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Capitolo 2 - Loretta Van Vuich [Revisionato SENZA ILLUSTRAZIONI]


Dall'altra parte della foresta, dove sembrava regnare soltanto la natura incontaminata, c'era ancora qualche umano che abitava lungo quella valle.

Opportunamente distanziato dai loro nemici, ma c'era.

Un piccolo regno, stanziatosi sulla parte più a nord della regione, era stato fondato da oltre vent'anni, su un pezzo di costa tondeggiante, a pochi chilometri da Capo di Rovotorto.

Si chiamava Katel' Seas.

Dovete sapere che, per poter tenere il controllo della regione, da Roccavento furono spediti delle legioni per contrastare i fuochi nemici.

Ma quando i fuochi della battaglia si erano attenuati, due di queste legioni pensarono bene di stanziarsi tra quelle luminose e ricche spiagge protette dai colli.

Così, organizzando tra loro le risorse e aumentando la produzione dei beni necessari, in pochi anni arrivarono al punto di diventare autosufficienti.

Così i soldati portarono nelle ex trincee le loro famiglie e allargarono il perimetro dei loro confini.

Fu allora che esse, sotto l'egida dei nobili dell'Alleanza, diventarono una città fortificata con piccoli castelli.

Queste due legioni divennero Katel'Seas, un regno abitato da umani , governato dal ex generale divenuto re per grazia divina Samuel Van Vuich.

La seconda parte della nostra storia continua proprio alle porte di questo piccolo regno di pietra.

"Preso tutto quello che serve, principessa Lort?" trillò Sir Lou, con aria entusiasta, mostrando il suo inconfondibile sorriso a trentadue denti.

Il pugno trionfante puntato aspettava la risposta.

"Sissignore! Prontissima!" rispose la sua allieva con voce tuonante, battendo il pugno su quello del suo gran maestro.

A parlare erano stati Sir Louis Di Vento Glorioso, un maestro d'armi , e la sua migliore allieva, la figlia e unica erede del re di Katel'Seas Samuel Van Vuich, la Principessa Loretta " Lort" Van Vuich.

Sir Louis, Lou per i suoi allievi, si mise nella sua posa da paladino, con pugno sinistro sul fianco, mano destra con l'indice puntato verso il cielo, e urlò a pieni polmoni: "Per portare la Luce e la Giustizia nel mondo!".

La sua allieva lo imitò, affiancandolo: "Per la Luce e la Giustizia!".

Loretta era al settimo cielo dalla gioia: finalmente stava per intraprendere il suo primo viaggio fuori le mura del suo regno, in compagnia del suo allenatore e cavaliere preferito.

Il padre, come ex generale di guerra, quando sua figlia, all'età di soli otto anni, gli aveva chiesto di voler diventare un cavaliere, aveva consentito alla sua richiesta .

E si era allenata per tredici anni insieme ai suoi compagni cavalieri, condividendo gli stessi spazi e imparando così cosa volesse dire la lealtà e il lavoro di squadra.

Sir Lou, un grande eroe di guerra, Paladino della Luce in pensione (ma solo sulla carta) si era dedicato alla sua educazione, insegnandole tutte le regole della cavalleria e dell'onore, facendola diventare una fanciulla forte, robusta e capace di difendersi da sola.

E il giorno del suo ventunesimo compleanno, Lort si era rivolta a suo padre , e con coraggio gli aveva detto quale fosse stato il suo desiderio più grande: farsi ambasciatrice della pace tra i due mondi, il suo regno e quello dei troll!

Si era preparata per tutta la vita a questo!

Il padre era sconcertato: sperava che la cavalleria l'avrebbe ovviata da quella sua sciocca ossessione per i troll.

Non pensava che facesse tutto parte di un progetto a lungo termine.

Non avrebbe mai dato l'approvazione.

Aveva provato di tutto per farle cambiare idea, persino creare delle prove per scoraggiarla.

Ma sua figlia si era dimostrata più forte e tenace di quanto pensasse, e le aveva superate tutte.

E così, il re suo padre si ritrovò a stare lì ,in piedi davanti ai cancelli del suo regno, ad osservare sua figlia e quello sciocco del suo allenatore, che si davano a inappropriati colloqui gigioneschi e discorsi di auto-incoraggiamento.

Aveva l'aria imbronciata.

A malincuore, doveva dare la sua parola e veder sua figlia lasciare il suo nido .

