Capitolo 14
Mi sorprende quanto sia pulita la stanza di Matt, quasi maniacalmente. Al momento la sua faccia è affondata in un armadio che prende quasi tutta la parete; sta cercando una tenuta della mia misura per questa sera.
«Questi forse potrebbero andarti bene.» valuta, stringendo un paio di pantaloni ergonomici e osservandomi attentamente.
«Ma sì, andranno bene» decide lanciandomeli.
Li prendo al volo e li esamino.
«Allora...» sento una punta di disagio nel mio tono di voce, «Matt è il diminutivo di...?»
Mentre scava nel suo armadio, la voce mi arriva ovattata, «Secondo te?» chiede come se fosse ovvio.
Ci penso su, «Matthias?» sparo.
Lui sbuffa, «Ritenta, sarai più fortunato»
«Matthew?»
«Ding ding ding» imita il suono di quando si fa Jackpot e mi lancia una maglia, anch'essa nera.
«Ti puoi cambiare nel bagno a destra» mi informa indicandomi una porta adiacente al letto.
Un po' tentennante seguo la traiettoria del suo dito. Il bagno è esattamente uguale a quello della stanza degli ospiti, se non fosse per gli effetti personali. Mi sfilo i jeans, che cadono sul pavimento piastrellato azzurro, mentre entro nei pantaloni che mi ha appena dato. Noto che sono un po' stretti, ma non ci faccio particolarmente caso. Esco dal bagno mentre faccio scivolare la maglia dalla testa.
Matt è poggiato con la schiena al suo armadio. Quando entro fa un sorrisetto divertito. Seguo la traiettoria del suo sguardo, sempre più in basso e, mi rendo conto che i pantaloni sono così stretti da far risaltare un po' troppe forme.
«Aspetta, vado a controllare nella stanza di Adam se c'è qualcosa di più... adatto» Non smette di sghignazzare mentre parla.
Lo aspetto in piedi, esattamente dove sono, e mi guardo un po' in giro. L'occhio cade immediatamente sul letto a baldacchino, poi su di un comodino che sembra un po' più vecchio rispetto al resto dei mobili della stanza.
In particolare, cattura la mia attenzione una foto posizionata sopra esso, raffigurante un ragazzino e quelli che sembrano i suoi genitori. La scintilla di divertimento negli occhi dell'uomo mi fa capire che deve essere il padre di Matt. Il ragazzo fa il suo ritorno con un altro paio di pantaloni simili a quelli che ho addosso.
«Questi dovrebbero andare meglio» Me li porge.
Torno a cambiarmi nel bagno, lanciando un ultimo sguardo al quadretto sul comodino.
«Decisamente meglio» approva, con una nota divertita negli occhi quando rifaccio la mia entrata nella stanza.
Il tono preoccupato di mia madre mi riempie i timpani.
«Non sei a casa di Maira, Noel!» sbraita nel mio orecchio.
Ammutolisco mentre tengo il cellulare posato sulla guancia. Cammino nervosamente in circolo nel patio della villa. Sto pensando a un modo per tranquillizzarla, quando Maira, spunta proprio davanti a me.
«Siamo fuori, ma è qui con me. Vuoi che te la passo?»
Non attendo una risposta, porgo subito il telefono a lei, che lo prende e lo poggia contro il suo orecchio.
«Signora Hayes? Sì... sì, è con me... no...»
La loro conversazione sfuma, mentre sospiro dal sollievo allontanandomi da lei. Diventa sempre più difficile mentire a mia madre. Non avrebbe dovuto nascondermi tutto questo, sapeva che la verità sarebbe venuta a galla in un modo o nell'altro.
Allora... perché continuare mentire?
Maira viene nella mia direzione a grandi passi, il cellulare teso verso di me. Uno sguardo allo schermo mi fa capire che la chiamata è ancora in corso.
«Ti sei finalmente calmata?»
Posso udire i suoi respiri all'altro capo del telefono.
«Tesoro, non farti male, ti prego...» la sua voce si spezza. Allo stesso tempo, anche dentro di me si spezza qualcosa.
Apro le labbra per parlare, ma il segnale della chiamata che viene interrotta me le fa richiudere.
"Mi ha scoperto."
«Noel?»
Fisso lo schermo scuro del telefono, la bocca completamente asciutta.
"Lo sa."
La mano di Maira si posa sulla mia spalla. Mi irrigidisco completamente.
«È tutto a posto, l'ho rassicurata io.»
«No, ci ha scoperti.»
