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Capitolo 6



Mi fermo sul suo vialetto e faccio un profondo respiro.

Non so cosa diavolo mi è preso, forse ho esagerato, o forse, ho fatto la cosa giusta. In quel momento, avevo sentito qualcosa di forte e prepotente avvinghiarsi al mio corpo, prendendone completamente il controllo. Probabilmente, è stato tutto quello che è successo tre anni fa: se Maira avesse vissuto in un contesto diverso, migliore, oggi non avrei reagito come invece ho fatto.

O forse, mi sto solo giustificando.

Ho ancora il fiato corto. Qualcosa di caldo e bagnato scivola sulla mia palpebra, mi strofino l'occhio mentre il mio sguardo si disperde sulla casa del signor Foster. Riesco a vedere la sua sagoma, ma in un attimo sparisce, rimpiazzata dalla tenda.

Decido di andare a casa, prima che torni mia madre.

Mi catapulto in bagno. Sciacquo le mani con un po' d'acqua fredda, per togliere il sangue ormai secco. Fisso l'acqua tinta di rosso sparire e chiudo il rubinetto con uno scatto del polso. Mi guardo allo specchio, notando un taglio sul sopracciglio. Medico il tutto con il disinfettante, faccio una smorfia di dolore quando questo pizzica sulle ferite, metto un cerotto sul sopracciglio. Mi siedo sul bordo della vasca e fascio le mani con non pochi impedimenti: stanno ancora tremando.

Busso alla porta della stanza di Chris ma non risponde. Accosto l'orecchio, non riesco a sentire alcun rumore dall'altra parte.

Un profondo terrore inizia a scuotermi da dentro. Abbasso la maniglia più volte, con forza.

«Chris!» la voce ancora alterata, irriconoscibile.

«Noel, sei tu?»

Chiudo gli occhi. Le gambe mi stanno per cedere dal sollievo, poggio la fronte sul legno e sospiro.

«Sì... sono io»

Apre subito la porta.

«Hai sentito che casino c'era a casa di Maira?» poi guarda la mia faccia, le mani bendate, «Che hai combinato?» socchiude gli occhi.

La sirena di un'ambulanza suona in lontananza, il rumore del motore della macchina di mia madre la sovrasta.

"Perfetto, sono fregato."

La porta di casa si spalanca.

«Noel! Chris!» grida in fondo alle scale, in un impeto di disperazione.

Mio fratello mi guarda per un attimo, esitando, poi rivolge di nuovo gli occhi verso le scale.

«Siamo qui mamma» le urla di rimando.

Resto ad ascoltare i suoi passi, sempre più vicini, finché non spunta davanti a noi.

«State bene? Che ci fa l'ambulanza a casa di-Noel, che hai fatto?!» dice tutto d'un fiato.

Chris risponde prontamente al posto mio, senza battere ciglio, «Noel si è fatto male mentre mi dava una mano col frullatore, niente di grave. Riguardo all'ambulanza, non sappiamo cosa sia successo...» il suo tono è talmente tranquillo e pratico che mi sorprende.

Penso in fretta ad un modo per levarmi di torno mia madre, almeno per ora.

«Stavo per chiamare Maira, scusate un attimo»

Mi infilo in camera mia, chiudo la porta, mi siedo sul letto, ed esalo il secondo sospiro di sollievo della giornata. Nel corridoio le voci di mio fratello e di mia madre si sentono ancora.

"Sono davvero in debito con Chris".

Mi sdraio, affondando la testa nei cuscini. Rivedo l'immagine di David che viene scagliato via senza che io muova un dito, come se lo avessi colpito con una forza indescrivibile.

"Forse, Maira ha ragione. C'è davvero qualcosa che non va in me".

Riaffiora alla mente il suo sguardo spaventato, non l'ho mai visto prima, o almeno, non l'ho mai visto rivolto a me.

Non so come ho fatto a fare quello che ho fatto.

Qualcuno apre la porta della stanza.

«Tesoro?» si affaccia mia madre, il viso seminascosto, «Tutto bene? Come sta Maira?»

Mi rimetto seduto velocemente, un lieve senso di vertigine mi prende la testa.

«Sta bene... David è stato... male. Nulla di grave però.» cerco di non assumere un'espressione da pazzo.

«Grazie al cielo.» risponde sinceramente rincuorata, «Vuoi andare a farle compagnia in ospedale? Posso accompagnarti»

Scuoto la testa.

