𝟒
𝐊𝐚𝐢
6 anni prima
Era arrivata giusto da qualche mese, e di certo non era invisibile agli occhi degli altri. Non faceva nulla di particolare, eppure era come una calamita. Non potevi non posare gli occhi su di lei quando ti passava accanto.
Mi mandava in bestia, perché sapevo di non essere il solo.
Quando entrava, tutti si giravano.
Aveva solo quattordici anni.
Solo quattordici fottuti anni, ma era pericolosamente attraente.
Era appena entrata da quella porta, e io riuscivo a vederla a mala pena dalla stanza in cui stavo tenendo una lezione di armonia. Ho iniziato a fare avanti e indietro, mentre il ragazzo a cui tenevo la lezione cercava di suonare l'armonizzazione di una scala superlocria a scelta, ripetendola ad ogni minimo errore. Se c'era una cosa che sicuramente mi distingueva dagli altri insegnati della scuola era che pretendevo la perfezione, e il ragazzo lo aveva ben capito. Ad ogni nota sbagliata doveva tornare al primo accordo, e così via, fino a che non fosse riuscito a completarla tutta senza errori.
Ma in quel momento avrebbe potuto suonare anche la scala maggiore di do e non l'avrei notato, perché lì fuori c'era lei.
Mi mordo nervosamente l'unghia del pollice.
Sono agitato, e odio questa sensazione. Odio tutto ciò che questa ragazzina mi fa provare.
Vorrei sapere cosa sta combinando, cosa gli passa la testa. Come fa ad essere così magnetica?
Perché la penso costantemente, perché mi è entrata in testa e non vuole più uscire?
Oh Kai, lo sai benissimo.
Sono state quelle mani.
È stata quell'esibizione.
Quell'esibizione troppo perfetta per una quattordicenne.
Qualche settimana dopo il suo ingresso nella scuola, mentre io ero in pausa, tra una lezione e l'altra, l'ho beccata suonare.
Sapevo suonasse anche il pianoforte, però lei era lì per le lezioni di canto. Eravamo quasi in chiusura, mi mancavano ancora altri due ragazzi prima di andare, ma lei era lì, che aspettava i suoi genitori. Eravamo solo io, che attendevo l'arrivo del mio allievo, e lei, che ha fatto l'errore più grande della sua vita, quello di entrare nella sala.
La sala del pianoforte.
In alcune aule della scuola era vietato l'ingresso agli esterni, compresi gli allievi, se non con l'autorizzazione di noi interni. Veniva utilizzato per alcune registrazioni particolari, o l'aula veniva adibita per le prove a orchestre molto importanti, tra cui anche la Cleveland Orchestra. Quel pianoforte era il gioiello della Hyper, e Stephen lo trattava come se fosse un figlio.
Quella sala veniva pulita ogni tre giorni, non c'era mai nemmeno un briciolo di polvere su quel mantello nero di acero e mogano. Era anche l'ultima sala che veniva chiusa, da Chapman stesso, ovviamente. Solo lui aveva le chiavi di quella sala, e quante volte ho desiderato passare la notte lì dentro con quella creatura divina sotto le dita. Bisognava chiedere il suo permesso per suonarlo, e quelle poche volte che ho avuto l'onore ho avuto i sudori freddi ogni volta che sentivo i martelletti colpire quelle corde. Accordato e controllato ad ogni cambio di temperatura.
Eppure lei era lì, e non aveva chiesto il permesso a nessuno, e Stephen era a casa.
Come diavolo era riuscita ad entrare?
Aveva forzato la porta?
Cazzarola, era pur sempre una bimbetta, e quella non era una porta normale. Era stata fatta appositamente per evitare che qualcuno potesse entrarci facilmente, buttandola giù con un calcio.
Mi ero appena aperto la terza bottiglietta d'acqua della giornata, quando ho visto quella figura entrare silenziosamente in quella sala.
Mi guardai intorno, non c'era nessun'altro, e quello non era un sogno. Lei era entrata lì.
Sono sicuro di aver visto Stephen chiuderla, eppure lei è riuscita ad entrare.
Aspetto qualche secondo prima di avvicinarmi, fosse mai che decidesse di uscire. La scuola è immersa nel silenzio, e il ragazzo della mia lezione sta facendo nuovamente ritardo. Ne approfitto, e a passi felpati mi avvicino. La porta è socchiusa. Non è stata forzata la serratura, era aperta. A totale disposizione di qualsiasi persona. Non è possibile.
È seduta sullo sgabello, è così bassa che i piedi sfiorano di poco il pavimento, non arriva nemmeno ai pedali.
La guardo ammirare il maestoso pianoforte a corda davanti a lei, i tasti bianchissimi, e il mantello lucidato da poco. Si guarda intorno per studiare ogni singolo dettaglio della stanza. Rimane colpita dall'immenso soffitto, che tutt'ora, dopo anni, incute anche me.
