Lucamy: "L'accordo -2 parte" - "Come pioggia d'estate" 💎
2 seconda parte
(Il capitolo completo
è sulla raccolta
"Amybeth e Lucas story")
"Giuro che non ho portato iella al tuo viaggio." Esordì la direttrice munita di valigetta, venendomi incontro con un sorriso smagliante dopo una lunga giornata fra corsie, consulti e operazioni.
"Non lo so, lo lascio alla tua coscienza."
Questa mia affermazione le provocò una risatina.
"Non posso dire di essere triste. Poi, saremo insieme alla festa di domani." Feci un cenno con la testa, come a dirle di aver capito, dondolandomi sui talloni. "Buonanotte."
"Buonanotte."
Ripresi a camminare e notai Dalmar appoggiato vicino ai cartelli indicativi dei piani, elettrizzato di conoscere i dettagli come una quindicenne.
"Insieme? Insieme? Insieme?" Ripeté seguendomi come un segugio e imitando una vocina femminile smielata.
"Piantala di prendermi in giro, e dimmi cosa abbiamo in programma per domani." Continuò a sghignazzare senza sosta. "E non inviterò mai Shannon, mettitelo in testa."
"Allora porta con te un'altra. E poi la lasci in modo elegante." Mi consigliò, seguendomi a ruota nel mio studio.
"Tipo?"
Chiuse la porta di scatto e mi guardò con espressione seria.
"Che ne pensi di Ada? È una brava ragazza."
"Verrà e non se ne andrà più." Bocciai, appendendo il camice sul gancio.
"Selina, l'avvocato."
"È pazza. Ha quarantadue gatti."
"Sul serio? Chi abbiamo oltre loro?" Sprofondò sulla sedia battendo le mani a tempo sulle gambe mormorando: "Chi c'è? Chi c'è? Chi c'è? Vediamo, chi potrebbe esserci?" Afferrò il mappamondo dalla mia scrivania e se lo rigirò fra le mani, mentre pensava a qualche candidata poi esclamò. "Erika, è una bella ragazza!"
"Vuole un bambino. Mi ha chiesto di scegliere un nome. Come sta Cara?" Domandai per sviare il discorso.
"Ah, caro mio, visto che ti ostini tanto a eliminare tutte le scelte, l'unica valida sembra Shannon." Si alzò in piedi sotto il mio sguardo attento. "Sareste proprio una bella coppia. Fonderete dei piccoli ospedali e li amplierete insieme." Andò verso la soglia e sorrise. "Non è male? Pensaci. D'accordo, scappo. Ciao."
Chiuse la porta lasciandomi solo.
Posai il cellulare e sistemai il mappamondo ruotandolo, prima di rimettermi a lavorare. Era notte inoltrata quando l'Uber accostò e l'autista mi aiutò con la valigia.
In un gesto istintivo e liberatorio allargai il nodo della cravatta e spinsi il portone, entrando nel palazzo. Trascinai le valigie all'interno, poi accesi l'interruttore e lanciai le chiavi nel posto abituale.
Nell'attraversare il corridoio diretto verso la camera per fare una bella dormita mi bloccai improvvisamente.
Accesi la lampada e sgranai gli occhi, notando una figura leggiadra appisolata beatamente sul mio divano.
Mi guardai attorno per capire da dove fosse spuntata, ma non c'era nulla sottosopra anzi l'ambiente era ordinato e tranquillo, quindi non poteva trattarsi di un malfattore.
Mi avvicinai mantenendo alta la guardia e con passo felpato m'inginocchiai.
"Sssh! Ehi!" A nulla valse il mio tentativo e la donna non si spostò di un centimetro.
Allungai la mano e con un dito cercai di sfiorarle il braccio, ma lo ritrassi prontamente.
«Stai avendo un'allucinazione. È tutto nella tua testa! Calma!»
D'altronde, da questa mattina non avevo fatto che trafficare avanti e indietro per i reparti, un paio d'interventi e al massimo cinque minuti di sonno... non potevano giovare alla mia salute mentale.
Scioccato tirai fuori il cellulare e scattai una foto. Poi mi diressi in camera da letto inoltrandola su WhatsApp, scrivendo a chiare lettere:
"Chi è lei?"
«Se sei stato tu Dalmar a trovarmi questa ragazza, giuro sulla mia professione che te la farò pagare. Perché non riesci a capire che non ho bisogno del tuo aiuto!»
Il sonno era andato a farsi benedire e non facevo altro che camminare avanti e indietro in attesa che la mia assistente visualizzasse; ero come un animale intrappolato in gabbia.
A un certo punto sentii la vibrazione e vidi subito il messaggio.