"Da come mi ha mandato via prima, è chiaro che non vuole vedermi".

«Vuoi mangiare qualcosa, allora?»

«No, ho un po' di male allo stomaco in realtà, credo che andrò a dormire ora... grazie.»

Lei annuisce con sguardo triste e richiude la porta.

Non so quando mi addormento e, a malapena so dove mi trovo quando mi sveglio.

Dietro le palpebre, riesco ancora a vedere scorci del sogno che mi ha fatto compagnia questa notte: ero sdraiato supino su una distesa d'erba, guardavo il cielo con un profondo senso di tranquillità. Quando, con la coda dell'occhio, scorsi qualcosa che volteggiava nel cielo, proprio sopra la mia testa. Mi inginocchiai immediatamente, affinando la vista.

Era un corvo.

Questo prese a scendere gradualmente verso di me, sempre volteggiando e gracchiando. Teneva stretto qualcosa tra le sue zampe, notai. Protesi le mani, e lui, fece cadere qualcosa di leggero sui miei palmi.

Dischiusi le mani e scorsi una piuma bianca.

Le penne vellutate si illuminarono sotto al mio sguardo, per poi dissolversi, colando in gocce iridescenti sulle braccia e tra le dita. La parte strana, è che ero convinto di sentire quel calore dolce e confortante scivolare sulla mia pelle.

Forse, se lo raccontassi a Maira ne sarebbe entusiasta, magari mi perdonerebbe, farebbe discorsi bizzarri su come sia tutto collegato alla magia.

"Già, magari".

Tolgo la fasciatura dalle mani per controllare come procede la guarigione. Il nastro di garze si srotola, cadendo ai miei piedi.

Spalanco gli occhi. La mia pelle è completamente intatta, nemmeno un graffietto.

Come se non fosse successo niente.

"Ma che ca...?"

«Noel sei sveglio?» la voce di Chris al di là della porta mi fa scattare sul letto.

«Uhmm... sì, sono sveglio» guardo di nuovo la mia mano, rigirandola più volte.

«Allora vieni, mamma ti vuole parlare»

La paura mi gela il sangue nelle vene, «O-ok, ora scendo, dammi un minuto...»

«No, ti vuole in camera sua» ribatte lui.

Mi rimetto la fasciatura alle mani, prendo un respiro profondo e un pensiero prende forma nella mia testa:

"Mi ha scoperto".

Il senso di panico mi stringe lo stomaco in una morsa, cerco di calmarmi, e vado in camera sua.

È seduta sul letto. Si sta rigirando il telefono di casa tra le mani, con aria assorta. Resto per un po' sulla soglia a guardarla in silenzio.

«Vieni a sederti» il suo tono di voce ricorda un morbido nastro di seta che avvolge un'incudine, la tipica voce che usa quando deve dirmi delle cose spiacevoli.

Mi siedo di fianco a lei, rigido, aspettando che parli.

«La madre di Maira, ha chiamato...» comincia a dire, «mi ha detto tutto quello che è successo ieri... ti ringrazia per aver preso le difese di sua figlia, ma ci teneva ad avvisarmi dell'accaduto. Noel, senti-»

«Aspetta. Mi dispiace, ok? Io ero infuriato, ho visto quello che lui le ha fatto e... ho perso momentaneamente la testa» cerco di difendermi.

Lei sospira, «Noel, tu sai che io non credo nella violenza, insomma, ti ho cresciuto secondo altri valori. Dovevi trovare un altro modo; chiamare aiuto, o la polizia. Non dovevi pensarci tu, capisci? Non puoi pensare di metterti nei guai per gli altri. E se rimanevi gravemente ferito? Lo sai che lui ha delle armi in casa-»

«Sai benissimo che lui faceva il militare. Nessuno crederebbe che un ex commilitone americano possa fare cose simili. Sarebbe stato uno spreco di tempo e poi... è successo tutto così in fretta, non pensavo di arrivare a questo»

«Non puoi saperlo Noel, la giustizia funziona, devi cominciare a-» la interrompo subito, furibondo.

«Se ci fosse giustizia, sapremmo chi è stato ad uccidere papà. E quella persona, sarebbe già in carcere. Di sicuro ora non sarebbe in giro a vivere la sua vita tranquillamente!»

Spalanca gli occhi, presa contropiede, «Noel è stato un'incidente d'auto. Quello che hai fatto tu è diverso: stavi per uccidere un uomo, volontariamente!»

