Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

12 (½): Genesi della furia

FERMI TUTTI!

In questa storia ho intenzione di incorporare canzoni di tanto in tanto, un po' come un background. A mio parere la musica rende più viva l'intera vicenda. Siete comunque liberi di non ascoltare, i gusti sono gusti. Ma questo artista qua sopra merita tantissimo, ha ispirato questo capitolo e mi ha fatto superare un piccolo blocco.

Bene, basta! Vi lascio alla (breve) lettura. Tanto vi romperò di nuovo a fine capitolo.

---

Guardai la bara rettangolare in lucido legno di ciliegio scendere lentamente sotto strati e strati di terra, all'ombra di un frassino.

Non ero sicuro di ciò che stava succedendo davanti ai miei occhi. Lo stomaco, il cervello, i miei polmoni, stavano seguendo quello stesso movimento; annidandosi lì, con lui, sotto il terreno freddo.

Papà.

Da adesso in poi, le mie labbra non lo avrebbero più detto per richiamarlo.

Ora sarebbe stata una parola che faceva parte dell'astratto, legata ai meandri della mia mente, tra resti di memorie impolverate.

Avrei detto: «Ti ricordi di quando papà ci aveva visti litigare in giardino per chi doveva usare per primo la macchina giocattolo?»

Ma quell'appellativo non lo avrebbe evocato, non gli sarebbe più appartenuto.

Il prete ci disse di chinare la testa e pregare. Alzai lo sguardo verso mia madre, a disagio. Non sapevo che dovevo fare, nessuno mi aveva mai insegnato a pregare.

Lei, invece, sembrava avere familiarità con quel rito. Chinò il capo, e osservai le sue labbra muoversi velocemente dietro la cortina di capelli.

«Oh, William...»

Sentii dire al mio fianco, da una signora che singhiozzava stringendo spasmodicamente tra le dita un fazzoletto ormai fradicio.

Tutti ne reclamavano un pezzo; cercavano un posto nella memoria spezzata di mio padre. Persone che non avevo mai sentito nemmeno nominare.

Anche William non sarebbe più esistito.

Allora... che rimaneva, di lui?

«Noel, vedi l'erba?» mi chiese mentre, imbronciato, giocherellavo con un bastoncino, scavando con veemenza nel terriccio.

La discussione che avevo avuto con Chris non era finita bene. Lo avevo spinto a terra, con conseguente ramanzina da parte di mia madre.

Io ero più grande, quindi io dovevo usare per primo la macchina giocattolo.

Lui non si fece scoraggiare dalla mia mancata risposta. Si strinse di più al mio fianco, posando una mano sulla mia per fermarmi da quel gesto ripetitivo, dettato dalla rabbia.

Lo guardai, con la paura che mi avrebbe fatto una lavata di capo anche lui. Invece, strappò un filo d'erba, osservandolo come si studiano le cose misteriose, affascinanti.

«Noi siamo proprio questo pezzetto di prato. Piccoli e fragili, ci pieghiamo al vento e veniamo schiacciati.»

Lo imitai nel suo movimento, avvicinandomi. Quel filo verde e quelle parole lo avevano reso interessante ai miei occhi.

Un mezzo sorriso gli incurvò le labbra, felice di avermi infuso una stilla di curiosità. Tuttavia, continuò a fissare con interesse quello che aveva tra le dita come se fosse un altro mondo da scoprire; così da non spezzare l'incantesimo di cui mi aveva reso partecipe.

«Ma guarda insieme cosa sono in grado di fare.» Indicò l'intero prato con un ampio gesto, tutto il paesaggio che si affacciava proprio dietro casa nostra. E seguii con gli occhi la sua mano.

«Uniti contro le minacce, sono capaci di creare cose bellissime. Hai mai visto un filo d'erba litigare con un suo simile?»

Scossi la testa, ridacchiando all'immagine buffa che si era creata nella mia mente.

«Hai ragione, perché loro sanno che sono tutti uguali. Vivono tutti in armonia nel loro pezzetto di terra, compiono il loro ciclo naturale affiancati gli uni dagli altri.» mi guardò negli occhi.