"La governante." Nello stesso momento, alla mezza e un minuto, arrivò un altro più dettagliato. "Amybeth McNulty. L'ho assunta quattro mesi fa. C'è qualche problema, dottore?"
Sospirai, bloccando il cellulare.
«Il fatto di essersi impadronita del mio divano e infilato uno dei miei pigiama non è ovviamente un problema!»
Il sole era sorto da un pezzo quando l'intrusa cominciò a mostrare i primi segni di risveglio.
Mi avvicinai al tavolo e feci tintinnare il cucchiaio sopra il bordo della tazza.
La ragazza sgranchí le braccia stiracchiandosi come un gatto, e voltandosi si scontrò con la mia espressione contrariata con gli occhi ridotti a due fessure attraverso gli occhiali.
Restò pietrificata con il mento premuto sul cuscino, poi si sollevò di scatto con i capelli scompigliati.
"Buongiorno."
"Dottore!"
"Caffè? Cornetto?"
"Io... P-posso spiegarle." Si rimise in piedi quasi inciampando, con il pigiama largo che le lasciava scoperta una spalla, mentre bevevo un sorso di caffè con una calma innaturale.
"Questa è la prima volta che ho soggiornato qui." Tese le braccia nella mia direzione per discolparsi, mentre abbassavo la tazza all'altezza dello stomaco. Si mise a sistemare il divano demoralizzata, con la voce tremante:
"È che... Se mi sta chiedendo, cos'è successo? Ieri quando sono venuta a lavoro... Le giuro, non sono mai stata qui prima d'ora."
"Fermati, Agatha. Prendi fiato."
"Amybeth." Mi corresse con un filo di voce.
"Lo sistemi più tardi." La coperta che stava piegando le scivolò dalle mani e mi fissò atterrita. "Ti ascolto. Parla." Ripresi a bere mentre feceva un passo avanti gesticolando con le mani.
"C'è un problema. Mia sorella mi ha chiamato ieri, perché ci hanno cambiato la serratura. Perché dobbiamo dei soldi al padrone di casa... Devo pagare le tasse universitarie e le spese per il progetto. Forse a lei non interessa... ma senza dire nulla quel bastardo ha cambiato la serratura!"
Posai la tazza sul tavolo e tolsi gli occhiali, riponendoli nel cofanetto.
"Quando non avete pagato l'affitto, il padrone di casa ha cambiato la serratura e vi ha cacciato. E hai pensato che sarebbe stato meglio rimanere qui."
"Solo per oggi. Soltanto oggi. Quando mia sorella mi ha chiamato ieri, sono rimasta qui. Non sapevo dove poter andare. Mi dispiace tanto. Sono desolata! Non sono mai stata qui durante la sua assenza. Questa è la prima volta."
Il cellulare interruppe la sua spiegazione e dovetti rispondere.
"Sì? Come sta tuo padre?" Camminai in direzione della cucina con la mano nella tasca. "Forse la dose che gli abbiamo prescritto per le crisi epilettiche non è sufficiente. Quando è stato l'ultima volta che gli avete fatto fare un esame del sangue?" Annuii dopo aver ascoltato. "Fateglielo fare e gli prescriverò la dose. Guarisci presto." Riattaccai e guardai la ragazza davanti a me che si strofinava le mani a disagio. "Quanto...?"
"Una notte. Solo una notte." Ripeté.
"Quant'è il tuo debito?"
"Tre affitti." Scossi la testa perplesso, alzando il sopracciglio. "Circa 2700. Ma ho già pensato a una soluzione. Presto servizio anche in un'altra casa oltre questa e mi arrangerò. La signora Albert. È la moglie dell'architetto. È gente simpatica. Certo, non saranno migliori quanto lei... Ma una volta mi disse, 'vieni da me se hai una problema. Potrei seguire anche il consiglio.'"
Tutte le sue chiacchiere mi giunsero alle orecchie ovattate dal tumulto dei miei pensieri, tornati magicamente al discorso precedente affrontato ieri sul fatto che non avrei mai accettato l'invito di Shannon per la festa e che avrei potuto evitare una spiacevole situazione, se avessi chiesto a qualcun'altra.
Contemplai quella ragazza, che in un modo o nell'altro goffamente si stava scusando per il suo comportamento inconcepibile, mentre l'eco di quelle parole mi annebbiò il cervello.
«Allora porta qualcun'altra. Poi la lasci in maniera elegante...»
"Parlarò con lei e toglierò il disturbo." Tornai in me, come se mi fossi appena risvegliato, con gli occhi inchiodati sul suo viso mentre il cellulare squillò un'altra volta.
Lessi sullo schermo distrattamente e risposi, senza perderla di vista mentre si muoveva da un piede all'altro, in attesa della sentenza.
