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Capitolo 4



Sta piovendo a dirotto. Chris si è appena seduto con noi sul divano e, con uno scatto repentino, mi strappa il telecomando di mano.

«A quest'ora ci sono i documentari, non voglio perdermeli.»

Lo guardo di traverso con la mano ancora protesa.

«Non potresti essere un ragazzino normale, tanto per cambiare?»

Non che mi interessi, stavo solo premendo i tasti a caso mentre ripensavo ancora a quella lettera, ora riposta nel cassetto in camera mia.

Ignora totalmente quello che dico, senza neanche cercare di nasconderlo, cambia canale e mette il solito documentario sugli animali.

«Ma certo Chris! Sei un genio!» urla Maira.

Lui rimane un attimo interdetto, e anche io.

«Non potresti stare dalla mia parte ogni tanto?» domando offeso.

L'ometto al mio fianco scrolla le spalle con aria annoiata, «E te ne rendi conto solo ora?»

«Oh, andiamo Chris, smettila di auto-compiacerti. I complimenti sono molto meglio quando te li fa un'altra persona.» lo provoco, guadagnando una smorfia in risposta.

«Senti tu, non so se quello che ho appena capito abbia a che fare col tuo problema, ma penso di avere qualcosa. Quindi smetti di perdere tempo a litigare.»

Allude alla lettera, credo.

«Vieni, andiamo a parlarne di sopra»

Sono curioso di sentire cos'ha capito.

Una volta arrivati in camera mi siedo sul letto, affondando nel materasso. Lei invece resta in piedi e cammina avanti e indietro.

I ruoli si sono invertiti.

«Quindi? Cosa mi volevi spiegare?»

Si ferma, prende il mio disegno dalla scrivania e me lo mette davanti al naso.

«Questo.» dice come se fosse la spiegazione a tutto.

"Bene, sta ufficialmente impazzendo anche lei."

«Mh... puoi spiegarti per favore?» chiedo lentamente, facendole alzare gli occhi al cielo.

«È la stessa civetta che ho sognato io, quella in cui ti trasformavi... queste sfumature...» sussurra mentre tocca il disegno, assorta nei suoi pensieri.

«Perché l'hai disegnata, Noel?»

«Non lo so, io... l'ho semplicemente fatta... mi sono lasciato trasportare, credo» le parole mi escono incerte.

«Esatto! Anche quando hai le allucinazioni provi la stessa cosa! Per questo pensavo...» sembra esitare per un momento.

«Cosa?»

«Non potrebbero essere segnali che qualcuno ti lascia per indicarti la strada?»

Scuoto la testa ridendo, «Non posso pensare che tu creda davvero a queste stronzate» commento con un ghigno.

Mette il broncio, «Ok. magari ho esagerato, ma sono sicura che queste cose sono tutte collegate! Dobbiamo trovare altri indizi. Cerchiamo nello studio di tuo padre!»

Freno subito il suo entusiasmo, «Maira, è impossibile che si tratti di mio padre, lui non c'è più

Ci pensa su un momento, contorcendosi le dita.

«Noel... non posso fare a meno di pensare alla sera della festa» dice arrossendo improvvisamente. I suoi cambi repentini di discorso mi fanno sempre girare la testa.

«Eri molto arrabbiato quella sera, giusto?»

Annuisco.

«Non riesco a smettere di pensare ai tuoi occhi che si illuminano e quel terremoto... ascolta, sono la prima a pensare che sia una follia, ok? Però...» prende un respiro per infondersi coraggio, «credo che lo abbia provocato tu.» l'ultima frase la dice tutto d'un fiato.

Ancora con la storia dei fanali al posto degli occhi. Era dannatamente ubriaca, se avesse visto anche un drago montare sulla schiena di Ben, non ne sarei sorpreso.

Apro la bocca per dirglielo.

