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Capitolo 21



I muscoli e i nervi tremano ancora per lo sforzo fatto oggi. Dopo una doccia calda nella camera degli ospiti, per ripulirmi da quel fluido puzzolente e un cambio pulito, sono sceso al piano di sotto con una strana sensazione ad appesantirmi il corpo.

«Come ti senti?» Gli occhi di Maira passano in rassegna su tutta la mia figura.

Cerco di nascondere la pesantezza e le faccio un piccolo sorriso.

«Tutto bene. Tu invece, come ti senti?»

Apre le braccia e fa un giro su se stessa, mostrandomi che è illesa, quando torna con il corpo rivolto verso di me gli angoli delle sue labbra slittano verso l'alto.

«Meravigliosamente, se non fosse che qualcuno mi ha spintonata.»

«Non ti conviene aprire questo discorso» la rimprovero con tono per niente colpevole. Si è buttata a capofitto verso il pericolo senza neanche ragionare, ho solo agito di conseguenza.

Alza gli occhi al cielo con un moto di fastidio, poi fa per ribattere qualcosa di puntiglioso, ma viene fermata da Ariadne.

«Noel» mi richiama, «Alaric ti vuole nel suo studio.» annuncia, le braccia piegate sui fianchi.

Annuisco e lancio una breve occhiata a Maira, già dimentica della conversazione appena avuta.

Mentre mi avvio sulle scale, rifletto sui possibili motivi per cui Alaric mi ha convocato nel suo studio. Quasi sicuramente, può averlo fatto per assicurarsi che io stia bene.

"Forse, potrò finalmente parlare con lui e chiarire tutti i miei dubbi."

Con questo nuovo pensiero fisso nella testa, apro la porta incurante di bussare per chiedere permesso. L'uomo fa saettare subito il suo sguardo carico di fastidio verso la persona che lo ha appena disturbato, ma quando si rende conto che sono io il motivo della sua interruzione, si ammorbidisce visibilmente.

«Noel, è un piacere vedere che sei tutto intero.» Nel suo tono leggero, sfugge una sfumatura di preoccupazione quando nota la mia espressione, «Ti senti bene?» chiede subito dopo.

Chiudo la porta e mi avvicino alla scrivania in un rigoroso silenzio. Lo osservo mentre intreccia le mani davanti a sé, senza smettere di guardarmi un secondo, in attesa di una risposta.

«Ho bisogno di sapere.» dico senza preamboli, ignorando bellamente la sua domanda.

Assottiglia lo sguardo nella mia direzione, per un attimo sembra smarrito.

«Sapere cosa, esattamente?» domanda incerto.

In questo momento sembra così disponibile a parlare, ma la sensazione che nasconda qualcosa dietro questa sua facciata si fa sempre più grande.

«Il giorno in cui c'è stato quell'attacco, prima di entrare nel tuo studio, ho sentito parte della vostra conversazione. Stavate parlando di mio padre, giusto?»

Per un breve momento, rimane interdetto, dopodiché rilascia un lungo sospiro. Si passa una mano tra i capelli brizzolati e, solo ora noto che non sembra per niente in forma: delle mezzelune scure gli contornano gli occhi, il colorito del viso non è dei migliori, la barba sembra non essere stata rasata per giorni e la postura della schiena non è dritta e rigida come al solito. Mi guarda ora, coi suoi occhi azzurri carichi di ombre e di un'emozione che non riesco a riconoscere.

«Sì.»

«Qual è la cosa che ti ha chiesto di fare prima di morire?»

Muovo il piede sotto al tavolo, nervoso. Ogni volta che si parla di mio padre reagisco così: ho paura di scoprire cose sgradevoli sul suo conto.

«Negli ultimi mesi era molto strano, spariva continuamente... era ossessionato da dei simboli sul suo taccuino, mi chiese aiuto per tradurli ma, purtroppo, erano così antichi che nemmeno io sapevo decifrarli. Diceva che avrebbe trovato un modo per sistemare le cose, per non metterti in mezzo a questa storia...»