Sbuffo senza riuscire a trattenermi, «Avrei fatto un piacere al mondo.»

Mi guarda con più sconcerto, se possibile, «Ma, cosa hai in quella testa? Che cosa ti sta succedendo? Non ti riconosco più.»

Il tono di delusione nella sua voce mi fa sentire come un bambino colto in fallo. Passano dei momenti nel più completo silenzio, poi, un tarlo si fa strada a morsi nella mia testa.

«Ha intenzione di denunciarmi?» le chiedo in un soffio.

«No, a quanto pare» e sembra esausta.

Tutto questo è strano.

«Devi includermi nella tua vita, voglio sapere che ti succede, cosa provi. Io, sto cercando di fidarmi, ho chiuso più volte uno e anche due occhi. Però, non credo che faccia bene a nessuno dei due se tu mi isoli.» i suoi occhi incrociano i miei, «sto pensando di chiedere un appuntamento con la dottoressa Collins.» colgo della tristezza nel suo sguardo, e paura, quella paura di dover iniziare tutto da punto e a capo.

«Io sto bene, ho solo difeso un'amica.» taglio corto, con voce ferma.

Appoggia i suoi gomiti sulle ginocchia, si mette le mani tra i capelli ed emette un lungo sospiro.

Con questa inclinazione del busto la catenella le esce dalla maglia e appesa ad essa, scintilla il ciondolo.

La chiave.

Dopo tutto quello che ha appena detto. Dovremmo essere sinceri l'uno con l'altro, dovremmo poterci fidare. Serro le palpebre per quella che mi sembra un'eternità.

Non sono sorpreso. Per niente.

«Devo solo pensarci» dico poggiandole delicatamente una mano sulla spalla, anche se, dentro di me, la delusione e la sfiducia bruciano come tizzoni ardenti.

«Pensaci sul serio questa volta, Noel. Mi serve che tu lo faccia, davvero.»

Esco dalla sua stanza, chiudendomi la porta alle spalle e ci resto appoggiato. Come può fare così? Pretende che la faccia entrare nella mia vita, ed è la prima a nascondermi le cose. Mi mordo nervosamente l'interno della guancia.

Non serve che mi protegga, ho solo bisogno di capire.

Guardo lo schermo del telefono per vedere se Maira mi ha lasciato qualche messaggio, ma non ho nessuna notifica, così, sospiro e guardo l'orario: se non mi muovo perderò il bus per la scuola. Corro a darmi una ripulita e bevo frettolosamente il caffè ancora bollente, che inevitabilmente, mi ustiona la lingua.

Mentre passo di corsa davanti casa di Maira, do una sbirciata attraverso le finestre, ma non vedo nessun movimento.

Aspetto con impazienza l'ora di pranzo, continuando a guardare l'orologio appeso in classe. Il tempo sembra scorrere sempre più lento. Al suono della campanella mi precipito fuori dalla classe, prima che si formi la calca di studenti davanti alla porta.

Siedo al solito tavolo lanciando occhiate inquiete per tutta la mensa. Tutti mi guardano in modo strano, forse per via delle fasciature. Tamburello impazientemente le dita sul tavolo e dopo pochi minuti, Maira fa il suo ingresso.

Sta parlando con due ragazze vicino alla soglia e ridacchia come se nulla fosse successo, ma, riesco a vedere da qui le occhiaie sotto i suoi occhi. Le saluta e si volta per avviarsi verso il tavolo dove sono seduto. Quando mi nota la sua espressione cambia radicalmente. Alzo la mano in un saluto imbarazzato e lei si avvicina lentamente, a testa china, i capelli le ricadono continuamente davanti alla faccia.  

Lascio andare il fiato, che non mi ero accorto di trattenere: pensavo mi avrebbe evitato.

«Ciao, devo parlarti.»

Si lascia cadere sulla panca di fronte a me tirando indietro i capelli, «Sono contenta che tu l'abbia detto»

Faccio uno sforzo disumano per sollevare gli angoli della bocca in un sorriso mesto, «Mi dispiace davvero per ieri. Io volevo soltanto che non ti facesse del male... tua madre ha chiamato la mia e-»

«Sì, le ho chiesto per favore di non farlo... ho cercato di prendere le tue difese, ma lei, sosteneva che tua madre doveva esserne messa al corrente.» mi interrompe, alzando gli occhi al cielo.