«Aspetta prima di parlare, fammi finire il discorso. Mi sono informata sulle medicine che prendi e, ho scoperto che inibiscono le emozioni estreme. Nella maggior parte dei casi tu inizi a stare male o ad avere episodi strani quando sei fortemente sotto pressione, giusto?» obbietta lei.

Forse non proprio sempre, ma annuisco comunque. Voglio vedere fino a che punto arriva il suo ragionamento, ho la vaga impressione che si stia arrampicando sugli specchi.

«Ed ecco spiegato perché ultimamente non hai più le allucinazioni.» le lancio un'altra occhiata scettica.

«Dammi una chance Noel. Se non è vero possiamo lasciar perdere e ritornare alle nostre schifosissime vite... ci stai?» chiede con occhi supplichevoli.

Non riesco a credere a quello che sto per dire, però, il suo entusiasmo per i misteri mi trascina. E poi, se non dovesse essere giusta la sua teoria lascerebbe perdere questa storia. Al contrario, se le dicessi di no, continuerebbe a seccarmi a vita con tutte queste cavolate.

Insomma, tentare non nuoce.

«Ok ci sto, ma sappi che non credo a nessuna delle tue supposizioni» preciso io.

Saltella entusiasta, i capelli che le carezzano le braccia ad ogni salto e un sorriso enorme dipinto sulle labbra. Alzo mentalmente gli occhi al cielo.

Decidiamo di metterci a lavoro domani pomeriggio, dopo scuola. Mia madre andrà a fare delle commissioni e mio fratello è a un compleanno di un compagno di scuola. Così potremo stare nello studio di mio padre senza essere scoperti.

Lei è elettrizzata all'idea, io il contrario, ma cerco di essere il meno negativo possibile; forse, sente il bisogno di fare tutto questo per me, così smetterà di sentirsi in colpa.


---


Durante la scuola, Maira mi intercetta vicino al mio armadietto. Si guarda intorno e si avvicina con fare cospiratorio.

«Ho fatto delle ricerche sugli animali e il loro significato» la fisso interrogativamente, «tuo padre era un esperto nella storia dei nativi americani e la loro cultura, giusto?»

Richiudo il mio armadietto con uno scatto.

«Sì, era un professore alla Anas University, ad Olympia.»

Prima che la mia famiglia si trasferisse in America, mio padre lavorava come professore alla University of Warwick, dipartimento di storia. Amava il suo lavoro, ma quando gli offrirono una nuova occupazione qui a Washington, dove poteva insegnare ciò per cui si era specializzato, fu ben contento di lasciare Leicester.

Ricordo quando una notte mi intrufolai nel suo studio, il fascio di luce che proveniva dalla porta socchiusa era come una calda rassicurazione quando avevo degli incubi e mi svegliavo nel cuore della notte.

«Noel, dovresti essere a letto a quest'ora.» mi rimproverava.

«Degli uomini strani mi guardavano mentre dormivo»

Lui alzò gli occhi dai suoi documenti, brillavano nella luce fioca della lampada.

«Allora sarà meglio che tu stia qui con me finché non se ne vanno»

Di solito, mi sedevo sulla poltrona all'angolo e osservavo incuriosito la stanza, con tutti quei strani oggetti. Era uno di quei posti che ti lasciava dentro quella curiosità infantile; nella mia mente, lo immaginavo pieno di misteri, indovinelli e porte segrete dietro le librerie.

Spesso, se non parlavo io, era lui ad iniziare una conversazione, per distrarmi.

«Sai cosa vuol dire "discendenza"?»

Scossi la testa in risposta.

«Vuol dire avere una lunga storia alle spalle.»

Lo guardai confuso.

«Diciamo che tu vieni dalla mamma e da me, ma la mamma da dove è venuta?»

Allora corrugavo la fronte mentre rispondevo, «Da nonna Grace e nonno Ben.»

«E a loro volta, nonna Grace e nonno Ben avevano dei genitori e dei nonni, capisci?»

Annuivo sempre, anche se magari non avevo colto in pieno quello che cercava di dirmi, non volevo dargli dispiaceri.

