Rimpiazzi e rimpianti
Madison
Aprii gli occhi destata dalla luce abbagliante del giorno che entrava dalla stecca mancante della tapparella della mia stanza. Non bastò il mio grugnito di disappunto, avrei dormito ancora. Appena presi coscienza dell'ora illuminando lo schermo del telefonino, che si stava riavviando, mi resi conto che quella lama di luce era davvero provvidenziale. La sveglia aveva nuovamente mancato di suonare e io ero terribilmente in ritardo.
Mi feci un appunto mentale: acquistare una sveglia meccanica.
Davvero non potevo andare avanti così. Per un'errata impostazione del mio cellulare, quando durante la notte eseguiva qualche aggiornamento, invece di riavviarsi, semplicemente si spegneva. E quando accadeva la sveglia mancava di suonare. Il messaggio sullo schermo: sveglia ignorata, sembrava una presa in giro.
Per le due o tre notti successive mi svegliavo spesso in preda all'ansia, poi me ne dimenticavo fino alla sveglia successiva che andava in malora.
Davvero però oggi non era la giornata ideale, direi la meno opportuna.
Mi buttai sotto la doccia abbozzando una crocchia sghemba e scompigliata tenuta ferma con una pinza di plastica. Lasciai l'acqua scorrere tiepida sulla pelle per qualche secondo inspirando ed espirando ritmicamente, anche se avevo fretta non potevo resistere a quell'attimo di relax che una bella doccia calda poteva donarmi. Indossai jeans e maglioncino di cotone bianco, bello morbido e profumato, una sensazione che adoravo, che mi dava benessere.
Se nella vita mi fosse mai capitato di diventare ricca, cosa di cui dubitavo oramai, avrei investito buona parte del mio denaro per pagare qualcuno che si occupasse di farmi trovare un telo tiepido e profumato dopo ogni doccia, seguito da vestiti freschi di tintoria, con quel profumo inconfondibile di buono. Invece mi toccava accontentarmi dell'ammorbidente dozzinale che compravo al discount.
Avevo vissuto gli ultimi sei anni in un campus universitario studiando come una pazza da mattina a sera per realizzare il mio sogno di diventare medico, non era stato facile, non avevo abbastanza denaro da parte dal mio lavoro precedente e arrotondavo facendo la barista in un localino fino a notte fonda. Era stato estenuante studiare in quelle condizioni, stanca e sola, ma ce l'avevo fatta e sta mattina sarebbe iniziata una nuova fase: la specializzazione.
Per fortuna era previsto uno stipendio minimo che per me era già più di quanto ero abituata a percepire. Ma se questa mattina non mi fossi presentata in tempo avrei vanificato tutto, per questo corsi alla porta con il pacchetto dei biscotti tra le mani. MI inciampai in uno degli ultimi scatoloni del mio scorso trasloco, fresco di un paio di settimane, andando a sbattere contro lo specchio che avevo appeso solo la sera prima alla parete.
L'immagine che mi rimandò non era poi così diversa da quella che ero abituata a vedere da una vita. Si poteva dire che negli ultimi sei anni non fossi cambiata affatto, non ostante i trascorsi e le fatiche, non ostante la mia vita fosse cambiata radicalmente.
Mi ero lasciata il passato alle spalle. il lavoro, la casa, il mio compagno per inseguire la mia vita così come la desideravo.
Era da tempo che vivevo con la sensazione che la vita mi scivolasse addosso, mi sentivo fallita su tutti i fronti ma avevo continuato a restare li dove credevo di dover restare credendo che stringere i denti e tirare avanti fosse l'unica cosa da fare.
Un giorno in un istante, avevo realizzato che la vita che stavo vivendo non mi apparteneva.
Stavo uscendo di casa incazzata come sempre, già stanca alla mattina presto, sveglia da almeno due ore.
Avevo già pulito, lavato, stirato, avevo fatto una doccia e portato fuori il cane del mio compagno, un bulldog incazzato con la vita, con il genere umano e canino, che tirava come un disperato. Più che altro era lui che portava a spasso me.
Appena misi il naso fuori di casa mi imbattei nella vicina di mia mamma, una donna unica, tenace, simpatica e gentile, la conoscevamo tutti perchè era arrivata nel quartiere una ventina di anni prima con due figli piccoli, aveva avuto una vita difficile crescendoli da sola ma non aveva mai perso la gioia di vivere, e la gentilezza, che era la sua caratteristica distintiva. Per questo l'avevo sempre stimata e osservata come un esempio da seguire.
Indossava una cuffietta rossa di cotone fatta a maglia e una mascherina chirurgica sul viso, che si apprestò a stringere sul naso prima di avvicinarmi.
I mie occhi balzavano increduli dalla cuffietta ai suoi occhi.
In un istante le mie braccia furono intorno al suo collo e le sue sui miei fianchi.
I singhiozzi ci sconquassavano il petto all'unisono come se ballassimo la stessa danza.
Non fu la consapevolezza della battaglia che stava combattendo a farmi mettere in discussione la mia vita, nemmeno la sua giovane età, più grande di me di una quindicina di anni ma davvero troppo giovane per essere così vicina alla morte, per vederla danzare intorno indecisa se farsi avanti o arretrare.
Furono le sue parole a dare il colpo di grazia alla mia patetica insicura vita:
"Non mi meritavo tutto questo, non dopo tutto quello che ho passato, mi meritavo solo di stare bene".
Non trovai le parole giuste per rincuorarla perchè , diciamocelo, non ci sono parole. E non c'è una giustizia che garantisca alle persone buone, remissive e gentili la certezza che non gli capiterà mai di dover fare i conti con tutto quello a cui hanno rinunciato per favorire gli altri.
