Resta con me
Mi svegliai portando istintivamente una mano sulla mia pancia, non si vedeva quasi per niente ma un occhio attento avrebbe potuto scorgere una leggera curvatura proprio sotto l'ombelico. Sapevo che era ancora presto ma attendevo con ansia l'istante in cui avrei sentito il suo primo movimento. Quando Jason non c'era mi sdraiavo sul letto e mettevo le mani stese attorno all'ombelico formando un piccolo cuore unendo pollici e indici, sperando di sentire quello sfarfallio che tanto desideravo.
Parlavo spesso alla mia bambina, le dicevo cosa rappresentava per me, la mia rivincita, la mia rinascita, l'avrei cresciuta semplicemente ma circondata dall'amore.
Una fitta mi sorprese, simile a quelle che precedono l'arrivo delle mestruazioni. Il panico invase il mio corpo come una scarica elettrica lasciandomi paralizzata ferma in una posizione rigida e guardinga, in attesa del dolore successivo, che non arrivò.
Si diffuse tra le mie cosce un tepore insolito.
Portai una mano più in basso percependo distintamente qualcosa di bagnato che colava sul materasso.
Gesù ti prego fa che non sia quello che penso.
Mi mossi lentamente quasi strisciando verso il bagno, dove la luce che accesi titubante e speranzosa allo stesso tempo, confermò i miei sospetti.
Sangue.
Le mie ginocchia si piegarono sul pavimento mentre un urlo strozzato e pigolante usciva dalle mie labbra senza che lo potessi trattenere.
Portai le mani alla bocca per attutire il suono che avevo appena emesso mentre faceva capolino un altro crampo che questa volta sembrò lacerarmi il petto.
Sentii il mio corpo scivolare supino sul pavimento cercando istintivamente una posizione che annullasse la gravità e l'inevitabile discesa della mia bambina verso la fine della sua vita e delle mie speranze.
Piangevo impedendo ai singhiozzi di diffondersi più giù oltre il petto, non volevo che finisse e se fosse servito a qualcosa sarei rimasta in quella posizione per i successivi sette mesi.
Resta con me, sussurravo.
Ero appena di otto settimane quando la placenta che proteggeva la mia bambina si staccò in più punti.
Quando i crampi terminarono e successe dopo quanto non lo so, mi lavai e cambiai e scivolai impotente nel letto accanto a Jason, le lacrime ormai scendevano calde e libere senza alcuno sforzo, ero disperata e rassegnata allo stesso tempo perchè sapevo che non avrei potuto fare nulla per salvarla.
Scivolai nuovamente nell'oblio del sonno indotto dal pianto e dalla spossatezza.
Il braccio di Jason si posò delicatamente sul mio fianco stringendo la mia anca in una carezza dolce e possessiva allo stesso tempo.
Mi svegliai e in un istante arrivò la consapevolezza di quello che era accaduto. Dovevo farmi portare in ospedale.
Jason doveva raggiungere il suo nuovo posto di lavoro non prima delle 12 per presentarsi e farsi conoscere e prendere accordi per cominciare, quindi avrebbe potuto accompagnarmi, ma gli dovevo una spiegazione.
Mi voltai abbracciandolo ma non misi il ginocchio a cavalcioni sul suo corpo come facevo sempre, avevo paura ad allargare le gambe.
Sospirai chiedendomi se era già tutto finito o quanto ci sarebbe voluto ancora.
"Buongiorno!" sussurrò tra i miei capelli arruffati.
"Giorno" risposi fingendomi assonnata ma i miei sensi erano già in allerta.
"Amore, devo chiederti un favore, ho bisogno che mi accompagni in un posto."
"Ti porterei sulla luna se avessi un razzo tutto mio!"
Sorrisi alla semplicità della sua affermazione, a volte sembrava proprio un bambino felice."
"Questa notte ho avuto un ciclo un po' abbondante e parecchi crampi, nulla di grave, ma vorrei farmi dare una controllata."
Non avevo bisogno di dargli altre spiegazioni, sapeva dell' amenorrea durante il ricovero in clinica e mi era sembrata la cosa più logica da dire per sviare ogni sospetto. Non aveva senso adesso dirgli della gravidanza, anzi col senno di poi fui felice di non aver parlato la sera prima. A volte credevo davvero a quel disegno divino che Tessa vedeva da tutte le parti.
