Capitolo 11
«Non mi piace questa cosa. Per niente.» annuncio contrariato.
Io e Maira stiamo camminando verso casa. Non mi ha detto una parola da quando l'ho vista scendere le scale poco fa, alla villa. Cerco il suo sguardo, ma lei tiene gli occhi fissi sulle punte delle sue scarpe.
«Mi stai ascoltando?»
Nessuna reazione.
«Cos'è? Una specie di sfida?» il mio tono si è inasprito ora.
Finalmente si volta a guardarmi, un'espressione confusa aleggia sul suo viso.
«Sapevi che non sarei stato d'accordo» spiego.
La comprensione si fa lentamente strada nei suoi occhi. «Credi davvero che lo faccia solo per darti fastidio?» replica acidamente.
Osservo attentamente il suo viso, soppesando quello che mi ha appena chiesto, dopodiché, tiro un sospiro frustrato.
«No, non lo penso.» guardo fisso davanti a me, «Vorrei solo che tu ne restassi fuori» aggiungo in un mormorio.
Sta succedendo troppo in fretta. Sono stanco di dover nascondere tutto alla mia famiglia. Ho tante domande in testa e poche, pochissime risposte. Non riesco a capire quando la mia vita ha preso questa piega che devia totalmente da ciò che, in realtà, avevo programmato per me e il mio futuro.
Ma, sapere che potrebbe non esserci un futuro e che questo dipenda da me, è troppo. Troppo peso che mi spinge giù e, delle volte, vorrei solo rimanere a terra.
«Come sono andati gli allenamenti?» chiede la voce di mia madre.
Sposto il mio sguardo dal piatto che ho davanti, a lei, sentendo l'ansia stringermi il petto.
Ma non si sta rivolgendo a me.
«Mi sono divertito tantissimo, ho fatto amicizia con tutti!» esclama Chris al mio fianco.
Lei sorride di rimando al suo entusiasmo.
"Almeno, a uno dei due qualcosa va bene".
«Devo studiare per il test di domani» li interrompo, prendendo il mio piatto e poggiandolo nel lavandino.
Mentre il pomeriggio lascia spazio alla sera, studio gli argomenti dell'esame che si svolgerà domani. Ma ad ogni frase i miei pensieri prendono strade secondarie, costringendomi a ricominciare tutto da capo. Studio fino a che la stanchezza non mi avvolge, quindi chiudo i libri e i quaderni lasciati sulla scrivania e mi butto sul letto, ripromettendomi che l'indomani mattina avrei ripassato.
Emergo di soprassalto da sogni di cenere e distruzione.
Quell'uomo.
Il respiro torna regolare mano a mano che la mia mente annebbiata registra dove mi trovo: in camera, al sicuro. Un fascio di luce illumina la parte inferiore del letto.
"Che ore sono?" penso subito, guardando il mio cellulare sul comodino.
Emetto un gemito sconsolato, buttandomi nuovamente sotto le coperte quando leggo l'orario: è troppo presto. Ma dopo vari tentativi, capisco che i miei occhi non hanno intenzione di serrarsi e il cervello di spegnersi; così, spingo via le coperte con un lamento e decido di andare a fare una corsa per il quartiere.
L'aria mattutina è pungente. Chiudo la cerniera della felpa e saltello un po' sul posto per scaldarmi, dopodiché inizio a correre giù per il vialetto, svoltando nella direzione opposta a quella che compio di solito. Controllo il mio respiro ad ogni falcata. Il quartiere è tranquillo a quest'ora, guardo gli abeti dalle fronde imperiose che si stagliano più a destra, illuminati dal chiarore dorato del sole mattutino. Vorrei avere il blocco da disegno con me ora, mi dimentico sempre di quanto sia tutto più armonico sotto le luci dell'alba. Il grigiore della città scompare, rimpiazzato da colori e suoni nitidi.
Mi fermo improvvisamente, cercando di riprendere fiato.
Vibrazioni negative, di nuovo.
Non riesco a recepire da dove provengano precisamente. Puntano nella direzione del boschetto, di questo sono sicuro. Vado verso questi, lentamente, superando il giardino di una villetta a due piani. Le vibrazioni si fanno sempre più forti man mano che mi avvicino. Dei brividi corrono lungo la mia schiena, ma li ignoro e avanzo, determinato a scoprire di cosa di tratta.