Fu la consapevolezza che sarebbe potuto succedere anche a me, domani, a far cadere le mie ultime pallide certezze.
Se fossi stata io al suo posto, quali rimpianti avrei avuto? Sicuramente quello di vivere con una persona che non mi trasmetteva più nulla, conducendo una vita che non mi rendeva felice.
La salutai a malincuore, conscia che la vita mi stava portando di nuovo dove non volevo, mentre il solo posto che avrei desiderato in quel momento era vicino al suo cuore che stava soffrendo da impazzirne.
Mi aveva fatto un regalo immenso, sicuramente non l'ultimo, vista la sua tenacia, ma il più grande: la consapevolezza che non dovevo avere rimpianti.
Da li era partita la rivoluzione della mia vita e la scelta di fare i passi che mi avevano portato dove ero adesso.
Assorta in questi ricordi quasi non mi accorsi di essere già davanti alla clinica.
Quando entrai mi fu presentata la caposala, una donna imponente dal fare rabbioso ma che non riusciva a mettermi in soggezione perchè mi ricordava la zia Tesse.
"Piacere di conoscerla signorina Jones, le mostro la zona dove è possibile cambiarsi e riporre le proprie cose e la accompagno dal dottor Miller, che la sta aspettando".
Risposi con un grugnito sommesso, non mi sembrava il tipo da farsi due risate per stemperare la tensione, la seguii per i corridoi fino allo spogliatoio dove misi i miei effetti nello stipetto, indossai la divisa bianca immacolata e inamidata che sapeva di disinfettante e sala operatoria.
Mi avviai nuovamente nel dedalo di corridoi pensando che mi ci sarebbe voluta una cartina per ritornare alla porta principale e mi diressi davanti all'ufficio del medico specialista che si sarebbe occupato della parte pratica della mia formazione, avremmo lavorato a stretto contatto durante i turni e sperai in cuor mio che fosse più affabile della signora che mi stava davanti.
Quando, però, inquadrai la figura seduta dall'altra parte della scrivania, il mio cuore mancò un battito.
Jake? Non poteva essere, non sapevo nemmeno fosse un medico, si ok non avevamo parlato molto delle nostre vite, eravamo per lo più stati impegnati a fare altro, non ci eravamo mai più visti e non mi aspettavo certo di vederlo così in quel momento, in quella veste.
Nell'istante i cui il suo sguardo si posò su di me, rivelò che mi aveva riconosciuta non ostante fossero passati dieci anni tre mesi e quattro giorni, no cinque.
Fui velocissima a fare il conto per una semplice ragione, mi ricordavo tutto di quelle due settimane, ogni parola, ogni carezza, ogni canzone che avevamo ascoltato, erano state talmente intense dirompenti, devastanti da non poterle più dimenticare.
Non ostante il tempo passato, non ostante la storia importante che avevo chiuso malamente nel frattempo, non ostante la solitudine e le storie inutili che mi ero costretta a sperimentare, dividevo ancora la mia vita tra prima e dopo di lui.
Cercai di mantenere il contegno, ma le gambe tremavano forte e con loro la mano che gli porgevo tentando di salvare la faccia, fingendo di non averlo riconosciuto.
Fissavo la sua figura che si avvicinava a me a passi lenti, con lo sguardo sospeso indietro nel tempo, intravidi un tremito sulle sue labbra, si portò indietro i capelli con la mano, un gesto che avevo imparato a conoscere bene.
Il suo corpo era avvolto in un vestito dal taglio elegante, non indossava la cravatta ma portava la camicia sbottonata sul petto, abbastanza da far immaginare la curva dei suoi pettorali ma non troppo da mostrarla, il che era semplicemente devastante per me che sapevo fin troppo bene dove andava a finire quella linea perfetta come se fosse stata disegnata da Dio in persona.
Accidenti a me mi girava la testa.
Sentii le gambe cedere leggermente mentre lo sguardo vagava inerme lungo il suo corpo fissandosi in modo imbarazzante sull'ultimo bottone lasciato aperto.
Fu un istante, poi mosse la mano verso i capelli di nuovo e io inquadrai la fede al dito.
Il mondo crollò definitivamente sotto al peso degli ultimi dieci anni, dell'attesa che tornasse, del silenzio e della vita che mi ero costruita per cancellare il ricordo e che era stata un fallimento totale.
Se la mia vita fosse finita domani il mio rimpianto sarebbe sicuramente stato quello di non averla condivisa con lui.
La sua mano si ancorò alla mia vita spingendomi delicatamente verso l'interno del suo studio, mentre con parole gentili salutava la caposala invitandola a tornare alle sue mansioni.
Ero ancora disconnessa dalla realtà, la sua presenza vicino a me, le sue mani che mi sfioravano, la sua voce, quell'anello al dito. Era troppo . Davvero troppo.
Spazio Sue
Eccoci qui, avete conosciuto Madison, è chiaro che ha avuto una storia con Jake una decina di anni prima e se la matematica non è un opinione stava già con Emily. Una storia di due settimane apparentemente solo con un legame fisico e non affettivo, almeno per Jake, ma per Madison?
La vicina esiste veramente e la scena descritta è capitata a me tre giorni fa.
Non potevo non pensarti ,tesoro, alla vigilia di quello che sarebbe stato il compleanno di papà, so che lui ti proteggerà da dove si trova adesso e che ti aiuterà a trovare la forza, ti voleva così bene...
Queste righe sono il mio modo per darti coraggio, il solo modo che conosco, perchè di persona mi mancano sempre le parole.
Buona lettura!
Sue.
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