Vorrei entrare, e sbatterla fuori a calci in culo, magari anche con una bella strigliata delle mie. Lei non dovrebbe essere qui dentro, non dovrebbe nemmeno guardarlo quel pianoforte, potrebbe consumarlo solo con gli occhi.
Questo non è il suo posto.
Il mio cuore perde un battito quando le sue mani si posano sui tasti in avorio ed ebano.
Ma sa almeno quanto costa quell'oggetto?
Sento una rabbia improvvisa farsi strada nelle vene.
Lo sta rovinando. Con quelle sue manacce. Ha avuto almeno la decenza di lavarle prima di entrare?
Dio, mi toccherà spiegare a Stephen che una ragazzina della scuola si è intrufolata nella sua sala, senza permesso. Devo assolutamente chiamarlo per dirglielo, prima che lo venga a scoprire da lui.
Non ha mai pensato di mettere delle telecamere? O forse già ci sono e non ne so nulla.
Sto entrando nel panico, e sto sudando.
E se stesse sudando pure lei? Rabbrividisco al pensiero delle goccioline di sudore che si posano sui tasti.
I miei pensieri vengono bruscamente interrotti quando le sue dita iniziarono a muoversi sinuose sulle note del Liebestraum n.3 di Liszt.
Non è lei che suona, è impossibile.
Come diavolo è possibile tutto questo?
Ci vogliono anni per arrivare a questo livello. Eppure lei è qui davanti a me che suona impeccabilmente.
Sbatto ripetutamente le palpebre, non è una visione, non è colpa di un calo di zuccheri.
È reale.
Furono quelle sue dita sullo Steinway Gran Coda dello studio mentre suonava da sola indisturbata – o almeno, lei credeva di esserlo -, senza mai sbagliare. Né una nota, né un accento, né una dinamica. Era tutto così perfetto, che ne sono rimasto estasiato.
È stata quella visione. Ne sono così ossessionato, che sogno quasi tutte le notti quella scena, sperando un giorno di poterla rivedere suonare.
Magari per me, solo per me, come quella sera.
Eccola lì, poggiata sul muro, mentre chiacchiera con un ragazzo.
No, quello non è un ragazzo, è Christopher, il chitarrista di Fya. Un mio coetaneo che sta palesemente flirtando con quella ragazzina.
E lo so per certo che sta flirtando, perché vedo come i suoi occhi peccaminosi si posano sulla scollatura non troppo volgare del suo vestitino. Lei adora questo tipo di attenzioni, lo vedo da come ride ad ogni sua battuta, dalle sue mani che sfiorano il suo braccio, mentre si stringe le braccia al petto per far risaltare il seno. Lei non può avere quattordici anni. Non può con quegli occhi, con quel corpo. Non ne ha.
Un improvviso bruciore mi colpisce alla bocca dello stomaco. È per colpa sua. È vederla accanto a quell'uomo. Vederla sorridere per un uomo che non la merita, per un uomo che sta approfittando della sua ingenuità per bearsi di quel piccolo spiraglio di pelle nuda.
Perché?
Perché sono così vicini? Perché nessuno gli dice nulla?
Perché non sono io?
Vorrei poter morderle quella pelle candida, fargli sentire il mio peso sul suo corpo, le mie mani intorno al suo viso, che le stringono i polsi, che le tirano i capelli.
Voglio essere il suo primo uomo, ad assaggiare quel fiore, prendermi la sua fanciullezza e marchiarla. Imprimere il mio profumo sulla sua pelle, così che la gente possa riconoscerla come mia.
«Maestro?» vengo richiamato all'attenzione dal mio alunno. Mi giro di scatto pieno di vergogna per essere stato sorpreso distratto, sperando di non esser stato per troppo tempo fisso a guardarla dalla porta a vetri dell'aula.
Doveva arrivare una ragazzina più piccola di quindici anni a rovinarmi la reputazione nella scuola, maledizione.
Raccolgo tutte le forze che ho per non girarmi nuovamente nella sua direzione, e terminare gli ultimi minuti della lezione, sperando di ritrovarla lì.
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𝐢 𝐧 𝐬 𝐭 𝐚 𝐠 𝐫 𝐚 𝐦 : @𝐛𝐞𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞𝐫𝐮𝐬𝐡𝐞𝐫𝐬, @𝐛𝐞𝐚.𝐫𝐞𝐚𝐝𝐛𝐨𝐨𝐤𝐬
𝐭 𝐢 𝐤 𝐭 𝐨 𝐤 : @𝐛𝐞𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞.𝐫𝐮𝐬𝐡𝐞𝐫𝐬, @𝐛𝐞𝐚.𝐫𝐞𝐚𝐝𝐛𝐨𝐨𝐤𝐬
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