"Sì? Sì, signora Rachel. Portatemelo oggi per una visita." Spense la lampada mentre i miei occhi la seguivano con attenzione in ogni movimento. "Prendete un appuntamento in ospedale, ci vediamo."
Riprese a resettare, poi mi osservò con fra le braccia la coperta.
"Devo partecipare a una festa stasera. Ho bisogno di un'accompagnatrice, ma non pretendo nulla. Per molte ragioni."
Mi drizzai dopo aver dato un'occhiata al portatile e lo chiusi di scatto. "Vieni con me stasera. È sufficiente che mi accompagni per due ore. E ci metterò una pietra sopra." Mi guardò interdetta, mentre stiravo le pieghe e prendevo la ventiquattro ore per infilarci delle cartelle cliniche. "Potrai pagare l'affitto. Non sarai in debito con me. Ma se rimani di nuovo qui o trasgredisci le mie regole... il contratto verrà annullato. Abbiamo un'accordo?" Chiesi chiudendo la borsa.
"Cosa intende per 'festa'?"
"Una festa con il personale ospedaliero. Non ti preoccupare per il vestito, me ne occupo io. Finisci di lavorare alle sei?"
"Sì, però..." Rispose impacciata.
"Il mio autista ti porterà dal parrucchiere. Poi, ti accompagnerà nel luogo stabilito. Ci incontreremo alle otto. Chiama Elva. Ci vediamo."
Presi la borsa a tracolla con la valigetta e uscii di fretta, senza aspettare la sua risposta. Stavo per salire in auto quando mi sentii chiamare e la vidi correre in strada, con addosso ancora il pigiama.
"Dottore... Se ha un po' di tempo, avrei un'altra richiesta." Annuii e mi porse un dischetto. "È della mia vicina. È come una sorella per me, siamo molto legate." Prese un respiro piegando la testa, come se tentasse di non mostrare le sue emozioni o gli occhi lucidi. "L'ha mostrato anche ad altri medici. Loro hanno detto che non si può fare nulla. Ma siccome lei è un luminare in questo campo, forse c'è qualcosa che si può fare, ma loro... non l'hanno visto. Me l'ha chiesto lei."
"La tua vicina?" Domandai, infilandolo nel taschino.
"Dalila ... Bela."
"Lo analizzerò oggi. Ti darò informazioni stasera. Spero che si riprenda presto."
Annuì semplicemente e alzò il palmo, mentre mi sbrigavo a salire nell'Uber.
"Numero cinque, professore!"
La segretaria balzò dalla sedia quando passai accompagnato da una schiera di medici e infermieri. Un'altra mi salutò con garbo prima di iniziare il giro di visite.
Prima una donna, poi fu il turno di un bambino.
"Apri gli occhi." Il piccolo obbedì mentre gli puntavo la luce in un occhio e poi nell'altro. "Ora, guarda in alto."
"Professore, l'anno scorso abbiamo eseguito un intervento chirurgico su Kevin. Il paziente di cui le ho mostrato le foto ieri. Ha un nodulo nel rene. Abbiamo fatto una PET* ieri. Si tratta di un piccolo tumore." M'informò il collega al mio orecchio, suscitando la paura negli occhi della donna.
"È tornato, professore?"
"No." Mi girai fulminando l'uomo. "Non c'è niente di strano, ce lo aspettavamo già." Poi guardai la donna che mi fissava, a sua volta, speranzosa. "Questo non cambierà il nostro trattamento. Continuerò con il nostro metodo."
Uscii dalla stanza e un'infermiera mi comunicò il prossimo numero sulla lista delle visite, mentre acceleravo il passo, lasciandomi dietro tutti gli altri.
"Bravo! Hai mostrato a tutti come un medico può dare la colpa a qualcuno. Quella donna era già preoccupata per il suo bambino. Mi arrendo! Non possiamo essere classificati come portatori di disgrazia, grazie a te!"
"Mi ha detto che devo accompagnarlo alla festa e che pagherà anche il mio debito. Riesci a crederci?"
"AB... io sto parlando seriamente e tu mi prendi in giro. Dimmi la verità." Replicò dall'altra parte della cornetta, mentre pulivo il vetro della finestra.
"Non lo so, è qualcosa che ha a che fare con l'ospedale. Deve partecipare a una festa e mi ha chiesto di andare con lui." Lanciai il panno umido sul mobile e afferrai il vaso con le violette per spostarlo.
"Come? Quale invito? Chi te l'ha chiesto? Di cosa parli? Sei forse impazzita?"
Appoggiai il telefono sul davanzale e misi in viva voce: "Te lo giuro. Vuole portarmi alla cena di stasera. Non vuole andare con nessuno, ma non può andarci da solo. Mi ha chiesto di stare lì per due ore e che non ha nessuna particolare pretesa su di me."
