A casa, succedeva ogni due o tre giorni, ormai.

L'eccitazione di trovarmi sul punto di conoscere la libertà stava già facendo effetto.

Per questo hanno ceduto. I miei genitori. La più dura ad accettarlo è stata mia madre, la regina del controllo.

Ha ceduto, ma non senza litigare, dettare condizioni e litigare ancora.

Non volevo nemmeno venire qui. Né Raven voleva andare al Bromfire.

È stato un compromesso.

Il Clayton era il solo college che soddisfaceva ogni richiesta dei miei.

Eccellente reputazione. Regime salutista onnipresente, nessun regolamento contro il vivere fuori dal campus, un ospedale di prim'ordine a due passi.

Oltre al dettaglio che il rettore è un amico di famiglia e ha accettato di mantenere assoluta discrezione se dovessi assentarmi per lunghi periodi.

Così è stato il Clayton.

E Lia Di Blasi.

Senza quel diario a cambiare la mia opinione su di lei, ne sarei stato alla larga.

Una infermiera! Entro e esco dagli ospedali da quando avevo dodici anni.

Ne ho conosciute troppe. E ce ne sono state di sgradevoli. Molto sgradevoli.

Detesto le infermiere. Il loro odore di disinfettante e borotalco.

La loro maniacale precisione. Il tono che pretende obbedienza.

Deve imparare a obbedire. Altro che dare ordini.

Mentre lottavo per riempirmi d'aria i polmoni, lei se ne andava con giusto un SMS per avvertirmi.

Va bene. Lo posso capire. Non poteva sapere che stavo male e di sicuro era incazzata perché per la seconda volta l'avevo lasciata sola, ma non ci si comporta così.

Dovrebbe avere paura di me. Sono quello che potrebbe rendere pubblici tutti i suoi segreti.

Invece ho avuto io paura per lei. Stavo già rimettendo in tasca il cellulare quando un pensiero mi è sfrecciato davanti: e se le succede qualcosa?

Appena le gambe mi hanno retto ho cercato di seguirla al dormitorio, giusto per controllare che nessuno la stesse infastidendo.

Se lo sarebbe quasi meritato, ma non sarebbe mai stata alla festa se non l'avessi costretta, quindi se le succedeva qualcosa prima che tornasse nella sua stanza, sarebbe stata colpa mia.

Prima ho dovuto scansare quelli del club di ping pong. Sembrano essersi presi una grave cotta per il mio servizio.

Poi una selva di individui mi ha circondato per presentarsi, darmi pacche e invitarmi a feste, ritrovi, raduni e qualunque cosa abbia risvolti sociali.

In pratica, ho raggiunto l'obiettivo che volevo. Mi hanno notato e mi vogliono.

Ma non ho potuto fermarmi e raccogliere le lodi che mi sono guadagnato perché quella rompicoglioni poteva trovarsi molestata su uno di quei perfetti sentieri bordati di fiori che infestano il college.

Infatti qualcuno la stava infastidendo. Una specie di gorilla.

Naturalmente, la colpa l'ha data a me.

Non a lei, che invece di aspettarmi o unirsi a un gruppo di ragazze, è corsa fuori nel buio con una festa piena di sbronzi in corso.

Rompicoglioni.

Le ragazze e i loro modi di ragionare. Non è mai colpa loro.

Nemmeno con un ricatto le costringi a starsene buone.

Poi sono quello strano perché non voglio relazioni stabili.

Che senso ha? Mio fratello ha una ragazza fissa e quando ne parla, sembra che non facciano altro se non litigare per qualunque sciocchezza.

Perché a quanto pare, lui usa sempre il tono sbagliato per dirle qualcosa.

Così litigano, lui è di cattivo umore, si incazza perché deve scusarsi per qualcosa che non ha fatto e dopo un mese, due al massimo, di pace, cuoricini e amore incondizionato, il ciclo si ripete.

Più o meno lo stesso capita a mio padre. Ogni tanto a mia madre girano per qualcosa, se la prende con lui e gli fa la punizione del silenzio finché non le chiede scusa pur essendo innocente.

Col cazzo che voglio una vita simile.

Lunga o corta che sarà, saprebbe di condanna.

Sono vissuto troppo a lungo in una gabbia per desiderare delle catene. Fisiche o emotive.

Mi sono perso troppe cose.

Questo è il momento di recuperare.

Non morirò.

