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Capitolo 12

Lui
Era il lontano 1845 quando la mia vita cambiò drasticamente. La mia famiglia, di cui oramai non ricordavo più quasi nulla, fu uccisa senza alcuna pietà da alcuni mercenari in cerca di denaro e viveri. Io riuscii a scappare, ma, francamente, avrei preferito morire lì, in quella casa, con loro, piuttosto che andare incontro al mio detestabile destino.
Ricordo ancora come la incontrai, ero lì che vagavo nella foresta, avevo consumato tutte le mie forze, credevo davvero che sarei morto, e invece vidi una figura femminile avvicinarsi, cauta, a me. Mi osservò attentamente per qualche istante, per poi avvicinarsi a me e donarmi un po' del suo sangue, quanto bastava per guarire le mie ferite. Quando mi ripresi, riuscii a vederla chiaramente. Era una ragazza, pressoché di quattordici anni, non molto alta, minuta, con dei lunghi capelli biondi color del miele e due occhi neri come la pece, un viso dolce, angelico, era la cosa più bella che i miei occhi avessero mai visto. Ricordo ancora il primo sorriso che mi rivolse, era pieno di dolcezza, così sincero, così allegro, così vero. Passai molto tempo con lei, finché non si innamorò di me. La sera in cui mi confessò i suoi sentimenti, fu la stessa in cui io la rifiutai e la stessa in cui lei mi uccise. Mi risvegliai solo, nel bel mezzo del nulla, lei era sparita. Durante i miei 172 anni non l'avevo più rivista, come se si fosse volatilizzata. Avevo vissuto tutto quel tempo a capire e ad accettare quello che ero diventato, ma, nonostante fossi felice dell'esistenza che conducevo, non c'era stato giorno in cui io non avessi sperato di rivederla per mettere fine alla sua esistenza. In tutti quegli anni avevo ucciso un numero impreciso di persone, intorno alle 300 circa, e da altrettante avevo preso del sangue, ma ero riuscito a controllarmi. Avevo spento tutto, emozioni, sentimenti, solo così ero riuscito ad andare avanti, ma ci fu un giorno che cambiò alcune cose di me.
Successe circa dieci anni prima, nella foresta, incontrai una bambina, stava piangendo e aveva il viso nascono dalle ginocchia portate al petto. Le chiesi perché si trovasse lì, tutta sola, e lei mi rispose che era scappata, pensai quindi di convincerla a tornare dai suoi genitori, di certo non le avrei fatto del male, era solo una bambina, ma lei mi disse che non li aveva, che viveva in un orfanotrofio e che era scappata perché si sentiva sola. Così mi accovacciai per esserle più vicino. Ricordavo ancora l'odore del suo sangue, il ritmo del suo cuore, erano un qualcosa di unico, così come i suoi occhi verdi. Le chiesi se aveva amici e lei mi rispose che non le piacevano le persone, al ché risi e le ricordai che anche lei era una persona. Mi rispose che neanche lei si piaceva, io le dissi che si sbagliava, che era una bambina bellissima, non aveva motivo di odiarsi. La cosa che mi rimase più impressa, fu l'attimo in cui mi guardò dritto negli occhi. La osservai, per poi dirle che poteva lasciarsi andare ed iniziò a piangere. Io rimasi lì con lei fin quando non smise, la tenevo fra le mie braccia a ripeterle che sarebbe andato tutto bene. Mi ci volle un po' per capire che quegli occhi avevano riacceso tutto. Tutti i miei sentimenti, le mie emozioni, i miei sensi di colpa, era tornato tutto, ed era bastato che i miei occhi si incontrassero con i suoi. Da allora non rividi più nemmeno lei.
Ricordai anche quello che avevo fatto qualche giorno prima ad una ragazza innocente, quello che praticamente era stato fatto a me, ovvero le avevo portato via tutto. Aurora aveva ragione,con lei avevo avuto una scelta, solo che avevo preso quella sbagliata.
Erano giorni, settimane, che lei era andata via, anche se a me sembravano secoli quelli trascorsi. Dato che tutte le donne per me rilevanti incontrate nella mia esistenza, una volta incontrate, era come se l'attimo dopo sparissero dal pianeta, avevo il terrore che succedesse anche con lei e non volevo, non volevo assolutamente tutto quello. Mi sentivo completamente solo, svuotato, incompleto. Il dolore, i sensi di colpa, stavano divenendo atroci, insopportabili, troppo forti anche per me. Provai a chiedere aiuto a Michael, ma nulla. Anche lui era impotente davanti a tutto quello. La rivolevo, avevo bisogno di lei, mi mancava.
Ero seduto a terra, nella mia camera, con una bottiglia di whisky in mano e una decina di corpi privi di conoscenza che mi circondavano, giusto per completare la pateticità del momento. In quel periodo era diventato tutto troppo difficile, anche vivere, così decisi di fare l'unica cosa che mi avrebbe salvato, anche se probabilmente sarebbe stato un punto di andata senza ritorno. Oramai non aveva più importanza, avevo perso anche l'ultima cosa che avrebbe potuto dare un senso alla mia miserabile esistenza. Mi feci coraggio e lo feci.
Click
Ecco, ora ero finalmente libero da ogni dolore.

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