La sua espressione muta immediatamente al suono delle mie parole. Matt fa la sua entrata.
«Dobbiamo andare» ci interrompe.
Infilo il cellulare nella tasca della giacca in una mossa repentina, per togliermelo immediatamente dalla vista. Probabilmente, un metodo inconscio per depistare l'attenzione del mio cervello da quel nuovo tornado che minacciava di creare ulteriore confusione nella mia vita.
Alaric continua a tamburellare le dita sul cruscotto; riesco a percepire tutto il suo nervosismo che, inevitabilmente, ingloba tutti noi, chiudendoci in un silenzio prolungato. Guardo fuori dal finestrino e poggio il mento sul palmo della mano. Siamo sulla Sumner Avenue. Osservo le case che sfilano fuori dal finestrino senza vederle davvero. Penso ancora a come sia possibile che mia madre l'abbia scoperto.
"Forse, non l'ha scoperto... forse, ho solo interpretato male le sue parole. Sì, deve essere così."
Ma quel tono angoscioso mi si è appiccicato alla pelle, e non riesco più a scrollarmelo di dosso.
Passiamo sul ponte che collega Aberdeen ad Hoquiam, per poi proseguire su Lincoln Street. I miei occhi si fissano sulla luna crescente. Sembra quasi brillare da sola, non riesco a scorgere le stelle bucare il cielo.
Più andiamo avanti, più la tensione nell'abitacolo si fa palpabile. Lancio una breve occhiata al mio fianco e, Maira incrocia simultaneamente il mio sguardo. I suoi occhi scintillano al buio. Una ciocca ribelle le si è posata sulla fronte, gliela scosto dal viso quasi senza rendermene conto; un gesto nervoso che mi viene assolutamente spontaneo e che racchiude tutte le preoccupazioni di questo ultimo periodo.
Alberi e case si alternano mentre procediamo sulla 101. È la nostra prima missione, anche se non ufficiale e, ho un brutto presentimento. Forse, Adam è stato attaccato da quegli esseri e potrebbe... non avercela fatta?
Ariadne sta fissando davanti a sé. La sua espressione è pura e fredda determinazione: la linea della mascella marcata, lo sguardo assottigliato e, più in basso, sulle ginocchia, le sue mani sono strette a pugno. Ogni suo muscolo è in tensione, pronto a scattare. Ricorda la calma di una tigre prima di attaccare la sua preda in uno di quei documentari che guarda di solito Chris.
Ci fermiamo in un quartiere abbastanza tranquillo e silenzioso. Sul lato destro riesco quasi a vedere il fiume Hoquiam; lo scrosciare sereno ed irrefrenabile dell'acqua stride in pieno con i nostri stati d'animo. Sulle sponde, delle barche riposano coperte dai teli.
Io e Maira ci guardiamo attorno mentre gli altri camminano a passo deciso verso una casa su due piani in un completo stato di desolazione. L'erba alta copre la visuale dei primi gradini di una scala che porta ad un patio ricoperto di foglie morte.
«Siete sicuri che sia qui?» chiede Maira scettica, leggendomi quasi nel pensiero.
Ma, non riceve alcuna risposta. Calpestiamo l'erba ghiacciata e scricchiolante mentre avanziamo. Ariadne scrolla la porta d'ingresso più volte, con frustrazione.
«La porta sul retro, proviamo quella» Matt le posa una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla. Lei annuisce stringendo le labbra in una linea sottile.
Facciamo il giro della casa guardandoci cautamente attorno. Dalle finestre non vedo alcuna luce e, più i minuti passano, più mi convinco che non ci sia nessuno lì dentro. Matt si ferma davanti ad una porta diroccata, coi vetri completamente appannati. Scrolla la maniglia un paio di volte, ma quella, neanche a dirlo, non si muove di un millimetro.
«Indietro» ordina arretrando.
Noi eseguiamo mentre lo vediamo prendere la rincorsa e buttarsi contro la porta con una spallata. Questa si spalanca sbattendo vicino ad una bottiglia di vetro che cade immediatamente a terra, rompendosi e rovesciando tutto il suo contenuto.
«Che classe» ironizza Maira cercando di ridacchiare, tuttavia un tremito la scuote violentemente.
Alaric lo sta guardando a bocca spalancata.
«Che c'è?» protesta, «Andava fatto!» si giustifica.
L'uomo si limita a tirargli un'altra occhiata ammonitrice, poi si fa avanti attraverso il buio della stanza.