Mi fermo davanti ai primi arbusti lanciando uno sguardo di ricognizione nel fitto e piccolo bosco, per poi soffermarmi su un tronco in particolare. È la stessa vibrazione che emanava l'albero dietro casa di Hailey. Non capisco cosa sia, so solo che non è normale. Chiudo gli occhi e provo a concentrarmi sulle sue radici e sento la sua energia irradiarsi ma, insieme a questa, c'è qualcos'altro.
Scavo più a fondo, cercando la fonte di tutta quell'avversità. Seguo le radici che si assottigliano mano a mano, finché, nella mia testa, non ne vedo una completamente diversa dalle altre. Capisco subito che sta succhiando l'energia vitale dell'albero, o meglio, sembra più un virus che si diffonde lentamente all'interno del tronco, facendolo ammalare.
Riapro gli occhi arretrando, senza mai staccare gli occhi dalla sua corteccia, poi, mi volto completamente e corro verso casa.
Sul bus tento di ripassare per il test, ma nella mia mente rivedo continuamente l'immagine di quella radice nera. Maira è al mio fianco, tiene le cuffie alle orecchie e non dice una singola parola lungo tutto il tragitto.
Dopo scuola, mentre usciamo insieme, una Jeep si ferma accanto al marciapiede, a un passo da noi. Il finestrino oscurato dal lato del passeggero si abbassa rivelando Ariadne, e subito dopo Matt al posto di guida.
«Saltate su!» urla quest'ultimo, cercando di sovrastare il rombo del motore e la radio accesa.
Io e Maira ci lanciamo un'occhiata prima di aprire la portiera posteriore per farla salire, la seguo all'interno dell'abitacolo.
«E questo bellissimo fuoristrada?» chiedo con un sorriso sulle labbra.
«È di Adam, in teoria.» risponde lui ingranando la marcia.
«È enorme» commenta Maira dando voce ai miei pensieri.
Matt ridacchia. Nel frattempo Ariadne si gira nella nostra direzione, «Adesso ti accompagneremo alla villa» dice posando i suoi occhi su di me.
Annuisco, mio malgrado, le labbra strette in una linea dura. Sembra essersi addolcita nei miei confronti e non voglio rovinare tutto.
«Tu, invece, verrai con noi al campo» aggiunge infine guardando Maira.
Mi volto verso di lei. Si sta torcendo nervosamente le dita mentre guarda fuori dal finestrino. La mia mano scatta involontariamente verso le sue, quando un pensiero mi fa frenare, lasciandola li, sospesa a metà strada. Vorrei fare qualsiasi cosa per far cambiare direzione ai suoi pensieri, ma mi impongo di non farlo: non le piace il mio lato protettivo, in più, è stata una sua scelta, per quanto non riesca a mandarla giù.
Lancio uno sguardo allo specchietto retrovisore, incrociando lo sguardo di Ariadne che mi stava esaminando per tutto il tempo. Scuote la testa con un sorrisetto sulle labbra e, a quel gesto, la mia mano ricade sul sedile vuoto che c'è tra noi.
Mi rendo conto che Alaric aveva detto che sarebbe andato con loro al campo, forse ha cambiato idea.
Il mio cervello smette di elaborare quando ci fermiamo davanti alla villa.
«A dopo bellezza» dice Matt facendomi un cenno con la mano, che contraccambio con una smorfia.
Prendo lo zaino ed esco dall'abitacolo, però, prima di chiudere la portiera, lancio uno sguardo a Maira. Sono sicuro di averle comunicato con gli occhi tutta la mia preoccupazione.
Si volta nuovamente verso il finestrino dal suo lato, dopo avermi dedicato un debole «A più tardi».
Chiudo la portiera con un retrogusto amaro sulla lingua, e mi avvicino agli scalini di fronte all'ingresso.
«Ehi!» mi urla dietro Ariadne, facendomi voltare verso il veicolo. «Adam ti sta aspettando nella sala d'addestramento» richiude il finestrino mentre l'auto riparte, lasciandomi lì.
Una signora che dovrebbe avere almeno una sessantina d'anni mi apre la porta. Ha un grembiule addosso, da ciò deduco che sia la famosa cuoca di cui parlava Matt. Mi fa un mezzo inchino lasciandomi entrare e, dopo aver chiuso la porta, sparisce oltre il corridoio senza dire una parola.