Mi strinse in un abbraccio di quelli che ti rimettono insieme i pezzi e cominciò ad accarezzarmi la pancia in un massaggio delicato. Da principio ero tesa ma poi mi rilassai, se dovevo lasciarla andare almeno potevo sperare che avesse sentito l'amore del suo papà.
Lo sentii sospirare.
"Che succede?"
"Sai, ieri sera per un attimo ho pensato che volessi dirmi che qui abitava qualcuno."
Sorrise amaramente ritraendo la mano con cui mi aveva accarezzato.
Il cuore mi si strinse in una morsa di dolore e sentii le lacrime pungere gli occhi.
"Ti sarebbe dispiaciuto?"
Cercai di sembrare disinvolta ma in quel momento la sua risposta significava tutto per me.
Esitò.
"No! non credo, certo avrebbe incasinato un tantino le cose ma sarebbe stato un casino bello."
Il mio cervello ci mise un po' ad elaborare.
Aveva detto un casino bello, bello, aveva detto bello.
Mi liberai dal suo abbraccio e scesi dal letto a prepararmi, mi muovevo lentamente come se ci fosse ancora qualche speranza, ma sapevo che non era così.
Rimasi sorpresa nel vedere che le lenzuola non si erano sporcate e nemmeno la biancheria che avevo indossato pulita prima di coricarmi di nuovo a letto. Un barlume di speranza prese a tormentarmi il cuore. Mi dissi che dovevo smettere perchè ne sarei rimasta devastata ma poi pensai che mi avrebbe devastato comunque perchè, anche se non lo volevo ammettere, speravo che mi avrebbero detto che il pericolo era passato.
Il viaggio in bus per raggiungere l'ospedale fu un susseguirsi di scrolloni e buche, ad ogni avvallamento sussultavo e mi stringevo il ventre conscia che sarebbe servito a ben poco.
Arrivai piegata dal mal di schiena al reparto di ginecologia e ostetricia.
Un giovane infermiere che dimostrava più degli anni che aveva sulla carta d'identità e meno voglia di lavorare di quanta ne avessi mai visto in un essere vivente, mi inveì contro dicendo a voce ben alta e molto poco professionale che se non ero in gravidanza non potevo farmi visitare in quel reparto, avrei dovuto scendere due piani di scale e andare nel primo corridoio a destra.
Jason mi teneva la mano, troppo vicino per non percepire la mia risposta.
Sapevo bene che qualunque medico avrebbe capito cos'era appena successo, così annuii impercettibilmente e risposi:
"Sono di otto settimane!"
La mano di Jason strinse la mia, mi girai e vidi i suoi occhi carichi di lacrime ma illuminati da una luce nuova.
"Si sieda pure qui, signora, se suo marito vuole può farle compagnia, ma se sarà necessario un ricovero non potrà fermarsi."
Annuimmo.
Mio marito, aveva davvero detto mio marito.
Il cuore si gonfiò.
Ci sedemmo vicini per un tempo che sembrò eterno, mi accarezzava la mano con il pollice, senza dire nulla. Quanto apprezzavo questa sua qualità in questo momento, non avevo davvero voglia di spiegare perchè non gliene avevo parlato prima e soprattutto pensavo che fosse troppo intelligente per non sapere bene il perchè, soprattutto dopo quello che mi aveva rivelato la sera precedente.
Una donna con una pancia prossima a scoppiare uscì dalla stanza e l'infermiere di prima mi fece segno che potevamo entrare.
Mi cambiai con le gambe che stentavano a tenere il mio peso, tremavo fin nelle budella e non certo per il freddo, le guance erano roventi e le orecchie ronzavano.
Sfilai davanti ad un paio di medici e a Jason semi nuda e provai un'intensa vergogna. Venne in mio soccorso una ragazza che poteva avere si e no la mia età che si presentò come ostetrica e gentilmente mi invitò ad accomodarmi sul lettino.
Strizzai gli occhi quando il ginecologo mi chiese il permesso di visitarmi.
Jason seduto in disparte si contorceva le mani e di tanto in tanto se le portava sul viso.
Non percepii le parole che si scambiarono tra loro, udii solo una nuova richiesta da parte del medico, questa volta avrebbe eseguito un'ecografia per vedere cos'era successo.
Fui percorsa da un altro brivido quando il gel freddo venne in contatto con la mia pelle, poco dopo però ogni sensazione che proveniva da me dal mondo e dall'universo intero venne annullata da un unico suono: il battito del cuore della bambina.
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