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Capitolo 3

Lui
Lei era lì, in piedi, ricoperta di sangue, pallida, ma la trovai comunque bellissima. Che diavolo mi stava succedendo?!
I suoi occhi, dai miei amici, si spostarono su di me. Nemmeno il tempo di rendermi conto di ciò che stava accadendo, che sentii trafiggermi il polso. Era a terra, ai miei piedi, con il mio polso fra le mani e con i suoi canini conficcati in esso. Stava bevendo il mio sangue, sotto lo sguardo scioccato di tutti, compreso il mio. Da terra, si spostò sulle mie gambe e iniziò ad attaccare la mia giugulare. Mi sentivo come una sacca di sangue che stava per terminare, ma, stranamente, la sensazione di lei che si dissetava grazie a me, al mio sangue, non era poi così male. Michael e John la staccarono da me e mi ci volle un po' per riprendermi.
"Ben, tutto okay?"
Mi chiese Emily. Cercai di rialzarmi, i segni si stavano rimarginando.
"Lasciatemi! Cosa mi avete fatto?"
Urlava, si dimenava, ma Michael e John erano più forti di lei, anche se davano l'impressione che, di lì a poco, avrebbero ceduto.
"Calmati, così potremo spiegarti."
La incitarono i due ragazzi.
"Va bene..."
Si arrese. Michael e John la lasciarono.
"Solo un'ultima cosa."
Disse scomparendo dalla nostra visuale, per poi riapparire davanti a me con, in mano, il pugnale con cui l'avevo trafitta. Mi scaraventò contro il muro per bloccarmi, non riuscii a capire nulla, ero ancora intorpidito.
"Questo è per avermi morsa..."
Disse. Una fitta mi colpì dritto nella pancia.
"... Questo per avermi ficcato un pugnale nel cuore..."
Disse rigirando la lama, per poi estrarla e conficcarla nello stomaco.
"... E, infine, questo per avermi uccisa."
Disse estraendo la lama per conficcarla nella parte destra del mio petto. Tra agonia e dolore, riuscii a notare che fu confusa dal suo ultimo gesto, come se avesse sbagliato mira. Si allontanò di poco da me, lasciandomi accasciare a terra.
"Ora calmati e siediti."
Disse Michael venendo in mio soccorso.
Inizialmente le spiegammo quello che le era successo, cos'era diventata, come si sarebbe dovuta comportare e gli altri le ricordarono per mano di chi.
"Ora tocca alla parte che riguarda entrambi."
Enunciò Michael attirando la mia attenzione.
"Ben, ora come ti senti? Rispetto a questi giorni, intendo."
Mi chiese.
"Mille volte meglio, anzi, forse non mi sono mai sentito così bene."
Dissi sincero.
"Non ci credo! Questo è uno dei giorni più belli della mia intera esistenza!"
Esclamò entusiasta Michael, alternando il suo sguardo da me a lei. Tutti lo guardammo piuttosto confusi.
"Siamo davanti ad uno dei casi di asservimento più rari."
Ci informò.
"Asservimento? Cosa sarebbe?"
Chiese lei.
"L'asservimento è quando provi un grande senso di gratitudine nei confronti della persona che ti ha trasformato, a tal punto da fare tutto ciò che ti chiede, da esaudire ogni suo desiderio o bisogno, anche quelle cose che non vorresti fare, e a tal punto da sacrificare la tua vita per salvare la sua."
Le spiegai.
"Non l'ho chiesto a te."
Disse fredda fulminandomi con lo sguardo. Sbuffai.
"E comunque io non gli sono grata proprio di nulla! Lui ha rovinato tutto quello per cui ho sudato da quando ero una bambina!"
Disse furiosa.
"Qui entra in gioco la rarità del vostro asservimento."
Disse ancora entusiasta Michael.
"Voi dipendente l'una dall'altro. Se uno dei due viene ferito, l'altro sentirà come delle leggere fitte e formicolii nelle parti colpite, se uno dei due prova una determinata emozione, a sua volta, l'altro la percepirà. L'asservita difenderà, per istinto, il suo creatore e lui dovrà proteggere lei dal suo istinto di proteggerlo, perché se uno dei due muore, muore anche l'altro. Di una morte lenta, dolorosa, interna, che porta sensazioni come quella di vuoto, di mancanza, di incompletamento, di aver perso il vostro più grande tesoro, che può portare al suicidio o alla morte per mancanza di cibo. Avete bisogno l'uno del sangue dell'altra per sopravvivere. In parole povere, è come se foste una persona sola."
Ci spiegò Michael, sembrava come un bambino il giorno di Natale. Lei rise isterica.
"Io non sacrificherei mai la mia vita per lui."
Disse acidamente.
"Sicura?"
Chiese John con in mano uno dei nostri fucili muniti di proiettili di legno.
"Sicurissima."
Disse certa.
"Daccordo, allora non ti dispiacerà se lo colpisco un po'?"
Le chiese.
"Fa pure."
Disse tranquilla. John puntò l'arma verso di me.
"Tanto non lo colpisci."
Disse lei.
"Sicura?"
Chiese John colpendomi ad una gamba. Mi accasciai a terra emettendo un verso di dolore. Mi colpì, successivamente, anche ad una spalla.
"Cazzo!"
Urlai in preda al dolore. Stavano esagerando.
"Ancora convinta?"
Le chiese. Cercai di levarmi i proiettili e di mettermi in piedi. Fortunatamente ci riuscii.
"Che dite se lo colpisco al cuore?"
Chiese John. Non ricevette risposta e prese la mira, per poi sparare. Nulla. Non sentii nulla, a parte un formicolio alla parte destra del petto. Lei era davanti a me, non capii. Ci misi un po' a realizzare che si era messa in mezzo, beccandosi la pallottola. Si accasciò a terra. La afferrai prontamente e mi affrettai ad estrarle quel pezzetto di legno.
"Visto?"
Disse Michael.
"Merda."
Disse lei. Quando la ferita si rimarginò, si allontanò da me, tornando seduta sul divano.
"Ora dicci, come ti chiami dolcezza?"
Le chiese John.
"Aurora."

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