Conosco la strada, perciò mi avvio da solo verso la sala d'addestramento, dove trovo Adam, proprio come aveva detto Ariadne. È intento a colpire uno dei sacchi da box.
«Ciao» dico poggiando lo zaino a terra, di fianco all'armamentario.
Lui si ferma, riprendendo fiato. Si sposta indietro i capelli umidi che gli erano scivolati davanti agli occhi e va a prendere un asciugamano per tamponarsi la fronte grondante di gocce di sudore.
«Ciao» risponde infine.
Butta l'asciugamano sul tapis roulant. I pettorali guizzano a quel gesto, si infila una maglietta e torna a fissarmi. Sostengo il suo sguardo.
«Vogliamo cominciare?» chiede con voce profonda.
Annuisco e aspetto. Ma lui rimane completamente immobile, finché non aggrotto le sopracciglia, confuso.
«Niente manichino?»
Sorride alla mia domanda. Uno di quei sorrisi arroganti che non raggiunge gli occhi.
«Al contrario di ciò che dicono gli altri, io non ho paura di te. Il tuo bersaglio per oggi sono io.» il suo sorriso si allarga, sardonico.
"E chi avrebbe paura di me?"
«Puoi anche avere i poteri del Creatore e la benedizione degli spiriti, ma rimani sempre un ragazzino» aggiunge cupo.
"Poteri del Creatore?"
«Dimmi un po'...» dico dopo un breve intervallo di silenzio.
I suoi occhi si rialzano su di me, interessati.
«tua madre ti allattava col veleno?» chiedo ironicamente.
Il suo viso si fa inespressivo, di pietra, mentre si avvicina a me con uno scatto, «Prova a ripeterlo» minaccia con voce dura.
Una risata provocatoria mi scuote le spalle. «Ho detto-» comincio.
Ma non finisco la frase, perché Adam alza il suo braccio e, con un gesto fulmineo, preme con forza un punto tra il mio collo e la clavicola.
Il respiro si mozza istantaneamente, e tutto diventa nero.
Il rumore della pioggia che cade mi riempie la testa. Apro lentamente gli occhi, puntati sulle mie ginocchia. La schiena è premuta contro qualcosa di freddo e bagnato, la maglietta si è appiccicata al mio corpo e i capelli sono incollati sulla fronte e sul collo. Mi guardo attorno per capire dove sono e provo ad alzarmi, ma mi rendo conto di avere le mani legate dietro la schiena, contro qualcosa di duro e solido. Un breve occhiata verso l'alto, e capisco che sono incatenato alla statua nel patio.
Strattono le braccia più volte senza alcun risultato. Allora provo a far scivolare le mani bagnate sotto la presa d'acciaio, ma ne ricavo solo delle scorticature sul polso.
"Ma che diavolo sta succedendo?"
Faccio saettare freneticamente le pupille tutto intorno a me.
«Sei sveglio, finalmente.» Adam fa il giro attorno alla statua, guardandomi divertito da sotto le palpebre.
"Che cazzo ha in mente?!"
Si inginocchia di fronte a me, gli occhi socchiusi, minacciosi.
«Ho deciso di far manifestare i tuoi poteri in un altro modo. Ringrazia la tua lingua lunga.»
«Liberami.» è l'unica cosa che dico mentre sostengo il suo sguardo.
La sua mandibola fa uno scatto lieve, indurendo ulteriormente i suoi lineamenti. Si rialza, ridacchiando.
«Sai... appena ti ho visto non ci potevo credere.» prosegue ignorandomi.
«Un ragazzino» ride di nuovo, «un ragazzino dovrebbe salvarci tutti... non ho mai creduto nel Creatore, ma dopo questo, ne ho la conferma.»
Mi dà le spalle. La sua maglietta è appiccicata sulle scapole e sui fianchi stretti.
«Sei venuto qui, attirando l'attenzione di tutti... cos'hai intenzione di fare realmente?» il tono alterato, gli occhi inquietanti.
Punto il mio sguardo su una colonna dietro di lui, irrigidendo la mandibola.
«Non so che problemi hai ma, nemmeno io vorrei tutto questo.» dico tra i denti.
