Lo Specchio
And I was so scared of dying,
until I realize that I already was.
(Holly Henry, Better)
Newt sapeva bene che il viaggio sarebbe stato lungo, ma lo aveva immaginato molto meno stancante. Bob era forte e robusto, eppure aveva iniziato a vacillare già dopo il primo giorno di viaggio, e la mattina dopo la partenza volavano a velocità dimezzata. Newt non faceva altro che urlargli parole di incoraggiamento, sovrastando come poteva il boato del vento, e più volte lasciò la presa sul suo collo, incurante del pericolo, per lasciargli un po' di respiro. Bob non si lamentò nemmeno per un secondo, determinato a fare tutto il possibile per aiutare il suo amico e non farglielo pesare. C'era una consapevolezza quasi umana in quel suo gesto di sacrificio. Newt, però, si sentiva comunque in colpa per aver coinvolto l'amico in quell'impresa impossibile. Sentiva i suoi muscoli che tremavano sotto il peso della stanchezza e vedeva le sue ali battere sempre più piano, riusciva quasi a sentire la sua sofferenza, e la consapevolezza che era stato lui a causarla gli spezzava il cuore. Non è così che si tratta la famiglia.
Volarono per altri due giorni. Nonostante la stanchezza, Newt non chiuse occhio. Rimase tutto il tempo a fissare la distesa blu che si estendeva sotto di loro nella speranza di trovare un posto dove fermarsi e far riposare il povero Ippogrifo. Entrambi erano abituati ai viaggi lunghi, erano compagni di avventure da sempre, ma quella volta temettero seriamente di non farcela. A ogni modo, il quinto giorno un sottile lembo di terra apparve tra i flutti. A Newt sembrò lo spettacolo più bello del mondo. Si concesse un sospiro di sollievo mentre Bob atterrava, stremato. Appena i suoi zoccoli sfiorarono la terraferma, l'Ippogrifo si lasciò cadere, privato di ogni forza. Newt saltò giù dal suo dorso e corse ad abbracciarlo.
— Ce l'hai fatta! Sono fiero di te, Bob — disse, non trovando parole per comunicargli la sua immensa gratitudine.
Poi si lasciò scivolare sull'erba, rendendosi davvero conto per la prima volta di quanto gli facesse male ogni fibra del suo corpo. Viaggiare in tre sul dorso di un Ippogrifo non era stato il massimo della comodità, c'era da ammetterlo.
Sebbene avessero dormicchiato un po' durante il viaggio, Queenie e Jacob non stavano affatto meglio. Per scendere dal dorso di Bob dovettero aiutarsi a vicenda, e quando provarono a camminare iniziarono a barcollare. Ma nonostante ciò, si scambiarono uno sguardo colmo di gioia: erano vivi! Si abbracciarono così forte che rischiarono di cadere, poi si presero per mano e arrancarono verso Newt e Bob. Senza avvicinarsi troppo per non invadere il suo spazio privato, ringraziarono di cuore l'Ippogrifo, nonostante avessero la chiara impressione che non capisse una parola di quello che dicevano. Sembrava comprendesse solo quando era Newt a parlare. Jacob si frugò nella tasca e tirò fuori una barretta di cioccolato.
— Posso regalarne una al cavallo volante? — chiese, mostrandola a Newt — Sembra affamato! —
Newt sembrò pensarci su, ma poi scosse la testa: — potrebbe fargli male, — spiegò.
Jacob capì e la ripose di nuovo nella tasca della sua giacca. Poi però ci ripensò, la scartò e iniziò a mangiarla.
Passarono le ore. I tre non si mossero di un millimetro, troppo stanchi anche per pensare a quando e come procedere. Newt e Bob non erano riusciti a rimanere svegli un minuto di più, così si erano accucciati in un angolo, stretti l'uno all'altro, per godersi un po' di meritato riposo. L'ala dell'Ippogrifo era avvolta protettivamente attorno al corpo immobile di Newt, che aveva un debole sorriso impresso sul volto.