Il mio volto si dipinge di sorpresa e confusione, «Tu... tu hai preso le mie difese? Ma non eri arrabbiata con me?» abbasso la voce, tirando occhiate nervose intorno a me.

Guarda in basso, verso le sue mani intrecciate. «Non arrabbiata, più che altro... spaventata» risponde in un sussurro, tentennando un po'.

Mi ferisce l'idea che abbia paura di me, sa che non le torcerei mai neanche un capello.

«Comunque, la mia tesi che tu reputavi "poco probabile" è vera, alla fine.» mi fa un grande sorriso vittorioso, cancellando ogni sentimento negativo.

La guardo, l'espressione che deve sembrare un'enorme punto interrogativo stampato in faccia, perché lei si china in avanti e sottovoce dichiara: «Tu, hai dei poteri

«Aspetta, ti volevo dire proprio adesso che forse avevi ragione. Che fai ora? Mi leggi nel pensiero?» chiedo imbronciato, «E fai sparire quel sorriso, ti devo dire delle cose importanti».

Si fa di nuovo seria, «Qualcosa di grave?»

Scuoto la testa per rassicurarla, «Questa notte ho sognato un corvo che mi regalava una piuma bianca. Stamattina, quando mi sono svegliato, ho tolto le fasciature e guarda...» tolgo di nuovo la garza, e le mostro le mie mani.

Spalanca subito gli occhi in risposta.

«Ma come?! Ieri sembrava che avessi smembrato qualcuno con le tue stesse mani-» si ferma per un secondo, «aspetta un momento, ma allora ci credi anche tu!» grida più forte del dovuto.

«Già, e mia madre, ha la chiave del cassetto misterioso al collo. Proprio come avevi detto tu: l'ha tenuta.»

Si mette le mani davanti alla bocca, «Oh Cristo! Sono un genio, lo sapevo.»

Le faccio un altro sorriso forzato, devo frenare la sua gioia, perché la domanda che sto per porle mi sta assillando da ieri.

«Come ti senti?»

La sua eccitazione si smorza all'istante, si stringe nelle spalle, «Bene, credo.»

Lo sguardo scivola istintivamente sul suo collo, coperto dal colletto di un dolcevita e dai suoi lunghi capelli.

«E... com'è andata ieri? Sai, con tua madre e tutto il resto.»

«Be', hanno avuto una litigata abbastanza furiosa, così furiosa che pensavo sarebbe sfociata in un'altra rissa. Comunque, mia madre l'ha lasciato.» i suoi occhi si illuminano per un momento. «Mi ha... abbracciata e si è scusata con me.»

Le sorrido, felice che almeno una cosa sia andata per il verso giusto.

«Forse ha capito che sei meglio e molto più importante di un qualsiasi fidanzato.»

Fa un sorriso poco convinto, mentre dal suo zaino tira fuori il sacchetto del pranzo e lo divide con me.

«Come hai capito dei poteri, in ogni caso?» le chiedo mentre prendo un morso del tramezzino al prosciutto e formaggio.

«Ieri, mentre stavi andando a passo di carica verso casa mia, sai, quando ti ho fermato... ti si sono illuminati di nuovo gli occhi, di una luce dorata. Ed era proprio una luce, ne sono sicura stavolta.» spiega.

Stacca un pezzo di tramezzino, infilandoselo in bocca.

Rimango a fissarla, spaesato.

"Quindi, non era una svista dovuta al fatto che nelle vene avesse più alcool che sangue?"

Balena nella mia mente quella giornata, in mensa. Quando mi sono guardato allo specchio e ho colto dei bagliori strani.

«E poi, senza offesa... come puoi mettere uno più grosso e muscoloso di te k.o.?»

I pensieri inciampano gli uni sugli altri, «Già... ci ho pensato anche io» le rispondo ancora pensieroso.

Poi, mi viene in mente un'altra cosa,

«Maira, secondo te, perché non vuole denunciarmi?» ripenso a quello che ha detto mia madre, «Insomma, è una situazione in cui avrebbe solo da guadagnare.»

Tentenna un po', poi si guarda in giro, fingendo di non aver sentito.

Lo sapevo, sapevo che c'era il suo zampino in tutta questa storia.

«Allora... ?» insisto socchiudendo gli occhi verso di lei.

Alla fine, mi risponde con un sospiro, «In un primo momento voleva farlo. Poi, gli ho detto semplicemente che io avrei denunciato lui per quello che ha fatto a me, che ne avevo le prove... e, ecco... anche mia madre ti ha difeso comunque...»

