Capitolo 14
Lui
Non credevo che sarebbe tornata, ma soprattutto non credevo tornasse così cambiata. Beh, comunque non era l'unica ad essere diversa,grazie a lei, ero riuscito a cambiare anch'io. Non mi andava di stare nello stesso posto in cui stava lei, perché sapevo che avrebbe passato tutta la serata a mostrarmi com'era diventata a causa mia e la cosa sarebbe stata solo una scocciatura per me, così decisi di andare altrove.
"Cosa ti porto?"
Mi chiese l'uomo dietro al bancone.
"Una delle tue cameriere, quale mi consigli?"
Gli chiesi soggiogandolo. Lui mi indicò una biondina poco lontana da noi che stava servendo due ragazze e aveva il sorriso stampato in viso. Innocente, sorridente, la maschera che indossa ogni ragazza che si sente sola, insoddisfatta della sua vita, insicura, era perfetta. Quella sera ero piuttosto magnanimo, avrei messo fine alle sue pene da povera e fragile umana. Mi diressi spedito verso di lei.
"Che ne dici di venire con me?"
La soggiogai cosicché mi seguisse senza fiatare, cosa che, ovviamente, fece.
Eravamo fuori dal locale, lontano da occhi e orecchie indiscrete. Non ci pensai due volte a dirle di non urlare, così da poter affondare i miei canini nella sua carne. Dovetti ammettere che non era affatto male. Spegnendo tutto, ero riuscito ad attenuare il mio bisogno del sangue di lei. La cosa mi rese quel periodo più facile, anche perché avevo consumato quelle due sacche che mi aveva lasciato nel giro di tre giorni.
Finito il mio pasto, notai che si muoveva ancora, anche se a malapena, così le ruppi il collo. Ecco, l'avevo salvata dalla sua patetica ed inutile vita, se avesse potuto, mi avrebbe ringraziato. Sorrisi, mi era mancato questo lato oscuro di me.
Rientrai, avevo voglia di divertirmi, così afferrai una bottiglia da dietro al bancone e mi lanciai in pista. Subito fui accerchiato da delle ragazze che facevano di tutto per attirare la mia attenzione.
"Signorine, non preoccupatevi, ce n'è per tutti."
Le soggiogai una dopo l'altra e le addentai una dopo l'altra. Avevo dimenticato questa sensazione di potere, di libertà, di totale estasi.
Quella sera non uccisi molte ragazze, solo tre o quattro, mi ero contenuto, come avevo detto, mi sentivo magnanimo.
Ero lì che vagavo per una strada deserta, una bottiglia in mano e la mezza luna presente in cielo che illuminava il mio cammino. Mi gettai a terra, chiusi gli occhi. Nulla... Non sentivo assolutamente nulla. La cosa mi andava bene, ma mi faceva sentire così vuoto.
Sentii una macchina avvicinarsi e sbuffai quando si fermò.
"Signore, tutto bene?"
Mi chiese la donna, per poi avvicinarsi cautamente a me, al ché spalancai gli occhi facendola sussultare.
"In effetti ho ancora un leggero languorino."
Dissi, per poi addentarla. Urlava, urlava di dolore, la cosa mi piaceva, mi piaceva da impazzire.
Dopo averla prosciugata del tutto, mi levai la carcassa di dosso e continuai a rimanere steso lì, a terra. L'asfalto sembrava ghiacciato a contatto con la mia pelle che sembrava bollente. Ciò mi riportò alla mente una sera del 1970. Ero nella stessa identica posizione, solo che ero a Seattle.
Anche allora una donna si fermò per soccorrermi, solo che, nel momento in cui stavo per morderla, dopo averla soggiogata, intravidi nell'auto due piccole figure. Erano due bambini... I suoi bambini. Sospirai e decisi di lasciarla andare. Sapevo che un giorno avrei riacquistato le mie emozioni e non volevo avere sulla coscienza il fatto di aver ucciso a sangue freddo la madre di due bambini così piccoli davanti ai loro occhi, e di certo non avrei mai ucciso loro. Avevo un codice "d'onore", lo chiamavo così. I bambini non si toccano, erano off-limits per me e, sentimenti o no, non li avrei toccati.
Dopo almeno un'ora trascorsa a rivangare il passato, i bei tempi e esser rimasto steso per terra, decisi di tornarmene a casa, percorrendo una strada diversa, più lunga. Avevo ancora un po' di fame, magari la fortuna avrebbe messo sul mio cammino altre dolci fanciulle da prosciugare e da salvare dalle loro patetiche vite.
"Ciao ragazze, a domani."
A quanto parve, la fortuna era dalla mia parte. Sorrisi sghembo e iniziai a seguire la ragazza. Amavo il modo in cui si guardavano intorno, perché si sentivano osservate, ciò mi faceva percepire la loro paura, il loro terrore di non sapere se sarebbero tornate a casa sane e salve.
Appena si guardò alle spalle e poi si rivoltò, le piombai davanti.
"Ciao splendore, non sai che non è prudente girovagare a quest'ora, tutta sola per giunta?"
Le chiesi con un sorriso sghembo e ammaliatore, uno dei migliori del mio repertorio.
"Beh, se sapessi che ogni volta incontrerei un bel tenebroso come te, uscirei più spesso a quest'ora."
Disse cercando di ammaliarmi anche lei. Risi, povera illusa.
"Grazie del complimento, peccato che hai trovato il tenebroso sbagliato."
Dissi minaccioso. La ragazza spalancò gli occhi e iniziò a correre impaurita, forse voleva tentare di ritornare dalle sue amiche. Speranze vane. Le ripiombai davanti e la addentai. Non era male, era la mia serata fortunata, mi era andata bene con tutte. Erano tutte piuttosto saporite, dolci. Finito anche con questa, lasciai che il suo corpo senza vita scivolasse verso terra, per poi incamminarmi sulla via di casa.
"Non sei cambiato affatto."
Quella voce. Non mi ci volle molto per riconoscerla.
"Cinquantasette morti in un mese, un vero e proprio killer."
Parlò ancora. Mi voltai per vederla dopo almeno quarant'anni.
"Daphne."
Pronunciai. Sorrise.
"Ti sono mancata?"
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