La miglior cosa che mi sia successa.
La luce che filtrava dalla finestra semiaperta della mia stanza destò i miei sensi e insieme a loro la consapevolezza e la gratitudine per quanto avevo costruito nella mia vita.
Sospirai immaginando che sarebbe stata l'ennesima perfetta giornata della mia perfetta esistenza, accanto alla donna della mia vita.
Non potevo sapere che non lo sarebbe stato affatto, che di lì a poco tutte le mie certezze avrebbero iniziato a sgretolarsi e che il mio peggior incubo sarebbe tornato portandosi via ciò che avevo di più prezioso.
Emily era la mia ragione di vita.
L'avevo conosciuta nel momento peggiore della sua, triste, depressa, vuota, cercava un modo per morire, mentre io avevo solo bisogno di una ragione per vivere.
Mio padre se n'era andato l'anno precedente lasciando un vuoto incolmabile nella mia vita; era morto così, nel giro di un' ora, senza alcun preavviso.
Le circostanze della sua morte erano diventate per me un ossessione, ogni volta che restavo solo, con la mente sgombra da pensieri e incombenze, rivivevo l'intera giornata: ogni parola, ogni gesto, ogni fitta di dolore.
Era stato devastante, come uomo e come medico, ma soprattutto come figlio.
I miei colleghi accorsi con l'ambulanza mi avevano chiesto di farmi da parte, per non ostacolare il loro lavoro, potevo capirli, perchè non ero lucido.
Avevo già visto quella scena altre volte, il paziente a terra, le manovre di rianimazione, il massaggio cardiaco, il defibrillatore in funzione. Sapevo bene cos'era successo e cosa stava per accadere, il suo cuore si era fermato e in ogni modo avrebbero cercato di farlo ripartire.
Non ero pronto a quello che avrei provato.
Il mio corpo non ne voleva sapere di stare dritto, benché mia madre avesse un disperato bisogno di me, nel suo dolore composto, non ero riuscito a fare altro che stare accucciato in un angolo a fissare il corpo inerme di mio padre, pregando.
Anche se di famiglia cattolica, credente e praticante, in quel momento non erano affiorate alla mia mente le preghiere della mia infanzia, quelle recitate con la nonna nel lettone prima di addormentarmi. Il mio cuore era fermo su un solo desiderio:
"Ti prego, non sono pronto, non mi lasciare".
Era questa la mia preghiera silenziosa.
Ma ben presto, soffocato dallo strazio di vederlo torturare nel corpo, cercando in vano un alito di vita che non gli apparteneva più, avevo cominciato a chiedergli di lasciarsi andare.
"Non importa pa', mi riprenderò, tu va pure, a mamma penserò io".
"Vi prego, smettetela, non vedete il suo povero corpo?"
Il mio era scosso da profondi singhiozzi e tremori, non avevo il controllo del mio respiro e delle mie mani, tremavano come foglie al vento. Il sudore scendeva lungo la mia schiena, strappandomi un brivido che mi faceva accapponare la pelle, avevo caldo e avevo freddo allo stesso tempo.
Persistevo accucciato a terra, mentre lo portavano via, nel vano tentativo di salvare il salvabile.
Ero pur sempre un medico, sapevo bene che non c'era nulla da salvare, se ne era andato per sempre.
Era un mezzogiorno di maggio quando la mia vita cambiò, ogni sapore mutò nella sua essenza, ogni sorriso nella sua consistenza. Da quel momento nulla avrebbe avuto più senso, per me, nessun traguardo, nessuna gioia. Se non potevo condividerla con lui perdeva il suo sapore più profondo ed era un po' meno bella.
Col senno di poi ho capito che quel giorno ho chiesto troppo a me stesso ho affrontato il dolore nel peggiore dei modi .
Avrei dovuto gridare al mondo il mio dolore, strapparmi capelli, spaccare tutto, invece mi sono chiuso a riccio condannandomi ad una maledizione senza fine, quella di rivivere ogni istante ogni volta che chiudevo gli occhi.
Quando conobbi Emily avevo elaborato la mia distruttiva ma valida soluzione al problema: lavorare, lavorare come un pazzo.
Mi ero laureato da pochi mesi e avevo subito ricominciato a studiare per la specializzazione, in quel periodo non davo alla mia mente il tempo di riflettere, la tenevo impegnata notte e giorno. Era stancante sfibrante, ma era l'unica soluzione.
Lentamente le immagini vivide del suo viso contratto dal dolore, dello strazio sul suo corpo forte e solido fino a pochi istanti prima, si erano sbiadite.