Un odore dolciastro, come di qualcosa che va in decomposizione mi pizzica subito le narici. Dai contorni dei mobili capisco che siamo in una cucina. Buste e lattine sono sparse alla rinfusa sul bancone, abbandonate lì da chissà quanto. Aria si fa strada fino alla prossima stanza, con passo trepidante. La seguo e, un piccolo salotto prende forma davanti ai miei occhi. Un raggio lunare evidenzia una striscia del pavimento, piccoli granelli di polvere danzano festosamente nell'aria attorno ad esso.
Un tonfo sordo squarcia il silenzio inquietante, facendo scattare le nostre teste verso l'alto. Il respiro di Maira si affanna e il mio sguardo si fissa su una bolla nell'intonaco.
«Adam...?» chiama piano Ariadne, dirigendosi verso una scala posta proprio di fronte all'ingresso.
Matt le sta subito dietro e Alaric al seguito. Il legno dei gradini sembra doversi polverizzare da un momento all'altro sotto i nostri scarponi. Al piano superiore ci sono tre porte, tutte chiuse. Non si sente più nessun rumore. Alcuni quadri appesi ai muri sono lievemente inclinati, rivelando l'impronta più chiara sulla parete rispetto al resto del muro.
"Sono stati mossi di recente" Rabbrividisco.
«Adam!» lo chiama di nuovo, disperata.
Il suono della sua voce viene assorbito dalle pareti. Non ricevendo risposta, Ariadne rimane perfettamente immobile al centro del corridoio. Le uniche cose che vedo muoversi sono le sue mani che apre e chiude ripetutamente.
Come in un sogno, Alaric si fa avanti ed apre la prima porta sulla destra, dove intravedo un piccolo bagno. Si fa coraggio ed apre la seconda, per poi rimanere impalato sulla soglia, con gli occhi spalancati. Ariadne e Matt gli corrono subito dietro, sparendo oltre l'ingresso.
«Oh mio dio, Adam, no...»
Una piccola scarica di paura e di anticipazione mi scuote il corpo. Li seguo all'interno della piccola stanza. Alaric è ancora immobile mentre gli passo di fianco.
«Respira ancora» sento dire da Matt.
Prima di guardare il soggetto principale di tutto questo casino, lascio vagare lo sguardo per l'intera camera.
La carta da parati in alcuni punti si arrotola su se stessa. Macchie di muffa e umidità si protraggono per tutta la stanza. L'aria è satura di quell'odore dolciastro sentito già prima in cucina. Un letto, o meglio, un materasso posto in un angolo della stanza padroneggia l'intera camera, che per il resto, è completamente spoglia.
Faccio finalmente ricadere il mio sguardo davanti a me: Adam è accasciato a terra, la testa è poggiata malamente contro il pavimento, il collo inclinato in una posizione innaturale. Ma non è la sua visione in quello stato a lasciarmi perplesso e inorridito, no: davanti alle sue gambe, dimenticate sulla moquette logora, ci sono delle siringhe.
Ariadne e Matt si affannano per metterlo seduto. La sua testa ciondola in avanti e noto che sul suo braccio sinistro c'è un laccio emostatico ancora strettamente annodato attorno al bicipite. Maira viene scossa da un altro brivido, ripercuotendosi contro la mia spalla. Chiudo gli occhi e li stringo con intensità, dopo qualche minuto li riapro. Ariadne scosta i capelli del ragazzo dal suo viso con una carezza, ma questi gli ricadono subito davanti agli occhi.
Matt la guarda affranto mentre lei lo accarezza.
«Aria, dobbiamo portarlo via da qui e... ripulirlo» gli sento dire, l'ultima parola esce a fatica e sembra graffiargli la gola.
Mi faccio avanti per dare loro una mano a tirarlo su. Ariadne si mette un braccio di Adam sulle spalle, quasi in trance. Matt si affretta a fare lo stesso dall'altro lato, poi si rialzano sulle loro gambe vacillando. Quando trovano il loro momento di stallo azzardano a fare un passo avanti, ma Adam scivola dalla presa di Ariadne, così mi butto in avanti e puntello una mano sul suo fianco per evitare che cada. I suoi occhi sono assenti e trema leggermente, mi spinge delicatamente indietro.
«Stai tranquilla, faccio io» la lascio andare lentamente, assicurandomi che riesca a tenersi in piedi. Fa subito qualche passo indietro, attonita.
Prendo il braccio del ragazzone svenuto e me lo passo attorno al collo. Poso una mano sulla sua schiena, per sospingerlo lievemente in alto mentre lo trasportiamo.