La mia vista è distorta, le ciglia orlate di piccole goccioline di pioggia. Colgo un movimento che mi fa presupporre che si sia rigirato verso di me.
«Quindi» dice con voce tremante dalla collera, «io... noi tutti, rischiamo la nostra vita per proteggere una persona che non vuole veramente collaborare con noi.»
«Io voglio collaborare con voi, ma non sono sicuro di essere la persona giusta.» ribatto rapidamente.
Qualcosa mi colpisce in pieno lo zigomo sinistro e me ne rendo conto solo dopo che la mia testa scatta di lato. Un lamento di dolore e sorpresa sfugge dalle mie labbra. Dei passi si avvicinano a me fulminei, la sua mano si stringe sui miei capelli e, strattonandoli indietro, mi costringe a guardare verso l'alto. Dove davanti a me, a pochi centimetri dalla mia faccia, trovo la sua deformata dalla rabbia.
«Non rischierò la mia vita per te.» sputa fuori con freddezza, «La mia famiglia, non rischierà la vita per te.»
Mi lascia andare i capelli con un altro strattone e un altro pugno violento si abbatte nello stesso punto di prima. Il mondo, per un attimo, volteggia ad una velocità impressionante. Osservo la sua figura al mio fianco; il suo petto si solleva velocemente, il tessuto della maglia è più scuro nei punti in cui è bagnata.
Lo guardo mentre tira indietro la gamba, caricando il colpo. Istintivamente cerco di portare le braccia avanti per difendermi, ma la morsa d'acciaio scava ancora di più sui miei polsi, ricordandomi che non è possibile. Il calcio mi arriva dritto alle costole, facendomi piegare in avanti mentre tutta l'aria che avevo nei polmoni esce violentemente dal mio corpo.
Il dolore e la rabbia mi appannano la vista per un attimo. Non voglio dargli la soddisfazione di vedermi sofferente.
«Tu...» dico cercando di regolare il mio respiro, «dovresti farti vedere da uno bravo.»
Nel giro di un attimo, un altro pugno potente mi colpisce di nuovo alla guancia sinistra, dietro le mie palpebre lampeggiano delle scintille bianche. Il sapore del sangue inonda la mia bocca.
Punto il mio sguardo su di lui per rendermi conto, con gioia, che lo sto infastidendo.
Sputo un grumo di sangue misto a saliva e rido, provocandolo ancora. Lui abbocca subito, rispondendo con un altro calcio diretto verso di me, che arriva dritto sul mio fianco. Trattengo un gemito di dolore e raddrizzo la schiena a fatica.
«Non lascerò che gli altri si facciano imbambolare da te» ringhia.
Serra le mani sulla statua per darsi sostegno e ritrae nuovamente la gamba. Mi colpisce ripetutamente, alla cieca, col respiro affannato e producendo dei suoni gutturali. Ad ogni calcio il dolore riprende a pulsare sul costato, più brutale di prima, non ho nemmeno il tempo di sentire il sollievo dato dalla pausa tra un colpo e l'altro.
Dal dolore e dalla rabbia dei puntini neri mi offuscano la vista.
Stringo le gambe verso il mio petto, accovacciandomi più che posso per tentare di ridurre l'impatto violento delle sue scarpe su di me. Quando sembra averne abbastanza si allontana.
Ho un occhio chiuso, probabilmente già gonfio, quindi lo fisso con astio da quello ancora aperto. Respiro a fatica e avverto del sangue caldo colarmi da un angolo della bocca, assieme alle gocce di pioggia.
«Quell'idiota di tuo padre pensava davvero che tu potessi fare qualcosa, ma non sei niente. Niente! Nemmeno tu ci credi.»
È un attimo, gli angoli della bocca mi si alzano in un sorriso pericoloso e il tempo si dilata; riesco scorgere ogni goccia di pioggia che cade al suolo.
La ormai familiare ondata di energia si fa strada dentro di me. Incamero tutto, proprio come mi aveva detto Ariadne, e la lascio fuoriuscire, dritta contro di lui, in un impeto che non credevo nemmeno possibile.
L'ultima cosa che sento è un rombo forte che scuote la terra sotto di noi. Adam si schianta contro una delle colonne portanti di marmo con un rumore sinistro.
Subito accorre la signora di prima, che con occhi sgranati si porta una mano alla bocca.
E tutto diventa nero, per l'ennesima volta.
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