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Capitolo 20

Lei
Il dolore che provavo era indescrivibile, anche perché non si limitava ad essere mentale, era anche fisico. Tutto era più amplificato, tutto era più doloroso. Immagini mi passavano nella mente ed era come se si materializzassero davanti ai miei occhi. Sentivo delle voci, alle volte anche urla strazianti. Mi sembrava di impazzire. Tutti cercavano un modo per placare tutto ciò, per far tornare le cose come prima, ma io non volevo. Quando ero andata via, avevo fatto delle ricerche, ricerche sul tipo di asservimento che univa me e lui. Avevo trovato informazioni di cui ero già a conoscenza, ma, andando più a fondo, avevo trovato altro, molto altro.

'... I due soggetti è come se fossero un'unica persona, perciò i ricordi, i sentimenti provati, le emozioni, sono condivisi, sia presenti, sia passati. Ciò che ha vissuto uno, farà parte dei ricordi dell'altro e viceversa, come se l'avessero vissuto in prima persona entrambi.'

Non potevo permettere che lui vedesse i miei ricordi, non sapevo come avrebbe reagito, ma, sicuramente, non sarebbe stata una reazione positiva. Nonostante ciò, non ce la stavo facevo più, era tutto troppo per me. Una sera sentii dire da Michael una frase che peggiorò solo il mio stato mentale.

"Se continua così, il suo cervello potrebbe subire gravi danni, potrebbe arrivare ad impazzire. Non esiste essere vivente capace di sopportare una situazione del genere, né a livello mentale, né psicologico, né fisico."

Ciò mi rese ancora più determinata a fare quello che avevo in mente. Dovevo riuscirci, per il mio bene e, soprattutto, per il bene di lui.
Era passata una settimana dall'episodio avvenuto nell'orfanotrofio e, da allora, lui non mi aveva lasciata sola neanche un attimo. Avevo avuto delle crisi, tipo attacchi d'ira, attacchi di panico, attacchi di follia. Sembravo una psicopatica.
"Ehi."
La sua voce era come ovattata, ogni suono era diventato così per me. Alzai lo sguardo incrociando i suoi occhi. Ogni volta che li osservavo, mi sentivo morire. Sapevo che non mi avrebbe mai perdonata per ciò che avevo in mente di fare, sapevo mi avrebbe odiata per aver fatto tutto da sola, per aver scelto al posto suo, ed era proprio questo che volevo. Volevo che lui mi odiasse, avrebbe reso tutto più facile. Si sedette accanto a me, per terra, per poi accogliermi fra le sue braccia.
"Devi mangiare."
Disse portandosi il suo polso alla bocca, ma lo fermai.
"Aurora, ti prego."
Mi supplicò. Scossi la testa e portai lo sguardo verso il limpido cielo azzurro che si mostrava maestoso fuori dalla finestra presente nella stanza. Lo sentii sospirare.
"Stiamo cercando una soluzione, vedrai che la troveremo, non permetterò a niente e nessuno di portarti via da me."
Disse stringendomi più forte a sé. Delle lacrime iniziarono a scorrere silenziosamente lungo il mio viso. Rimanemmo così per un tempo indefinito, fin quando non venne Emily a chiamarlo.
"Michael vuole vederti, deve parlarti."
Disse, per poi spostare il suo sguardo su di me. Il ragazzo che mi stringeva sospirò e si alzò.
"Resta con lei."
Ordinò alla ragazza, prima di lasciare la stanza. Emily si avvicinò a me e si sedette a terra, di fronte a me.
"Ehi."
Mi salutò sorridendo flebilmente. Spostai il mio sguardo su di lei e la squadrai dalla testa ai piedi. Era davvero bellissima.
"Abbiamo capito tutti che hai qualcosa in mente... Me ne vuoi parlare?"
Mi chiese. Spostai nuovamente lo sguardo verso il cielo.
"Capito."
Disse dopo qualche istante di silenzio.
"Forse tu credi che quello che Benjamin prova per te non è reale, ma ti sbagli. Non l'ho mai visto così preso da qualcuno o qualcosa. Prima del tuo arrivo, non l'avevo mai visto così premuroso, preoccupato, gentile, amorevole, felice, alle volte sofferente. Se ti dovesse succedere qualcosa, asservimento o meno, lui ne morirebbe."
Sorrisi amaramente.
"Ma così sarà libero... Saremo liberi entrambi."
Parlai finalmente, dopo non so quanti giorni di silenzio. Emily mi guardò preoccupata, triste, impaurita, un po' come mi guardava lui. Ma cosa andavo pensando? Nessuno mi guardava come mi guardava lui. Anche se non poteva provare sentimenti spiacevoli, glielo si leggeva in faccia che aveva paura, paura di perdermi. Lo stavo facendo soffrire e quella consapevolezza aumentava il mio... Il nostro dolore.

Emily era andata via da un po', ero da sola in quel momento. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Calde lacrime iniziarono a scorrere nuovamente lungo le mie guance. Non ce la stavo facendo davvero più. Faceva tutto troppo male. I miei ricordi, i suoi ricordi, erano troppo per la mia mente, ma non potevo cedere. Lui non doveva vedere, non doveva sapere quello che avevo passato in quel maledetto orfanotrofio. Dovevo resistere ancora un altro po', dovevo essere forte... Per entrambi.

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