Non adesso. Non domani. Non tra un mese.

Il divertimento, le feste, i legami senza impegno.

Ho perso il liceo ma posso rifarmi al college.

Posso vivere adesso tutte le esperienze che ho desiderato.

Ho tanto di lista nascosta in uno dei libri di testo. Cose che non voglio perdermi.

Raven mi ha aiutato a scriverne alcune. "Ci sono esperienze che non si capiscono finché non le vivi, vedrai che dopo averle fatte imparerai a pensare al futuro. E ti piacerà." insisteva, aggiungendo decine di cose balorde come: chiedere indicazioni, programmare i pasti, sentirsi soli.

Sentirsi soli. Ma per favore.

Ho già cancellato uscire di casa, andare al college, salire su un aereo, seguire delle lezioni nelle aule come tutti.

Quando rientro potrò tirare una riga su andare a una festa, ballare con una ragazza.

Però dovrei fare una seconda lista: esperienze inaspettate.

Ricattare una ragazza. Provare antipatia senza motivo verso un ragazzo. Godere nel vederlo spogliarsi. Affrontare montagna di muscoli che non sa delle mie lezioni di autodifesa e ha rischiato di finire steso faccia a terra, il coglione. Litigare con una ragazza come se fossimo bambini. Finire con la ragazza a cavalcioni sulla mia pancia.

La faccia di Lia quando si è accorta di starmi sopra!

Mi esce uno sbuffo divertito nel silenzio del vicolo. E ancora, mentre infilo le chiavi nella serratura. Inizio proprio a ridacchiare.

Oh, Lia Di Blasi! Meriteresti una pagina a parte di esperienze che mi farai fare! Ho idea che stando vicini, faremo entrambi esperienze inimmaginabili!

Sono così preso che non noto la luce già accesa.

"Bentornato, Riven." mi saluta Jeff quando varco l'ingresso del mio appartamento.

Il divertimento e le risate mi muoiono in gola.

Jeff. Il regalo dei miei e una delle condizioni non negoziabili per trasferirmi a Clayton da solo.

Come tutti gli altri ragazzi.

Perché per essere normale devo vivere anormalmente.

È seduto sul divano, intento a guardare la televisione. Sul tavolino basso di fronte a lui, c'è la maledetta cassetta con le sue attrezzature.

Alzo gli occhi al cielo.

Il mastino dei miei.

Di giorno rispetta la mia privacy. Resta al pianterreno, dove ha il suo appartamento.

Controlla chi entra ed esce, cosa mi consegnano... e me.

Il suo lavoro più importante è controllare me.

Quello che entra nel mio corpo, il numero di globuli rossi, delle pulsazioni... se questa macchina si guasta, insomma.

Per informarli. Rassicurarli. E assicurarsi che faccia il necessario per mantenermi sano

Si alza e spegne il televisore.

Nota come lo guardo.

Perché? Perché ora? Non poteva lasciarmi in pace, almeno questa volta? È stata la prima volta che sono uscito. La prima festa a cui ho partecipato. Non dovrei godermi l'avvenimento? Essere libero di ripensare a quanto è stato bello, brutto, a rivivere le parti che mi sono piaciute?

Potrei chiederglielo? Ribellarmi?

Non otterrei nulla. Solo problemi. Una grande soddisfazione per un mare di problemi.

"Avanti, vuoi farlo con le buone o con le cattive?" apre quella cassetta del cazzo.

"Non hai niente di meglio da fare? Una fidanzata?" gli chiedo.

Ha il rilevatore di alcol in mano. Una scatoletta con un tubicino. So cosa è quell'affare da meno di tre settimane e l'ho avuto in bocca già una decina di volte.

"I tuoi mi pagano profumatamente per controllare la tua salute, non per chiacchierare. Soffia qui dentro."

Ho il tubicino davanti alla faccia.

Sono ancora in una fottuta gabbia.

Lia crede di avere un problema perché posso darle ordini?

Io non posso stare fuori casa una sera senza aspettarmi un check-up al rientro.

Stringo i pugni "Ho detto che non berrò né prenderò niente che va contro gli ordini di voi dottori. Non basta la mia parola?" gli chiedo.

No, non basta, dicono i suoi occhi. Non basta perché sei un affamato messo per la prima volta davanti a un banchetto e sta a me controllare che non ti ingozzi e mandi a puttane anni di sacrifici.

