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Piove a dirotto

"Amore la mia anima squassa
come vento che sul monte tra le querce si abbatte
Ecco che Amore di nuovo
mi dà tormento;
Amore che scioglie le membra,
Amore dolce e amaro
fiera sottile e invincibile"
Amore dolce e amaro, Saffo

Piove a dirotto, diluvia. Ma in realtà c'è il sole, il cielo è terso. Sono un ossimoro, come di consueto.

In superficie pare vada tutto bene, la volta celeste non s'accorge della tempesta intrisa nelle mie membra.

Da bambina notavo le precipitazioni e ingenuamente supponevo che, mentre io ero aggrovigliata nella solitudine del mio dolore, le nuvole piangessero per me, per illustrarmi la loro vicinanza. Oggi mi sento tradita e abbandonata anche da questo cielo sereno, privo di empatia.

Dentro di me piove incessantemente, talmente tanto che le gocce si tramutano in lacrime, sgorgano fuori dalle orbite appannate e mi inondano il viso.

Vorrei porre fine ai miei singhiozzi e alla mia sofferenza. Sono inghiottita dal vuoto che percepisco nel torace, alla reiterata e disperata ricerca di un espediente per esorcizzarmi.

Le mie vene e le mie arterie sono strade sommerse, dove le auto galleggiano e ogni organo auspica che questo supplizio eterno termini presto.

Mi impongo di apparire resiliente, in compagnia mi lascio condurre dall'euforia, ma da sola sono ghermita e avventata in questa angoscia.

Desidero non vederti mai più.
Mi manchi, vieni qui.

Ti odio.
Ti amo.

Sei la ragione della mia pioggia viscerale, eppure bramo che sia tu a confortarmi. Nella mia mente riecheggia quella citazione che ripetevi perpetuamente: Sei il mio ombrello quando piove, mi proteggi dalla pioggia.

In questa agonia non ho minimamente la concezione di dove siano sopraggiunti i nostri ombrelli. Non comprendo se sia stata la pioggia ad averli deperiti o se essi abbiano aizzato l'acquazzone che imperversa nella mia vita.

Vorrei essere rimasta spaiata in prossimità del nubifragio fin dal primo istante, perché aver appreso cosa significa essere al riparo rende la situazione meno tollerabile. Se non ti avessi conosciuta, prima o poi avrebbe cessato di piovere. Avendoti al mio fianco, avevo l'impressione che saltuariamente l'acquazzone si placasse, invece successivamente si riavviava più insopprimibile di prima, soprattutto a causa tua.

Tuttavia eri il mio arcobaleno, l'unica ragione del mio sorriso. Mi elargivi l'ossigeno ogni volta che il mio corpo me ne espropriava ed ero sempre certa che, per ogni eventualità, ci sarebbe stato il mio ombrello a soccorrermi. Ora non so più se sto risolutamente affogando nel mio corpo o se l'afflizione possa rivelarsi il mio salvagente.

Hai paragonato la nostra relazione a un vicolo cieco e mi hai proferito che non possiamo cambiare strada insieme, come se fossi stata io la negligente. Al contrario sei stata tu a erigere quel muro. Sei passata dal demolire le mie barriere difensive al murarmi viva in questo incubo.

Forse la più grande condanna è stato il fatto che il nostro rapporto non si sia mai edificato sull'essere felici insieme, ma sul salvarci a vicenda, risolvere i nostri dilemmi e sopperire alle nostre puerili mancanze. Ma l'amore non salva la vita, ognuno deve salvarsi da solo. L'ho assimilato troppo tardi, quando mi avevi già adescata e confinata nella tua morsa. Ci siamo solo annientate a vicenda, confidando nel compiere un'impresa irrealizzabile.

Credevo davvero che tu potessi salvarmi dalla mia ansia asfissiante, dai miei attacchi di panico inarrestabili, dopodiché sei diventata la sorgente della mia asfissia, del mio sgomento. Persino adesso, mentre scrivo, avverto questo apprensione irrazionale nel ventre, la quale si mostra come una rampicante intenta a torcermi il collo con le sue radici.

Mi hai intrappolata ulteriormente in un tripudio depressivo da cui ritenevo mi avresti liberata. Ora non mi resta altro se non essere sopraffatta e straripare a causa dei miei argini deteriorati.