«Ma tu, non hai dei genitori»

Sorrideva sempre quando obbiettavo.

«Certo che li ho Noel, solo che non ci sono più.» 

Lo scrutai dubbioso. 

«Vieni qui» sorrideva con orgoglio.

Più mi avvicinavo a lui, più riuscivo a sentire l'odore del caffè caldo.

«Io discendo da un'antica tribù, questo vuol dire che anche tu ne fai parte.»

«E cos'è? Dove sono i tuoi genitori?»

Lanciò delle occhiate ai cimeli di famiglia e poi, con un sospiro, posò nuovamente i suoi occhi arguti su di me.

«Te lo spiegherò un giorno, così capirai perché faccio tutto questo.» indicò stancamente i documenti e i libri impilati disordinatamente sulla sua scrivania.

«Ora vai a letto, prima che mamma ci scopra»

Sentì le lacrime pizzicarmi gli occhi, un profondo terrore infantile impossessarsi di me.

«E gli uomini c-cattivi?»

In quel momento vidi un'ombra strana passare sul suo volto, ancora la riesco a vedere se mi impegno. Un miscuglio di struggimento e determinazione.

«Gli uomini cattivi se ne sono andati.»


Guardo Maira, ancora perso nei miei pensieri.

«In piccola parte, io e Chris proveniamo da una qualche tribù indiana.» spiego abbassando gradualmente la voce.

Saltella eccitata, «Visto? I pezzi cominciano ad incastrarsi! Vado a lezione ora, ma dopo, daremo il via alla missione: 'I poteri magici di Noel Hayes'»

Reprimo una risata, «Il nome di questa missione sprizza di creatività» un ghigno divertito si dipinge sulla mia faccia.

«Ehi! Non rovinarmi la giornata con la tua negatività!»

Alzo le mani in segno di resa, «Ok ok, a dopo allora.» dico mettendo fine alla conversazione.

Durante il breve tragitto verso la mia classe, incontro Hailey, che va nella direzione opposta alla mia, fa subito un grande sorriso. Non ho più una cotta per lei, insomma, è bellissima e chi non vorrebbe uscirci insieme? Lo scorso anno potevo dire che le sbavavo dietro per davvero, ora non più.

L'unica a non avere capito questa cosa è Maira, nonostante glielo abbia detto molte volte.

«Come stai, Noel?» chiede sinceramente interessata.

«Bene, davvero, probabilmente ero stato male perché non avevo mangiato.» le rispondo immediatamente sulla difensiva, riferendomi alla festa.

Corruga la fronte e delle delicate grinze si formano alla base del naso, «Non intendevo quello, anche se sono contenta di sentirtelo dire, avevo preso un bello spavento... ma ora è passata, giusto?» la sua bocca si increspa in un sorriso dolce, una fossetta sbuca dal nulla sulla guancia sinistra.

"Ecco, l'ennesima figuraccia, ormai posso farci una collezione".

Mi strofino una mano sulla testa, «Sì, è... tutto passato»

Faccio quello che dovrebbe sembrare un sorriso, completamente a disagio. Sto in silenzio per un po' ad osservarla mentre lei inclina la testa di lato, soppesandomi.

«È stato bello... vederti, intendo.» taglio corto e mi ritiro in classe sotto il suo sguardo, prima di fare altre cose imbarazzanti.

La professoressa Watson è impegnata a scrivere qualcosa alla lavagna, si gira e indica ciò che ha appena scritto:

'To kill a mockingbird'

«Allora ragazzi, abbiamo finito il libro la settimana scorsa, e a breve ci sarà un test» annuncia, causando un coro di sospiri da parte di tutta la classe. Nonostante questo, va avanti come se nulla fosse.

«Vorrei parlare con voi del titolo, trascriverò alla lavagna tutte le vostre opinioni e ne parleremo insieme. Secondo voi, perché Harper Lee ha voluto dare questo nome al suo romanzo?»