Riusciamo a fatica ad arrivare davanti alla scala, ora arriva la parte più difficile.
«Qualcuno può mettersi davanti, così ci apre la porta?» chiede a fatica Matt.
Maira si catapulta giù, sblocca la porta e la apre quel poco da lasciar entrare uno spiraglio di luce lunare. Io e Matt ci guardiamo.
«Ok, dobbiamo cercare di essere sincronizzati nei movimenti... non ho voglia di spaccarmi l'osso del collo in questa topaia»
«Sì, anche io preferirei spaccarmelo a Parigi o alle Hawaii...» concordo, grondante di cupo sarcasmo.
Non so perché l'ho detto, deve essere il nervosismo. Ridacchio teso, mentre lui mi lancia un'occhiata di traverso in risposta. Una goccia di sudore gli luccica sopra una tempia.
«Andiamo» dice dopo essersi risistemato il braccio di Adam sulle spalle.
Facciamo il primo passo e, inevitabilmente, la mia spalla struscia contro l'intonaco ruvido. Qualche quadro traballa e Ariadne si muove rapidamente dietro di noi, fermandoli dalla caduta. Suo padre è rimasto nella stanza, non si è mosso di un centimetro, nemmeno per renderci più facile l'uscita da quella stanza soffocante.
Guardo il viso pallido di Adam, i cerchi violacei sotto i suoi occhi, e mi chiedo come sia potuto succedere tutto questo. La sua pelle è biancastra e imperlata di sudore. Dall'odore che ha, deduco che non si sia dato una ripulita dall'ultima volta che l'ho visto.
Ripenso ai suoi occhi colmi di follia mentre mi colpiva ripetutamente. Il riflesso di uno spettro nel suo sguardo.
«Devi capire... che tutti noi abbiamo alle spalle delle esperienze poco piacevoli...» affiora alla mente ciò che disse Ariadne quel giorno.
«Perfetto, come facciamo a farlo entrare in macchina ora?» la voce lamentosa di Matt mi arriva alle orecchie, riscuotendomi dai miei pensieri.
Non mi ero accorto di essere arrivati davanti allo sportello aperto della macchina.
Ma, d'altronde, tutta questa faccenda è fottutamente surreale.
«Spingiamolo dentro e cerchiamo di metterlo seduto»
«La macchina ha solo cinque posti, Noel» assume il tono di chi sta parlando con un bambino.
Dei passi dietro di noi ci fanno girare, per quanto possibile.
«Adam dovrebbe avere una moto nel capanno dietro la casa» il tono di Alaric è incolore e delle chiavi pendono dalle sue mani.
«Ok, sistemiamo Adam e poi vado a prenderla»
Lo spingiamo all'interno dell'apertura sbuffando. Il sudore mi si sta ghiacciando sulla fronte e sul collo. Ariadne apre lo sportello dall'altro lato e tira il ragazzo da sotto le spalle. Cerchiamo di sistemargli le gambe mentre lei gli raddrizza il busto tenendolo stretto, poi si siede al suo fianco, lasciando che la testa di Adam le ciondoli addosso.
«Entra» dico a Maira, indicandole il posto vicino a lui.
Le chiudo la portiera e mi piazzo sul sedile al fianco di Alaric, che ha preso il posto di guida.
Aspettiamo qualche istante mentre l'uomo di fianco a me fa tamburellare le dita sul volante, nervoso. Ogni tanto lancia occhiate allo specchietto retrovisore. Un rombo potente, proveniente da dietro la macchina e un segno con gli abbaglianti ci fa capire che Matt è pronto per partire.
Alaric mette subito in moto e, con mia sorpresa, punta il suo piede sull'acceleratore. Le nostre schiene premono contro i sedili.
Sporgo attraverso la fessura creata dai nostri sedili per controllare la situazione dietro. Maira mi rivolge uno sguardo stanco. Ariadne tiene la mano di Adam nella sua, disegnando dei piccoli cerchi col pollice. Con l'altro braccio lo tiene stretto, circondandolo poco sopra i fianchi; le sue dita sono serrate sulla maglia del ragazzo e non sembrano intenzionate a lasciarlo andare.
Non si è ancora svegliato, non sembra un buon segno.