"Ti decidi o chiamo i tuoi e gli dico che rifiuti l'alcol test?"

Così me li ritrovo alla porta domattina. Assieme a un biglietto solo andata per casa nostra. Di nuovo chiuso nella mia stanza, circondato da tutti quegli oggetti che ho imparato a usare per ammazzare la noia, con la sola compagnia di insegnanti privati e mia madre che mi sorveglia come fossi un lattante.

Sa che basta ricordarmelo per convincermi ad accettare di tutto.

Soffio.

La macchina ticchetta "Bravo ragazzo, completamente sobrio." mi approva, leggendo il risultato "Sarebbe più facile se lo facessi e basta. Se non hai niente da nascondere, puoi anche collaborare."

Prende una minitorcia dalla cassetta.

"Non ti preoccupare, col tempo allenterò i controlli. Adesso è più che altro per valutare le tue reazioni agli stimoli nuovi e alla pressione sociale."

Mi esamina gli occhi. Cerca segni di pupille dilatate. Alterazioni.

"Bene. Sei un po' pallido. Come respiri?"

"Sto bene. Ho un po' freddo." non gli dirò della sfiorata crisi respiratoria.

Non voglio salire sul tapis roulant nella mini-palestra, quella che mi hanno costruito a fianco della camera da letto.

La maschera d'ossigeno sul volto mentre cammino su quel nastro nero e gli elettrodi che fanno bippare il monitor a fianco. Con Jeff che segue i tracciati sullo schermo e decide del mio domani.

Alza un sopracciglio "Inalatore?"

Glielo mostro. È completamente carico.

Se riesco a non ricorrere all'inalatore, non può sapere che sono andato in affanno.

Si rilassa "Fatti una doccia calda e vai a dormire." prende appunti su un quaderno. Mi scopre a fissarlo "Hai accettato tu di sottoporti a qualunque controllo in qualunque momento." mi ricorda.

"Sicuro. Non mi avreste dato tregua, altrimenti." vado verso la cucina. Prendo una bottiglia d'acqua dal frigorifero e bevo un sorso.

"Che bello andare alla prima festa da quando ho fatto tredici anni e trovare un alcol test al rientro. A chi non capita, del resto?". sono sarcastico fin dove posso. Le parole sono state la mia sola arma per tanto tempo.

Per questo studio Comunicazione. Il potere delle parole è incredibile. Ti permette di guidare le persone nella direzione che vuoi tu

"Non sono ancora le due e sei solo. Non deve essere stata comunque una gran festa." richiude la sua cassetta e si prepara ad andarsene "Le regole le hai accettate: niente droghe, niente alcol, controlli regolari, vita regolare..."

"E se noto lividi strani sul mio corpo, fatica respiratoria, stanchezza, devo avvertirti subito." termino per lui "Conosco la lista."

Quando resto solo, getto a terra la bottiglia. Un gesto inutile, infantile. Da impotente.

Il tappo salta via e l'acqua allaga le piastrelle della cucina.

Jeff ha accettato anche di indossare una divisa da portiere per non insospettire nessuno che potrebbe farmi visita. Per non fare capire che c'è qualcosa di anormale.

Non toglie che sia una specie di carceriere.

Un medico militare abituato a tenere testa a soldati.

Ho un fottuto medico che vive sotto di me. Che mi esamina, toglie cibi con olio di palma dalla mia dispensa, mi torcerebbe un braccio dietro la schiena se rifiutassi di farmi prelevare la saliva per un test.

Basta questo per farmi arrabbiare al punto che sento un leggero affanno. Mi appoggio al bancone.

Inspiro. Espiro.

C'è di peggio al mondo che avere una famiglia preoccupata per te.

C'è di peggio che sopravvivere a un cancro quando tutti dicevano che saresti morto.

Ma non c'è di peggio che non avere il controllo di sé stessi. Della propria vita quotidiana.

Avere un corpo che potrebbe tradirti quando meno te lo aspetti.

Guardo il panorama illuminato dalla luna che si mostra nella parete a vetrata dell'appartamento.

Immersi nella luce argentata della luna, i campi sportivi del Clayton sono di una bellezza spettrale. In quelle ombre le persone continuano a muoversi, dormono, sognano. Progettano.

Quelle vetrate sono il fiore all'occhiello di mia madre. È un architetto specializzata in queste pareti-finestre. Le realizza con ogni opzione di controllo.