"HA-HA! Sapevo che ce l'avresti fatta! – tuonò il Cavaliere, improvvisando una partita a braccio di ferro con Lort – il tuo entusiasmo ti ha guidato durante le tue prove, la tua sicurezza ha guidato la tua penna mentre scrivevi la risposta giusta ad ogni domanda! E l'hai fatto tutto da sola!".

Per un secondo, la presa del braccio della fanciulla cedette, ma Lort spinse ancora di più , facendo piegare il braccio del maestro dalla parte opposta.

"Certamente, maestro!" urlò lei, riuscendo a far battere il pugno del suo nemico a terra.

Il Maestro aveva detto penna perché in effetti, l'ultima prova a cui ha dovuto partecipare Lort era una prova scritta, ben diversa da quelle precedenti di forza e di agilità a cui era stata sottoposta.

Il padre gliel'aveva imposta perché sapeva quanto sua figlia non fosse brava nelle materie teoriche tanto quanto in quelle pratiche, come la scherma o la lotta, e sperava così di incastrarla.

Né lui né il maestro sospettavano che durante la prova scritta, Lort avesse imbrogliato.

La sua cameriera, sapendo quanto la principessa non fosse eccelsa nello studio, le aveva passato le soluzioni sotto il tavolo.

Lei aveva rapidamente copiato e consegnato poi il foglio ai giudici.

Lo sapeva che era contro ogni suo principio quel gesto, ma non poteva perdere la sua grande occasione.

Solo per questa volta, si era concessa quella piccola azione immorale.

Il fine giustifica i mezzi, aveva letto lei da qualche parte nel suo barboso libro di antologia.

Con un colpo di tosse, il sovrano attirò l'attenzione dei due matti.

"Dunque... hai vinto, Loretta. – annunciò il re, avvicinandosi a lei con aria seria – volevi andare a... portare la pace dai Troll... e adesso stai partendo. E chissà quando tornerai. Chissà se tornerai. Ma tanto a te non importa dei capelli bianchi che fai venire alle persone che ti vogliono bene. Perché alla fine fai sempre quello che vuoi tu. Non è vero?".

Il sorriso del maestro di Lort si inclinò di fronte alle parole fredde del re, e non osò dire una parola.

Dopotutto, era il suo signore.

Lort invece ruotò gli occhi con aria annoiata: di nuovo suo padre tentava di usare i sensi di colpa per fermarla.

"Padre... in casi come questi dovresti essere felice per me e augurarmi buona fortuna, non cominciare ad avere i tuoi soliti pensieri negativi.- rispose lei, grattandosi la pancia – non costringermi a divenire volgare e fare gesti scaramantici sulla mia persona...".

"Lort!- la fermò il padre, tuonando, poi prese un profondo respiro e continuò – cerchiamo di salutarci in maniera civile, almeno stavolta. Va bene?".

"Hai cominciato tu!" si lamentò con tono infantile lei, incrociando le braccia.

"Non sarò mai d'accordo a lasciarti andare, lo sai. Non per una causa persa come questa. Sei ancora in tempo a cambiare idea se vuoi... lo sappiamo tutti e due che non riuscirai mai a portare la pace tra noi e i...".

"Ci sarà, padre!" - lo sguardo della ragazza si infuocò - "Sono sicura che ci sarà. Non aspettavo di fare altro da una vita!".

Il padre allora assunse una faccia sconvolta.

"Nelle tue condizioni, vuoi andare ad affrontare il Re dei Troll?"

"Quale condizione? Io sto bene." Esclamò Lort, allargando le braccia.

"Non negarlo Lort .- il poveruomo ci mise un po' a dirlo - Il tuo... plesso solare!".

Alla nascita, Lort era stata considerata cagionevole di salute. La madre era morta per darla alla luce, ma non le aveva dato abbastanza forze per vivere.

Era nata con un petto malformato, e a causa di questo, non urlava né respirava come i comuni neonati dovrebbero fare.

Suo padre, in preda alla disperazione per aver già perso una moglie e col rischio di perdere la sua unica figlia, accettò di sottoporre il corpicino moribondo della bimba ad un antico rituale.

Nel mondo di Azeroth, ci sono diverse entità ultraterrene dotate di poteri straordinari. Tra queste, ci sono i draghi.

Draghi rossi ad esempio, capaci con il loro alito infuocato di distruggere intere città. Ma anche di donare la vita.