Persino Queenie e Jacob erano silenziosi. Si limitarono a fissarsi e parlarsi con lo sguardo, osservando le vistose occhiaie che contornavano i loro occhi. Non riuscivano a fare altro, si sentivano lontani da tutto, tanto che quando sentirono una voce bassa e roca cantare una strana canzone, credettero di sognare.
Son venuto fin qua
Son venuto fin qua
Per vedere Bob atterrar
La voce si fece sempre più forte, potevano sentirla avvicinarsi, ma non capivano da dove provenisse. Anche Newt si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno, allarmato, poi lanciò uno sguardo interrogativo a Queenie e Jacob, ma loro non seppero cosa rispondere.
Per vedere Bob atterrar...
E comunque, chiunque fosse, come faceva a sapere di Bob? E cosa voleva da loro? Avrebbero dovuto scappare? O forse quel misterioso individuo era lì per aiutarli?
Son venuto fin qua...
La risposta non tardò ad arrivare.
~ • ~ • ~ • ~ • ~ • ~
Thunder entrò di soppiatto nella stanza buia. Non riusciva a intravederne il fondo, ma a giudicare dal riverbero secco del rumore dei suoi passi sul pavimento di pietra non doveva essere troppo grande. Si guardò intorno prima di chiudere la porta alle sue spalle, cercando di non fare troppo rumore. Conosceva bene i pericoli di quella stanza, ma la sua sicurezza non vacillò: doveva farlo per lui. Sapeva che avrebbe dovuto considerare il permesso di entrare lì dentro come un onore, e probabilmente in altre circostanze se ne sarebbe anche vantata, ma la verità era che non avrebbe mai provato a varcare quella porta maledetta se non fosse stato per lui. Sarebbe andata ovunque per lui. Immaginò di tornare da lui e mostrargli quello che aveva fatto, e il pensiero della sua espressione compiaciuta, dei suoi occhi chiari accesi di quel lampo di gioia silenziosa che aveva imparato a conoscere così bene, le diede la forza di proseguire. Di colpo, compiere quell'impresa diventò il suo desiderio più grande. Quando si era unita a Grindelwald, l'aveva fatto con incertezza e timore, ma adesso che era sicura di fare la cosa giusta, era diventata inarrestabile. Guardò dritto davanti a sé e sollevò lentamente una mano, saggiando l'aria circostante e lasciandosela scivolare tra le dita. A un tratto si bloccò. Respirò profondamente e mosse la mano di lato, come per spostare una tenda invisibile. Oltre l'oscurità, un debole bagliore azzurrino attirò la sua attenzione. Doveva essere quello. Lo aveva visto tante volte, ma ammirarlo lì, adagiato su quella sottile colonna nera che si confondeva nel buio, faceva un effetto completamente diverso. Avanzò lentamente, con riverenza. Riusciva a percepire l'enorme potere di quel misterioso artefatto come se le scorresse nelle vene. Non riusciva a staccare lo sguardo da quella luce che pian piano si avvicinava. Il rumore del suo respiro era ipnotico, assordante, il cuore le batteva fortissimo, sentiva una strana energia che le pulsava dentro, era ovunque, cresceva, cresceva, sempre di più, nella testa, lungo il collo, le attanagliava il cuore e le viscere, le faceva tremare le gambe, ma non si fermò. Allungò la mano. Afferrò lo specchio. Avrebbe potuto urlare. Faceva male, sentì come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato nel momento in cui l'aveva preso in mano. Ma non aveva importanza. Lo specchio era tra le sue mani. Lasciò che le sue dita scorressero lungo il bordo frastagliato, che le punte aguzze di quel profilo irregolare le ferissero i polpastrelli, accarezzò la superficie cristallina e sentì un brivido che le attraversava la schiena. Riusciva quasi a sentire le urla disperate della sua anima. Per un attimo si chiese se ne valesse davvero la pena. Probabilmente quello che stava per fare l'avrebbe uccisa. Si immobilizzò quando quel pensiero le