Puoi opacizzarle, renderle trasparenti, colorarle come un muro di mattoni. Tutto con un telecomando.

Nessuno ti vede e tu vedi tutti.

Così da ognuna delle nostre case potevo guardare la vita degli altri cambiare, espandersi.

I ragazzini della mia età salivano tutti i giorni sull'autobus.

Mio fratello era tra loro.

Scherzavano, ridevano. Si mostravano cose.

Crescevano. I vestiti diventavano più ricercati. I gruppi iniziavano a mescolarsi, non più generi separati, ma maschi e femmine che salivano mano nella mano e si stringevano sui sedili, baciandosi.

Ogni giorno vestivano diversi. Ogni giorno portavano tra le mani oggetti diversi.

Invece io restavo tra quelle quattro mura. Dietro la parete di vetro. Aspettavo di morire e restavo sempre più indietro rispetto a loro.

Invisibile. Dimenticato. Cristallizzato.

Invidioso. Impotente.

Non volevo essere notato nemmeno io. Perché tutto quello che avrebbero visto di me era un ragazzino malato destinato a morire. Avevo persino convinto i miei a raccontare che studiavo all'estero. Volevo isolarmi. Non vedere nessuno. Morire senza vedere il compatimento negli altri.

Adesso è diverso. Sono fuori da quella stanza. Fuori dagli ospedali.

Se voglio, posso uscire, scendere e raggiungere quei campi che di giorno sono pieni di ragazzi come me.

Ragazzi che non mi riconoscono come diverso da loro.

Nessuno qui ignorerà la mia esistenza.

Sarò quello che tutti vogliono essere.

Vivrò tutto quello che c'è da vivere.

Se non l'ho già vissuto. È la mia paura più grande. Che non mi aspetti niente di realmente nuovo. Solo una serie di giorni dove cerco qualcosa in grado di distrarmi, di ottenere la mia attenzione, per non morire di noia.

Perché quando ti dicono che stai per morire vuoi provare quello che la morte dovrebbe impedirti di raggiungere. Il domani smette di essere importante.

C'è solo il presente, quel momento in cui sei sicuro di esserci.

Per questo non so valutare bene le conseguenze di parole, gesti, decisioni. Qualunque cosa facessi, dicessi o volessi, forse non avrei vissuto abbastanza per doverne pagare gli esiti. Non dovevo frenarmi.

È iniziata con una sbronza. La prima volta che sono tornato a casa dall'ospedale, ho aspettato che tutti dormissero e sono andato all'armadio dei liquori pregiati dei miei genitori.

Non so quanto ne mandai giù e nemmeno mi piaceva. Ma volevo sapere cosa si provava a bere. Ubriacarsi. Dare di stomaco. Dimenticare.

Non mi punirono. Come puoi punire tuo figlio malato che sa di avere pochi mesi davanti?

E poi fumai. Trovai il modo di fare sesso. Ho vagato per la città nel cuore della notte spingendo i miei a rinchiudermi per impedirmelo. Ho fatto molte cose che non si dovrebbero fare a vent'anni. Figuriamoci a tredici.

Mi sentivo più furbo della morte. Sentivo di aver fregato Raven. Il mio gemello, identico a me fino all'ultima cellula, eppure sano.

Lui sarebbe vissuto, ma io avrei fatto tutte le esperienze della vita prima di lui.

Solo che tra una crisi e l'altra, una operazione e l'altra, la leucemia si è stancata prima che si stancasse il mio corpo. La remissione è stata inaspettata.

Un miracolo. Così lo ha definito l'oncologo. Non gli piace usare questo termine. Preferisce 'conquista della medicina'. Ma nel mio caso, si è trattato di un mezzo miracolo. L'altra metà è stata l'ostinata lotta dei miei genitori, che non si sono mai arresi. Nemmeno quando li pregavo di smettere.

Così, dopo cinque anni passati aspettando di morire, ho dovuto accettare che, forse, mi tocca vivere. Se la leucemia non torna a farsi viva.

Ed eccomi qui: un ragazzo tra altri ragazzi. Impegnato a costruirmi un futuro che per adesso non ha nessuna forma.

Circondato da persone che sanno esattamente cosa vogliono dalla vita, cosa sono disposte a fare per ottenerla.

Mentre io mi chiedo se è valsa la pena soffrire tanto solo per essere qui.

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