Un silenzio tombale cala su tutti, mi giro sulla sedia per guardare la classe per intero, soffermandomi su una testa rossa. Sta ridacchiando di nascosto con un altro ragazzo. Quando i suoi occhi divertiti incontrano i miei, mi rigiro verso la lavagna.

«Siete timidi per caso? Avanti ragazzi...» dice ora la professoressa. Il suo entusiasmo va mano a mano scemando, si siede davanti alla scrivania e ci osserva, «ok, allora chiamerò io.»

Purtroppo, commetto l'errore tipico del principiante: la fisso troppo a lungo mentre sceglie la sua vittima.

«Hayes, sono curiosa di sapere la tua idea a riguardo» col pennarello indica nuovamente la lavagna alle sue spalle.

«Credo, che il titolo si riferisca ai due misteri della storia: il caso di Tom Robinson e quello di Arthur 'Boo' Radley.» lei annuisce, incitandomi a continuare.

«Il padre di Scout spiega che è peccato uccidere gli usignoli perché non fanno nulla di male, sono innocenti e puri; ed è la metafora che poi lei applicherà su Boo.

Atticus, le insegna a mettersi nei panni degli altri per poter capire il punto di vista delle persone, di non fermarsi alle apparenze.»

«Ben fatto, Noel» si alza e riprende a scrivere alla lavagna.

Collega una freccia al titolo del libro e sull'altra estremità scrive un riassunto della mia risposta.

«Qualcuno vuole aggiungere qualcosa?» chiede riprendendo posto sulla sedia.

Il suo sguardo gira per la classe, poi si ferma in un punto preciso. Rimane sorpresa per un attimo, entrambe le sopracciglia si sollevano.

«Weber, p-prego.»

Il mio corpo si gira meccanicamente nella direzione in cui guarda la Watson. Tutti quelli che si stavano facendo gli affari propri, ora, sembrano interessati alla lezione.

Una ragazza, che vedo spesso agli allenamenti con Hailey, fino ad un attimo fa, tra un messaggio e l'altro, si limava le unghie. Ora, invece, si gira verso di lui con un sorriso divertito, si avvicina all'orecchio della sua vicina di banco:

«Derek che partecipa ad una discussione in classe? E io che pensavo sarebbe stata un'altra lezione noiosa.»

Appena il soggetto di tutte quelle attenzioni sente il mio sguardo addosso, accenna ad un sorriso. Che ad altri può sembrare innocuo o addirittura affascinante, solo io colgo la freddezza calcolatrice che lo caratterizza.

«Anche se questo Boo ha aiutato la protagonista, non è detto che sia una brava persona. Potrebbe averlo fatto per simpatizzare con la comunità o sviarla da quello che lui è davvero» spinge tra i denti la lingua, sottolineando l'ultima parola.

Si gira a guardarmi con un ghigno stampato sulla faccia.

La Watson annuisce, è sempre stata molto speranzosa con tutti i suoi alunni e, il fatto che Derek Weber si sia dimostrato interessato ad una delle sue lezioni e abbia addirittura letto il libro, la sta probabilmente rendendo un minimo felice quanto spaesata.

«Pensiamoci bene: questo ragazzo è stato chiuso in casa dopo aver fatto delle bravate per tutta la città, potrebbe essere diventato psicotico o che so io»

Un lieve senso di agitazione comincia a diffondersi a macchia d'olio per tutto lo stomaco. So perfettamente cosa cerca di fare, non è la prima volta che subisco uno dei suoi attacchi invisibili.

E come al solito, tutti avranno capito cosa vuole dire, tranne la professoressa Watson.

Infuriarmi o dimostrare che il suo colpo basso è andato a segno non mi aiuterà. Quindi, lo fisso inespressivo, come se la cosa non mi riguardasse e dal guizzo impercettibile della sua mascella, capisco che lo sto mandando in bestia. Decide quindi di aumentare la posta in gioco: mi fissa apertamente davanti a tutti, mentre dà voce alla sua prossima cattiveria gratuita.