Il padre l'aveva spesso incantata da piccola della storia di un uomo, che quella sera si era presentato al cospetto di suo padre, e si fosse palesato essere uno di quei draghi.

E di come, spalancando le possenti ali, avesse soffiato il fuoco vitale sulla sua culla e l'avesse salvata dalla morte.

Tra di loro, quel magico e unico evento, lo chiamavano il Battesimo del Drago.

Da quel momento, la bimba crebbe come tutti gli altri bambini, tranne che si vociferasse in giro che quella creatura fosse dotata di un incredibile invulnerabilità: nessuna lama la può far sanguinare, nessun fuoco le può bruciare la pelle, niente le può far del male.

Ma c'è sempre un punto debole: la malformazione nel petto non era stata curata del tutto dal soffio del Drago, e perciò resta la sua parte più vulnerabile.

Benché respiri perfettamente adesso, sotto il petto Lort aveva un enorme livido violaceo, incorniciato da uno strato di pelle pallidissima, come se in quel punto la pelle marcisse.

Se soltanto si sfiorava lì, iniziava a tossire sangue e a perdere le forze.

Potete immaginare come, oltre a quel fardello, Lort si fosse trascinata nel corso degli anni anche l'iperprotettività di suo padre, che non aveva mai smesso un solo giorno di tenerla d'occhio per proteggerla. Persino da se stessa.

"Ah, quello starà bene – si affrettò a rispondere lei, fingendo noncuranza - ho la corazza elfica, ho la maglia di metallo magica... e ho il miglior allenatore barra guardia del corpo che c'è in circolazione!" concluse lei, battendo la mano sulla spalla di sir Lou, che si gonfiò fiero come un pettirosso nella stagione degli amori.

"Si è preparata bene, maestà! Ha! Saprebbe sollevare in aria un uomo di trecento chili e stenderlo a terra!" commentò il maestro, dando un colpetto affettuoso alla guancia della sua allieva.

Ovviamente stava esagerando per rassicurarlo.

Però Lort aveva sì le abilità necessarie per schivare i suoi colpi e stenderlo, anche senza impugnare un'arma.

Il re tirò un sospiro rassegnato: se non fosse riuscita a portare la pace, nelle migliori delle ipotesi sua figlia sarebbe tornata a casa con la coda fra le gambe, dopo averle prese da quelle orribili creature .

E magari , sempre rispettando la volontà di sua figlia, avrebbe provveduto a chiuderla ermeticamente nelle mura del castello, così da essere sicuro che non l'avrebbe lasciato mai più!

Ma quest'ultima cosa solo se l'avesse voluto lei, eh!

Era giunto il momento dei saluti: il padre abbracciò la figlia stringendola a sé, come se non volesse più lasciarla.

La dovette tirare via Sir Lou.

Presero i loro bagagli e si incamminarono attraverso la foresta, l'unico confine, oltre le mura del regno, che li avrebbe portati verso Rovotorto.

"Sta ancora lì?" chiese lei, continuando a guardare avanti.

"Qualche minuto fa ci stava fissando dalle mura, principessa. Ora siamo coperti dagli alberi, non credo che riesca più a vederci." Rispose sir Lou.

"Assaffadia." mormorò lei, rilassando le braccia e spingendosi più avanti.

"Come?" chiese il suo maestro, non capendo il significato della strana parola che aveva appena usato.

"E' gergo trollese. Significa bene. Meglio così. Meno male." Spiegò lei.

"Strabiliante! – esclamò lui, ridacchiando - vedo che ha preso davvero a cuore la missione! Addirittura imparare la loro strana lingua! Ha-Ha! Non ci avrei mai pensato!".

"E questo perché non avete visto il mio travestimento!" dichiarò lei, sollevando la grossa sacca che portava con sé.

Il Cavaliere esplose in una fragorosa risata.

"Meraviglioso! Colossale! Geniale! – commentò entusiasta – un travestimento! Li vuoi sorprendere con la classica imboscata! Splendido!".

"Beh, non proprio. - lo corresse lei – la mia vuole essere un'imboscata... pacifica. Non si dimentichi maestro che siamo qui per portare la pace ...".

"Sì ma non dimenticare che i troll sono inclini alla violenza, Lort – la fermò lui, assumendo un tono serio - non sono portati a conversare col primo umano che vedono. Attaccano subito! Senza darti il tempo di pensare! Quindi spero che i tuoi polpacci siano pronti a correre per fuggire , nel caso dovessimo incontrarne uno..."