La macchina sfreccia sul ponte su cui eravamo passati prima. La luna splende piena sul fiume Hoquiam, dividendosi su ogni increspatura dell'acqua sospinta dal vento, creando delle falci d'avorio brillante. La mia mente scatta una foto della bellissima scena davanti ai miei occhi, almeno finché, quell'armonia di luci scure e brillanti non viene spezzata da Matt che ci sorpassa. Il casco non mi permette di vederlo, ma sono pronto a scommettere che ha il suo tipico ghigno arrogante stampato in faccia. Alaric scuote la testa rassegnato, dopodiché, accelera ancora una volta, diretto verso la villa.
Matt scende da una moto nera, si toglie il casco e urla con le braccia in aria, ricevendo subito un'occhiataccia da Ariadne.
«Ti sembra il momento?»
Lui ridacchia stancamente, passandosi una mano sui capelli scompigliati cercando di sistemarli, ma ottiene esattamente l'effetto contrario.
«Al lavoro» torna serio e mi oltrepassa.
Lo seguo verso la portiera aperta su un Adam ancora privo di sensi. Lo tiriamo giù con vari sbuffi e gemiti.
«Ma che mangia, le pietre?!» si lamenta Matt.
Muoviamo i primi passi sul vialetto, quando un lamento mi fa bloccare. La mia testa scatta sul ragazzo che stiamo cercando di tenere in piedi.
«Adam... riesci a camminare?» chiede Matt speranzoso.
Quello emette un grugnito in risposta che interpretiamo come un 'no'.
«Almeno dacci una mano» dice tra i denti, concentrato.
Non risponde, ma un po' del suo peso si allevia dalle nostre spalle, segno che ha recepito il messaggio. Riusciamo a trasportarlo più facilmente grazie al fatto che almeno ora, riesce a reggersi sulle gambe un minimo. Arriviamo nella sua camera, dove Ariadne ha già preparato degli intrugli. L'odore familiare mi investe le narici, riportando alla mente gli avvenimenti di ieri. Scaccio il pensiero, provando invece a concentrarmi sullo spazio circostante, più precisamente su un secchio vuoto che campeggia davanti al letto.
«Cercate di metterlo seduto» ordina Ariadne, versando in una tazza il liquido verdognolo e scuro.
Lo sistemiamo sul letto, ma quello cade indietro.
«Cristo Adam, mettiti seduto!» ringhia Matt.
Lui ci prova con un lamento e fallisce miseramente. Gli diamo una mano, strattonandolo per la maglia. Quando lasciamo la presa ricomincia a dondolare, quindi decidiamo di tenerlo fermo. Ariadne gli allarga le gambe piazzandocisi in mezzo, proprio di fronte a lui. Il ragazzo, sentendo l'odore proveniente dal liquido nella tazza, inizia a ribellarsi facendo scattare la testa in tutte le direzioni.
«Non fare il bambino, devi ripulirti!» tuona lei, spingendo la tazza contro la sua bocca. Lui continua a muoversi sempre più animatamente.
«Matt!» Ariadne gli scocca un'occhiata ammonitrice.
Lui si mette subito in ginocchio sul materasso, tappa il naso di Adam con le dita e gli solleva il mento verso l'alto con forza.
La ragazza continua a spingere verso la sua bocca facendo cozzare la tazza contro i suoi denti serrati, finché non cede e ingolla un po' del liquido. Il pomo d'Adamo si solleva e si abbassa mentre deglutisce. Ariadne cerca di fargliene bere un altro po', ma dopo il terzo rifiuto, decide di allontanarsi e posiziona il secchio tra le sue gambe.
«A cosa serv-» sto per chiedere, quando un tremito, scuote il corpo di Adam, che inizia a tossire.
Matt gli posiziona prontamente il secchio tra le mani quando il conato esplode. Per non guardare, tengo gli occhi fissi su Ariadne che, a sua volta, fissa Adam con rabbia.
«Così impari a metterti quella merda nel corpo» il tono avvelenato, la lingua che spinge con cattiveria tra i denti.
Lui continua a tossire, stremato. Dei sussulti gli scuotono di nuovo la schiena e si abbassa prontamente sul secchio, lasciando uscire fuori tutte le sostanze che ha assunto. Il mio stomaco si rivolta quando lo sento tossire di nuovo e l'odore acido dei succhi gastrici arriva al mio naso. Sotto al mio palmo, posizionato sulla sua spalla, i suoi muscoli hanno uno spasmo. Tiene le mani ancorate ai bordi del secchio con forza mentre lascia andare tutto. Quando le prime scariche sembrano concluse, Ariadne si mette di nuovo di fronte a lui per fargli bere ancora quell'intruglio e stavolta lo deglutisce senza protestare.