«Sono pronto a scommettere, che è stato lui ad uccidere il suo stesso padre.»

Per un attimo tutto diventa un ammasso di puntini indistinti. Scatto dalla sedia senza nemmeno rendermene conto e lui fa lo stesso. Ci fermiamo nel mezzo del piccolo corridoio creato dai banchi. In una parte del mio cervello riesco a sentire la Watson che chiede cosa stiamo facendo, insieme agli incitamenti animaleschi del resto della classe. Ma tutta la mia concentrazione è per l'idiota davanti a me, il suo sorriso vittorioso a schermare tutto il resto.

«Torna a sedere, Boo.» sussurra a mezza voce questo monito, compiaciuto di aver suscitato una qualche reazione in me.

«Vai tu a sedere, coglione.»

Il suo sorriso si fa più grande se possibile.

«Altrimenti che succede? Uccidi anche me?» dice piano, in modo che solo io lo possa sentire.

Il fuoco brucia, dirama facendo piazza pulita di tutto quello che c'è. I suoi occhi brillano provocatori e non fanno altro che alimentare la rabbia che brucia in me.

«Questo tuo fare il grande, è un modo per nascondere che da qualche altra parte hai qualcosa di molto piccolo?»

Quando vedo i suoi occhi scintillare minacciosi, sono io a fare un mezzo sorriso. E nel tempo di un battito di ciglia mi spinge con entrambe le mani. Barcollo indietro mentre prova a buttarsi addosso a me, ma la professoressa si mette in mezzo a noi.

«Cristo santo Weber, ho detto niente violenza nella mia classe! Dal preside, ora!»

Derek, col fiato corto, si passa la lingua sulle labbra mentre tiene gli occhi incollati ai miei.

Non giocherò mai il suo gioco.

Sta lì impalato per mezzo minuto, poi si decide ad andare verso l'uscita. Mette una mano sulla maniglia, si gira come se dovesse dire qualcosa, poi ci ripensa, apre la porta con uno strattone violento che la fa sbattere contro il muro, e finalmente, se ne va.

«Torna al tuo posto, Hayes. O sarò costretta a spedire in presidenza anche te.»

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«Sono convinto che prima o poi scoppierà, non si accontenterà più di lanciare frecciatine davanti a tutti» sentenzio, riferendomi allo spettacolo dato oggi, durante l'ora di letteratura.

«Ma che razza di problemi ha?!» chiede retoricamente Maira. Il suo disprezzo nella voce e i pugni chiusi lasciano intendere quanto sia seccata da questa situazione.

«Insomma, è stato lui a scaricarci, non il contrario. Quindi perché diavolo ce l'ha con noi?!»

"Con me, vorrai dire." è il pensiero a cui non do voce.

«Secondo me, fa tutto questo per dimostrare qualcosa ai suoi nuovi amici.» dico, invece.

Scuote la testa in modo assente.

«Comunque, ora abbiamo altro a cui pensare» le dico piano, cercando di far cambiare direzione ai suoi pensieri.

Fa un sospiro rassegnato. I suoi occhi grigi, prima adombrati, tornano di nuovo splendenti.

«Tieni, queste sono le ricerche che ho fatto» dice passandomi un plico di fogli.

«Ok, mia madre sarà di ritorno tra due ore circa, deve andare a prendere anche Chris alla festa, mettiamoci al lavoro nel frattempo.» la informo cercando di calcolare il tempo che abbiamo per fare tutto senza essere beccati.

«Che la missione 'IPMDNH' abbia inizio!» annuncia, di nuovo entusiasta.

Scuoto la testa ridendo, «Sei consapevole del fatto che suoni male anche così, vero?»

Mi ammutolisce con un gesto di fastidio, come farebbe come una mosca che le ronza attorno, e va verso la porta dello studio, dopodiché la apre.

Prendo un respiro profondo e la seguo. 

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