"Fuggire? Maestro! Non la riconosco più! – Lort si finse delusa dalle sue parole – io non fuggo davanti ad un troll. Io mi preparo ad affrontarlo!".

E detto questo, estrasse la spada che portava sul fianco, puntandola verso gli amati baffi del cavaliere.

Dapprima la guardò ancora con quel viso serio.

Anche se era un inguaribile ottimista, dentro di sé non poteva non essere preoccupato dei pericoli a cui la sua futura sovrana stava per andare incontro.

Ma era anche vero che era un maestro molto orgoglioso, e che ci teneva a dare il buon esempio: se avesse fatto trasparire le sue preoccupazioni ad uno dei suoi allievi , temeva di perdere credibilità.

Così fece curvare i lati dei suoi baffi all'insù, esclamando: "HAHA! Questo è lo spirito giusto, mia cara!" .

Continuarono a camminare.

Il Cavaliere marciava col petto all'infuori e sguardo all'insù, fiero, e Lort lo imitava, come aveva fatto da sempre, da quando lo conosceva.

Lort non era mai stata così felice.

Mai era stata così attenta ad ogni più piccolo dettaglio che le si mostrava davanti agli occhi, lungo il suo cammino.

Il sole tra gli alberi che creava dei giochi di luce e ombra.

Il canto di qualche uccello tra i rami.

L'aria fresca e il rumore delle foglie che calpestavano.

La sua mente era tutta concentrata sul presente.

Una persona può essere felice se riesce per un solo istante, a puntare la sua mente e i suoi pensieri su quello che ha invece che su quello che ancora non ha? Lort in quel momento credeva di sì.

Il suo sguardo non era più rivolto al fuori, al domani, perché quel domani, così tanto sperato, lo stava vivendo.

E mentre respirava la libertà , un solo pensiero le veniva in mente.

"Non vedo l'ora di avere il mio primo incontro con un troll. Chissà come sarà...".

Il Gurubashi dalla carnagione cobalto allungò i passi oltre le mura della capitale.

Dei due seccatori, che avevano confessato a lui di averlo denunciato per evasioni fiscali, non ne sentiremo più parlare.

Mai sbaglio più grande avrebbero potuto fare.

Non gli importava di quale sarebbe stata la pena per lui.

Ormai non aveva più niente da perdere, a parte le sue adorate zanne da mammut.

Perciò aveva iniziato a muovere gli ingranaggi nel suo cervello da troll per capire come risolvere il suo problema coi debiti.

Dopo un po', si fermò davanti alle porte della città.

Inspirò profondamente... e poi urlò.

"Ah! Mannaggia a me e a chesta capa che c'ho!".

Si sfogò così, con i pugni alzati al cielo e gettando un urlo così forte che spaventò i bambini che stavano giocando lì attorno, che corsero lontani da lui.

Abbassò le mani ai fianchi e sbuffò, con viso imbronciato.

Non era riuscito a cavare alcuna idea da quel suo cervello da troll.

"So' proprio senza speranza. Comme ho fatto a ridurmi accussì ?" Disse tra sé e sé, autocommiserandosi.

Queste affascinanti creature coi denti sporgenti, così come gli orchi, non sono mai stati famose per essere dei pozzi di scienza.

Ma, nonostante la fama di spietati assassini e devastatori di popoli, nel profondo sono creature semplici, e come tali, amano risolvere i problemi con la massima semplicità.

Del tipo, se qualcuno ti minaccia o ti dà fastidio, dagli un colpo in testa con la tua mazza o la tua ascia. Semplice.

Anche le razze più evolute, come gli Zandalari, nel profondo covano questo delicatissimo tratto.

E Jehn, su questo punto di vista, si vantava di essere un troll molto pragmatico, per quel poco di cui si poteva vantare.

Perciò, girando la testa verso l'enorme portone che gli si richiudeva dietro, e poi rivolgendola verso la vastità della foresta che si presentava davanti a sé, pensò di risolverla in questo modo:

"Andrò nella foresta e saccheggerò qualche cacciatore di passaggio. Al limite entro proprio nel regno degli umani e rubo qualcosa.".

E si incamminò, leggermente risollevato da questa decisione presa.

"Tanto... che male possono fare?" ridacchiò lui, stringendo a sé la sua preziosa mazza.

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