Lei sbuffò. "È un maniaco perverso?"
"Non credo abbia tempo per questo. È un uomo molto sfuggente. Sarà circondato da donne diverse ogni settimana. Perché dovrebbe avere quel tipo di approccio con me?"
"Perché non ci porta qualche bella infermiera alla sua cenetta d'affari. Cosa vuole da te? Spacciarti per la sua ragazza e farti sfigurare davanti ai superiori?"
Sospirai con in sottofondo il rumore dell'acqua contro i piatti.
"Andrò alla cena e tornerò senza fare nulla dopo due ore, Dali. Non mettermi pressione. Devo sdebitarmi, ho dormito sul suo divano. Gli devo un favore! È un noto dottore, non è... maniaco o perverso."
"Tesoro, stai davvero per andare a una festa per medici ricconi?" Esclamò Dalila e potevo percepire la sua malizia fin dentro le ossa, mentre sghignazzava. "Cosa indosserai? Andrai in limousine come una star del cinema?"
"Non lo so, non gliel'ho chiesto. Se ne occuperà lui. Dai, stasera ti racconto. Tornerai stasera, vero?"
"Sì, sí. Dimmi..." Fece una pausa immobilizzandomi. "Gli hai dato il... CD?"
"L'ho fatto." Risposi chiudendo la manopola e rimanendo in silenzio.
"Giuralo."
"Non ti ho risposto di sì? Lo vedrà e stasera saprò qualcosa."
"Bene. Ti aspetto per stasera. Bussa alla mia porta quando arrivi, okay?"
"Doc, ti serviremo come sacrificio per Shannon?" Scherzò Dalmar facendosi strada fino alla mia postazione mentre osservavo scrupolosamente i monitor. "Gli dei chiedono un sacrificio."
"Spiacente, prenderò la mia assistente." Risposi con gli occhi incollati alla risonanza. L'uomo bofonchiò qualcosa alle mie spalle. "La colf... è molto carina, le ordinerò un vestito. Rimarremo per due ore e poi ce ne andremo. Credo sia un buon piano e se non funziona, lo accetterò."
"Che razza di uomo sei!" Esclamò spingendo leggermente la sedia girevole da cui mi ero alzato per avvicinarmi alle lastre, poi parve soffocare una risatina. "Oh Dio, cos'è quello?" Mi affiancò e osservò. "Non credo che s'immischierà in questa storia, doc."
"Hai visto? Si è sistemato in un luogo profondo questo farabutto." Strinsi leggermente gli occhi indicandoglielo con un dito. "Fai attenzione a questo. Si è già verificata un'emorragia interna." Mi portai la mano sotto il mento massaggiandolo mentre il mio amico scorreva gli occhi sui monitor. "Hanno presentato un caso simile a Londra."
"Davvero? E sono riusciti a rimuoverlo?"
"L'hanno rimosso, ma la vita di questo paziente è rimasta appesa a un filo. È un'impresa titanica e chi si vanta di averla portata a termine è solo un idiota." Mi voltai verso di lui. "E non sono ancora così pazzo da tentarla."
"Ogni sua parola è legge, doc!"
"Si può?" Esordì la castana, bussando alla porta e mi raggiunse porgendomi il giornale. "Il suo primo articolo è appena uscito. Lo firmerà più tardi, dottore. Lo incorniceremo e appenderemo."
"Certo, subito."
"Qui." Stette al gioco Dalmar indicando la scrivania con una posa buffa.
"Dottor Dalmar, dovremmo attaccare i suoi voti della scuola elementare." Alla donna scappò una risata di fronte al nostro sketch. "Le assicuro che né è orgoglioso."
"Ah, ah... che divertente. Cosa se ne potrebbe fare di un povero esperto di giornali? Non ho forse ragione, Professoressa Shannon?"
"Tu sei l'unico esperto in questo ospedale, che può ipnotizzare l'intera Irlanda. Non possiamo rischiare di perderla." Il mio amico apparve galvanizzato dai suoi complimenti, ma la donna subito si soffermò su di me. "Allora... ci vediamo stasera."
"Arrivederci." La salutai.
"Buona fortuna." Mi indirizzò un'altra occhiata fugace, poi lasciò la stanza.
"Anche a te." Dicemmo all'unisono.
-fine primo capitolo*
Prossimo aggiornamento previsto per venerdì prossimo, nel frattempo cosa ne pensate di questo primo capitolo?
So che parlare di ospedali in questo periodo non è bello, ma questa storia racconta un particolare di più.
Leggetela con a portata in pacco di fazzoletti.
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