folgorò la mente. Era quello il motivo per cui era andata lì. Adesso che era così vicina, però, la morte le faceva paura. Sembrava un paradosso. Aveva passato tutta la sua vita a sfidare la morte e ora che poteva finalmente fare qualcosa di utile aveva paura di andarsene. Guardò ancora una volta lo specchio tra le sue mani, e stavolta il suo sguardo indugiò sul suo volto riflesso. Da quanto tempo non si guardava allo specchio! Cosa avrebbe detto Queenie? Si morse il labbro. Era da tempo che il nome di sua sorella non entrava nella sua mente. Sentiva la sua mancanza, anche se non le era permesso ammetterlo. Puntò i suoi occhi in quelli della figura riflessa nello specchio. Non li riconobbe. Rimase lì a fissarli, inorridita. Tina non c'era più, e quella era la conferma che tanto aveva temuto. Attraverso il nero dei suoi occhi spenti vedeva l'animo lacerato che non sarebbe mai più riuscita a ricomporre. Ecco cos'era diventata. No, quella missione non le era costata la vita. Le era costata molto di più. In quel momento non si vergognò di piangere, forse per la prima volta in tutta la sua vita. Accolse con piacere le lacrime, si abbandonò a quel pianto silenzioso, perché significava che, se non altro, aveva ancora un cuore. Ancora per poco.
Poi, di colpo, accadde: La sua immagine riflessa sparì. La superficie dello specchio era tornata nera. Non riusciva a staccare lo sguardo dal punto in cui prima c'erano i suoi occhi riflessi. Non poteva muoversi, smise persino di respirare. E sentiva di non volersi tirare indietro. Lo specchio si ripopolò di colpo di immagini, ma stavolta non c'era il suo riflesso. Riconobbe immediatamente il volto che la osservava dallo specchio.
Non avrebbe mai dimenticato il volto di Newt Scamander.
Seguirono numerose immagini frammentate, prive di qualsiasi collegamento logico. Il castello. La cripta. Un uccello. Un serpente. Sua sorella adagiata al suolo. Capì immediatamente cosa stava per accadere, ed ebbe paura. Eppure una parte di lei non riusciva a fare a meno di avere fiducia. Continuò a guardare le immagini che si susseguivano davanti ai suoi occhi, sempre nello stesso ordine. Newt, castello, cripta, uccello, serpente, Queenie. Si costrinse a spostare lo sguardo e fare quello per cui era arrivata fino a quel punto: prese la bacchetta e la usò per staccare un pezzo dello specchio. Era così piccolo che nessuno si sarebbe mai accorto di quella mancanza, ma Tina sapeva che era abbastanza. Le immagini non si fermarono. Newt, castello, cripta... un rumore improvviso di passi la fece sobbalzare. Arrivava qualcuno. Trasalì, e lo specchio scivolò via dalle sue mani. Cadde con un tintinnio assordante e oscuro, squarciando il silenzio. Il cuore di Thunder ora batteva all'impazzata, mentre si guardava intorno, disperata, e realizzava di non avere alcuna via di scampo. Di essere in trappola. Prima che potesse fare qualunque cosa, la porta si aprì. Thunder rabbrividì: era Grindelwald.
— Cosa ci fa il mio specchio a terra? — chiese con voce gelida.
— Be', è così che funziona la forza di gravità... — rispose lei, altrettanto fredda.
Uno schiaffo colpì in pieno la guancia di Thunder. Le dita ossute e affusolate di Grindelwald le percossero violentemente il volto, lasciandola con un'espressione attonita sul volto. Il suo Signore non le aveva mai fatto una cosa simile, non se lo sarebbe mai aspettato da lui. Suo malgrado, si ritrovò a guardarlo a bocca aperta, senza sapere bene cosa pensare.
Il Mago Oscuro sembrò pentirsi di averla ferita, e lo schiaffo si tramutò in una carezza.
— Non farlo più, d'accordo? — disse in tono più soave, sfiorandole il volto. Lei non si mosse.
— No, — disse, — non lo farò più —.
E nemmeno tu, pensò.
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