Dopo litri di vomito, esco fuori da quella stanza con lo stomaco sottosopra e i muscoli che tremano per lo sforzo.
Ariadne, dopo aver ripulito, è rimasta nel letto con lui per poterlo controllare anche durante la notte. Alaric è seduto sul divano del salotto, in una mano tiene stretta una tazza di tè. Davanti a lui c'è Maira, in piedi, nel bel mezzo del salotto.
Siedo al fianco di Alaric, rimanendo in silenzio: non voglio spezzare la quiete, sembra che tutti loro ne abbiano bisogno per ora.
«Matt vi riporterà a casa a breve...» Poggia la tazza di ceramica sul tavolino di fronte a lui e mi stringe una spalla, scuotendomi leggermente, «a nome di tutti, devo ringraziarti per l'aiuto che ci hai dato. Non eri tenuto a farlo, specialmente dopo tutto ciò che è capitato.» Si apre un sorriso cortese, ma spento sul suo viso.
«Non c'è alcun problema» mormoro, lasciando scivolare i miei occhi su Maira.
Ha l'aria stanchissima, gli occhi assottigliati dal sonno. Il silenzio cala di nuovo nella stanza. L'uomo si porta di tanto in tanto la tazza alla bocca, il viso deturpato dai pensieri mentre fissa lo schermo nero del televisore. Un rumore di passi veloci mi fa alzare dal divano di scatto. Matt spunta con il mio zaino in spalla e quello di Maira tra le mani, ce li porge prima di andare a chiedere le chiavi della macchina ad Alaric. Quest'ultimo si alza a sua volta dal divano e ci dà la buonanotte. Lascia le chiavi sul tavolino con un tintinnio prima di imboccare la strada per la cucina.
Siamo tutti esausti quando lasciamo la villa. Matt sbadiglia più volte. Sporgo con la testa dal suo sedile e fisso per un po' la strada davanti a noi prima di parlare.
«Da quanto...?»
Le strade sono deserte a quest'ora. Maira ha gli occhi chiusi, la testa premuta contro il finestrino e la bocca leggermente socchiusa. Capisco subito che è crollata a dormire.
«Intendi da quanto guido?»
«No, io intendevo... Adam»
Mi guarda dallo specchietto retrovisore, l'ilarità scompare dal suo viso.
«Sì, lo avevo capito.» il suono della sua voce è profondo e serio.
Per un po' ammutolisce, la fronte aggrottata e gli occhi concentrati sulla strada.
«Aveva smesso da due anni, o almeno... così credevamo. L'abbiamo fatto ripulire e sembrava essere finalmente tranquillo.» sospira, «Non felice, ma sereno.»
«Credi...» esito per un momento, «credi che sia stata colpa mia se è scappato e ha-»
«No... sono state solo le sue paranoie.» mi interrompe e, dal tono che assume, capisco che la conversazione è arrivata al capolinea.
Mi lascio cullare dal ronzio che produce la macchina, facendo vagare liberamente i pensieri.
«Siamo arrivati» annuncia accostando.
Mi guardo intorno, completamente smarrito. Non me ne ero reso conto. L'ansia mi chiude la bocca dello stomaco in una morsa: dovrò affrontare mia madre e, non so proprio cosa dirle. Deglutisco prima di posare una mano sulla spalla di Maira e scuoterla dolcemente. Lei spalanca subito gli occhi e fa scattare lo sguardo per tutto il veicolo con una nota di panico.
«Siamo a casa» le dico piano.
La sua schiena si rilassa immediatamente quando il suo cervello comincia a registrare. Mette lo zaino sulle ginocchia e fa un cenno pigro con la mano a Matt prima di scendere dall'auto.
«Buonanotte» dico scendendo a mia volta dall'auto.
Maira si stiracchia mentre fisso la macchina ripartire. Quando sparisce dietro una curva prendo un respiro profondo e poso lo sguardo su casa mia.
«Stai tranquillo» sussurra lei al mio fianco, toccandomi dolcemente il braccio, «posso venire con te se ti rende meno nervoso» Sembra ancora scossa da quello che è successo e la capisco.
«Tranquilla. E, comunque, stai crollando in piedi.» faccio una risata forzata, cercando di rassicurarla sul mio stato d'animo.
Ma non attacca, lo vedo dal suo sguardo.
«È una cosa che devo risolvere da solo.» mormoro.
Dopo un breve silenzio, rincasiamo entrambi con lo zaino in spalla.
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Isteria time: capitolo pesante oggi, ma dovevo.
Alla prossima!
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