C'era solo una condizione da rispettare, una regola che non poteva essere infranta in nessun modo: non dovevo lasciare spazio ai ricordi.
Avevo conosciuto Emily mentre cercavo una ragione per andare avanti.
Era arrivata alla clinica il giorno precedente, aveva cercato di uccidersi recidendo le vene dei polsi. Non aveva fatto un buon lavoro per sua fortuna, il danno ai tessuti era minimo, era la sua mente quella più danneggiata.
Era giovanissima e non aveva un briciolo di voglia di vivere.
Eravamo così simili eppure così diversi.
Giovani.
Persi.
Lei cercava disperatamente un modo per morire e io per vivere.
Com'ero solito fare in quel periodo della mia vita, esaminai minuziosamente la sua cartella clinica cercando ogni dettaglio che potesse aiutarmi a fare un buon lavoro.
Era giovane in piena salute, ricca con davanti a sé un futuro promettente, allora perché non aveva più voglia di vivere?
Qualcosa doveva esserle successo.
Immaginai, come nel mio caso, che solo pochi fossero a conoscenza del trauma che l'aveva indotta a fare quella scelta, lo sapevo bene anch'io, talvolta farla finita sembrava l'unico modo per terminare la propria sofferenza.
Benché fossi ancora totalmente assorbito dal mio dolore, e forse anche per questo, decisi di studiare il suo caso a fondo, volevo aiutarla a trovare una ragione per vivere e immaginai che forse insieme a lei l'avrei trovata anch'io.
Sapevo che non sarebbe stato facile, ma alla fine ci ero riuscito, ero stato ripagato per la mia forza e la mia fatica e il suo sguardo allo specchio in quella mattina qualunque ne era la prova.
Le schioccai un bacio leggero sul collo suscitando un sorriso sincero e rilassato sulle sue bellissime labbra.
Era stata questa alla fine la mia magia, farla sorridere e mi riusciva molto bene.
"Buon lavoro amore e buona giornata!" le sussurrai lievemente sul collo.
"Buona giornata a te tesoro, ci vediamo sta sera", mi rispose afferrando la borsetta intenta ad uscire dalla porta.
Mia moglie era una donna molto impegnata, un avvocato di successo, solida e centrata.
La amavo profondamente, da impazzire e lei amava me e non perdeva occasione per dimostrarmelo. Le sue manifestazioni di affetto, che confermavano quello che speravo provasse per me, erano fondamentali per la mia stabilità, avevo scommesso tutto su di noi.
Il mio animo però non si era mai placato del tutto, per anni avevo vissuto con l'ansia di perderla e ogni volta che la vedevo uscire, una fitta allo stomaco mi ricordava quanto fosse importante la sua esistenza per la mia.
Per anni avevo vissuto con l'incubo che il suo ex fidanzato tornasse, che sbucasse dall'oblio che l'aveva inghiottito quasi vent'anni prima, reclamandola nella sua vita nuovamente.
Per anni avevo temuto che la figlia che avevano generato ancora giovanissimi bussasse alla porta strappandola dalle mie braccia.
Si dice che ogni anima abbia un angelo custode, un'altra anima affine pronta a salvarla dalle tenebre del dolore, il mio angelo mi viveva accanto ogni giorno e aveva fatto della mia vita, il suo capolavoro.
In tutto e per tutto Emily era la miglior cosa che mi fosse capitata nella vita.
Sospirai uscendo dal circolo vizioso di questi pensieri ansiogeni.
Emily non sarebbe mai andata via da me.
Solo una persona avrebbe avuto il potere di attirarla a se con un solo sguardo, un'uomo che tutt'ora, seppur raramente, tormentava ancora i suoi sogni, o i suoi incubi. E io pregavo ogni giorno da quasi vent'anni che questo non accadesse.
Mi affrettai verso il bagno ripetendo a me stesso che non avevo nulla da temere.
Spazio Sue
Spero di non deludere le vostre aspettative ma avevo bisogno di riabilitare la figura di Jake, che da Lies era uscito davvero come un codardo.
Ho approfittato di lui per raccontare il momento peggiore della mia vita, il giorno che il mio papà se ne è andato per sempre. Ho cercato di tirare fuori il dolore che tengo sepolto dentro, ci sono riuscita ma solo in parte, come Jake avrei dovuto gridare forte e spaccare tutto ma tutt'ora non sono ancora stata in grado di farlo.
Vediamo dove ci porterà questa storia.
Buona lettura mie care!
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