Io volevo innocentemente trascorrere del tempo con te, tu contrariamente mi ricattavi cosicché io cedessi alle tue estorsioni e smettessi di starti accanto. Avevo l'amorevole intenzione di accompagnarti a casa, mentre tu lastricavi per me il percorso verso l'inferno.

Ardevo dal desiderio di portare via i tuoi dispiaceri, temevo di causarteli, perciò mi privavo del mio benessere e della mia serenità per devolverli a te, che ritenevo più meritevole. Mi sono sempre tenuta tutto dentro per tutelarti, per evitare che il mio dolore infierisse sul tuo. Non è servito a nulla, ho solo prolungato la mia agonia e inasprito la tua avversione.

Non volevi che io stessi con te, me l'hai scritto chiaramente. Però avresti dovuto svelarmelo mirandomi negli occhi. Elemosino amore da tutta la vita, perciò indottrinarmi falsità invece di scagliarmi la verità in faccia è stato ancora peggio. La tua giustificazione? Non intendevi offendermi. Grazie, hai ottenuto l'esito contrario.

Ho solo preteso che tu fossi sincera con me, perché da piccola ho vissuto in un castello di menzogne. Mi hai giurato che mi avresti assolta da questa spietata consuetudine. Eri l'unica di cui mi fidavo sconsideratamente, mi rifugiavo nella tua presunta autenticità. In realtà non ero a conoscenza di niente.

Mi amavi, hai ottenuto un'ingente responsabilità e mi hai reputata un errore. Asserivi che ero tutto per te, ma hai taciuto la seconda parte. La frase effettiva era sei tutto ciò di cui mi pento. Così è esatto, vero?

Ti sei allontanata per sanare il tuo sbaglio, intanto che frantumavi me. Mi fa un po' sghignazzare amaramente questa definizione: mi sono sempre valutata un equivoco e un peso, tu l'hai confutato e  hai tentato di indottrinarmi il contrario. Avevo addirittura cominciato a essere meno scettica, mi sentivo più sicura. Adesso invece è emerso che è fedelmente ciò che pensavi, è probabile che ti facessi solo pena.

Eppure quell'errore ti avrebbe offerto la sua vita se fosse stato necessario, avrebbe fronteggiato qualsiasi insidia per te.

Mi hai estromessa dalla tua esistenza, ciò nonostante eri il nucleo della mia. Adesso non ho più certezze, sei l'epicentro del terremoto che mi sta impedendo di vivere.

Mi hai uccisa e detesto questo corpo infame che mi tiene ancorata alla terra, che ha aderito eccessivamente al tuo, quando mi abbracciavi e mi proteggevi.

Eri la mia casa, il mio rifugio, ma mi hai scagliato addosso le nostre valigie pullulanti di ricordi, che sono talmente tanti da costringermi a rimanere a terra torchiata dal carico. Mi piacerebbe poter ripercorrere i momenti insieme senza percepirli inquinati dalle tue bugie.

Te lo giuro, non comprendo più nulla. Non so cosa sia stato reale e cosa no. Mi pare di aver vissuto in una tragedia, dove di vero c'erano solo i miei sentimenti.

Ieri sarebbero stati nove mesi, casualmente pare una gravidanza. È proprio un sacrilegio che sia nato un bambino morto da un utero appassito, lacerato dalla poca pietà e la troppa violenza.

Probabilmente il fato ha predisposto che io debba affogare in questa fossa di lacrime e liquido amniotico, mentre tu mi prosciughi definitivamente l'anima fino a perderne l'essenza.

Piove a dirotto, diluvia. Però se scorgi bene, sta piovendo il sangue del mio cuore suicida, sospeso per le false illusioni e trafitto da vene aguzze e arterie micidiali.

Nota autrice:
La scrittura è il mio unico conforto e a volte i versi non mi accolgono a sufficienza, perciò ho ritenuto vantaggioso lasciarmi travolgere in prosa dalle mie emozioni. Mi auguro che questa one shot sia riuscita almeno a trasmettere qualcosa. Ad ogni modo, grazie per essere giunti fin qui e aver attribuito un senso al mio dolore. Se fosse possibile, mi piacerebbe leggere nei commenti la vostra opinione a riguardo.
Grazie ancora, vi stringo forte,
Aurora

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