Una marea di sensazioni mi travolge, è una fatica immensa, per me, trattenerle. Tuttavia, la mia espressione rimane dolorosamente indifferente mentre aspetto che continui.

«Quel giorno... venne da me. Disse che aveva una cosa importante da fare. Non smetteva un attimo di muoversi e di blaterare.» Fece una pausa per lasciarsi andare ad un risolino malinconico.

«Nonostante ciò, in un momento di lucidità mi fece promettere una cosa.» Qualcosa si sgretola nella sua espressione, un guizzo impercettibile delle labbra mi fa capire quanto sia nervoso, «Se fosse morto o sparito, io avrei dovuto addestrarti, però, dovevo aspettare che venissi tu da me, non dovevo interferire personalmente nella tua vita. Voleva che vivessi sereno e felice. Rimasi sconcertato, non era da lui questo comportamento. Sembrava quasi... un addio.» Sospirò. «Gli chiesi spiegazioni, inutilmente, insisteva per farmi promettere e, quando lo feci, se ne andò.»

I pensieri si coagulano, ammassandosi lentamente gli uni sugli altri.

"Lo sapevo. Io lo sapevo."

Non è stato un semplice incidente a portarmelo via. Era agitato per qualcosa, sapeva di avere poco tempo. Non so come reagire a tutto questo, non so cosa provare. Il peso di quella nuova verità crea un nido di rovi nel mio petto.

Sento la testa accaldata, un dolore sordo pulsare alle tempie, gli occhi mi fanno male quando li sposto in basso, a fissare le mie scarpe.

«Questo è tutto.» conclude Alaric, con evidente tristezza nella voce.

Continua a parlare ma sento solo in parte quello che dice.

«Non è morto per colpa di un'incidente, vero?» Do voce a quel pensiero martellante senza volere.

Inconsciamente, vorrei sentirmi dire che non è morto per mano di qualcuno, una mano che reclamava il suo sangue.

Le sue spalle si irrigidiscono e, di conseguenza, la schiena assume una posa innaturale.

«Io... Noel, io posso fare solo supposizioni...»

Stringo i pugni con forza, la testa mi si alleggerisce, le palpebre si accaldano.

«Parla, Alaric.» Un ringhio ruvido, che lascia una scia amara sul palato.

Annuisce semplicemente, l'espressione contrita, le sopracciglia folte ad abbassarsi sugli occhi. Posa i palmi aperti sulla scrivania.

«Chi è stato?»

Senza che lui apra bocca, la risposta mi arriva forte e chiara. Anche i suoi occhi sembrano gridarlo.

Il mio corpo si muove senza che possa controllarlo. Il tempo pare dilatarsi quando mi alzo in piedi con uno scatto traballante. La sedia si rovescia all'indietro e il tonfo si protrae a lungo, conficcandosi nel mio cervello. Mentre mi giro verso la porta, per un istante, ho il terrore che stia per accadere di nuovo, che le allucinazioni siano tornate.

Il pavimento ondeggia pericolosamente, la mia testa vortica. L'eco di una voce arriva alle mie orecchie, una mano si posa sulla mia spalla mentre mi appoggio contro la libreria, cercando di stabilizzarmi. La mia testa è un rogo pulsante, lingue di fuoco bruciano il mio corpo, i muscoli tremano dolorosamente sotto la mia pelle. La porta si apre e Aria fa il suo ingresso; cerco di muovermi verso di lei, ma le mie ginocchia si piegano in avanti.

Riesco a sentire sprazzi di conversazione.

Una mano fresca e asciutta si posa sulla mia fronte.

«Brucia di febbre»

«Il sangue dell'Aberrante deve essergli entrato in circolo. A causa del suo-... Ariadne portalo a casa! Non voglio che sua madre-»

L'ordine di Alaric è l'ultima cosa che sento prima che il fuoco divampi.

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