Il mio sguardo inciampa di nuovo sul collo di Maira, i segni di quello che lui le ha fatto sono lì, anche se lei tenta di nasconderli.

"Non è giusto, deve essere libera di fare ciò che le pare".

Sto per dirglielo ma mi precede.

«Cambiando discorso, come hai intenzione di prendere quella chiave?»

Si vede chiaramente che non ha voglia di parlarne, così evito accuratamente qualsiasi domanda riguardo ieri che mi frulla per la testa.

«Non ne ho idea, per questo ho bisogno di te»

Mi sorride entusiasta e orgogliosa, «per caso, quando va a letto o mentre fa la doccia, se la toglie?»

«Non ci ho mai fatto caso. Anche perché non spio mia madre nella doccia» rispondo subito, inarcando un sopracciglio.

«Oh, andiamo! Sai che non intendevo quello, cretino.»

Trattengo a stento una risata mentre sbuffa.

«Sei fortunato che abbia tanta pazienza, e che ti voglia bene soprattutto.»

Cerco di assumere un'espressione seria davanti al suo sguardo assassino. Quando mi ricompongo lei continua a fissarmi offesa, con le braccia incrociate davanti al petto, «Sì, proprio esilarante.» sottolinea con ironia.

Il mio sguardo la oltrepassa, ed un forte senso di vertigine improvviso mi prende la testa quando la vedo: una ragazza sul fondo della mensa, oltre la schiera di tavoli. Sento i suoi occhi puntati addosso, la sua immagine è distorta e nonostante questo, un senso di familiarità si richiude sul mio petto.

"Io la conosco".

Non so se ho visto bene, ma sembra che mi abbia appena fatto un cenno di saluto con la testa.

Con la coda dell'occhio vedo Maira seguire la traiettoria del mio sguardo, per poi voltarsi di nuovo verso di me.

«Tutto bene? Che stai guardando?».

La ragazza si dissolve davanti ai miei occhi e insieme a lei, il senso di vertigine.

Apro e chiudo gli occhi ripetutamente.

La faccia confusa di Maira occupa tutto il mio campo visivo. Mi chino verso di lei da sopra il tavolo.

«Credo che le pillole non stiano facendo ancora effetto» dico a voce bassa, assicurandomi che nessuno mi senta.

Mi inumidisco le labbra, improvvisamente secche. E il suo sguardo scivola sulla mia bocca, dove si sofferma per qualche minuto, poi risale di nuovo fino ai miei occhi. Si scuote e annuisce annebbiata, mentre io torno a sedermi.

Non posso aspettare di trovare un modo per sottrarre quella chiave a mia madre. Mi stanno succedendo delle cose e ho bisogno di risposte ora.

"Al diavolo quella chiave".

«Forse dovremmo forzare quel cassetto» propongo deglutendo rumorosamente.

Le sue labbra si aprono in un grande sorriso pericoloso che però non raggiunge i suoi occhi, «Lascia fare a me.»

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«È solo una questione di leva e della giusta pressione» dice una Maira concentrata e vagamente infastidita, accovacciata davanti alla scrivania dello studio di mio padre.

Sta armeggiando con due forcine sul cassetto chiuso a chiave. Più passa il tempo, più sento di non abbracciare del tutto l'idea di ciò che stiamo facendo.

"Ma come cavolo mi è venuto in mente?" penso ansioso tra me e me.

Mi mordo insistentemente l'interno della guancia, finché non sento il sapore del sangue.

«Saremo al decimo tentativo oramai, possiamo anche lasciare perdere...»

Lei si ferma tenendo le forcine in posizione, volta la testa lentamente verso di me con uno sguardo che mi trafigge, ed io ammutolisco mentre si rimette al lavoro.

«Di che hai paura? Sono io che sto commettendo il crimine. Ed è pur sempre casa tua.» mi prende in giro.

«Be', io ho aiutato il criminale» obbietto sollevando il mento e incrociando le braccia al petto.

Mi guarda di nuovo, omicida.

«Ok, scusa MacGyver

Il suo corpo si scuote brevemente mentre ride. Ad un certo punto sento un rumore metallico, come di qualcosa che si sgancia.

«Credo che ci siamo.» annuncia tutta seria, lanciandomi una lunga occhiata.

Mi accovaccio immediatamente al suo fianco mentre lei tira con una mano il manico di ottone del cassetto.

Tratteniamo il respiro.

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