«Quando siamo uniti, compiamo delle magie incantevoli. Se, invece, cerchiamo di imporci sugli altri tutto si spezza, e allora il prato non sarebbe più un luogo invitante.»

Corrugai le sopracciglia, non capendo esattamente quale fosse il messaggio che voleva trasmettermi.

«Non essere prepotente con tuo fratello. Amalo, perché insieme siete forti, create la magia di cui questo mondo ha bisogno.»

Gli occhi cominciarono a pizzicare, gli zigomi bruciavano, e trovai sollievo quando il vento li carezzò.

Lo sentii dentro, quel sentimento gonfio e sanguinante macchiava ogni piega, ogni angolo di me. In ogni frazione di secondo era pronto a strapparmi il respiro, ghermiva quella parte debole e acerba, temprandola secondo i suoi piaceri.

Qualcosa raschiava nella mia gola: l'impellente bisogno di ricordare l'ultima volta che lo avevo visto, si stringeva sul collo come filo spinato, infuocando la mia laringe.

"Aspetta!" gridavo nel fuoco.

"Aspetta!" gridava ogni parte di me, tesa fino allo spasmo. Quell'urlo silenzioso bussava con forza sulle costole.

"Aspetta!" e l'immagine della bara pulsava violentemente davanti ai miei occhi.

Ma, non ho mai avuto la possibilità di vederlo un'ultima volta, la bara era rimasta sigillata fin dal primo momento.

«Condoglianze, caro.» sentii dire ancora, mentre l'ennesima mano si posava delicatamente sulla mia spalla.

Un gesto di conforto che a me sembrò solo sgradevole.

«Ti guarderà sempre da lassù» disse qualcun altro.

Notai zio Kyle in un'estremità della stanza, gli occhi posati su di me. Gli angoli delle labbra slittarono verso l'alto quando lo guardai a mia volta. Mi misi al suo fianco, ricambiando debolmente il sorriso. Mi cinse le spalle con un braccio, senza dire niente. Rimasi lì, a fissare il pavimento per non incrociare gli occhi degli altri.

Non c'era mai stata così tanta gente in casa nostra. Volevo solo andarmene nella mia stanza e stare da solo.

Vidi la signora di prima sul divano con Chris. Gli spostò una ciocca di capelli da davanti al visto e gli fece una carezza sulla guancia mentre parlava con un forte accento britannico. In cucina, invece, scorsi mia madre conversare in modo fitto con un uomo alto. Non sembrava gradire quello scambio che si stava svolgendo.

Quando decisi di averne abbastanza, mi avviai nel corridoio, verso di lei, sollevando cori di sospiri tristi e parole mezze sussurrate.

Sentii gli occhi di tutti i presenti su di me. Come rapaci, aspettavano di vedermi crollare.

Lei non si accorse di me finché non la chiamai, interrompendo la conversazione con lo sconosciuto.

«Mamma»

«Tesoro» disse in un soffio, sondando la mia figura per intero coi suoi occhi arrossati e lucidi.

Colsi il movimento quasi impercettibile del petto che si gonfiava sotto il vestito nero.

Spostai con uno scatto secco il mio sguardo sull'uomo con cui stava parlando. Le folte sopracciglia mettevano in ombra i suoi occhi, mentre mi osservava in un modo che non capii.

Ritornai con gli occhi su mia madre.

«Poss-»

«Ti presento Alaric.» mi fermò prima che potessi finire di parlare.

Lo guardai di nuovo, senza aprire bocca.

«Era... un caro amico di tuo padre» aggiunse con tono differente.

L'uomo mi guardò a sua volta, chinando la testa nella mia direzione e mi fece un sorriso sghembo. Strinse la mia spalla con una mano, facendomi raddrizzare la schiena in un riflesso involontario.

«È un piacere, Noel.» la voce profonda vibrava di un sentimento che non riuscivo proprio a comprendere.

Tutto d'un tratto, sorreggere il peso del suo sguardo era diventata una fatica per me. Mi sentii intimidito. Il suono di tutti quei sussurri, vedere tutte quelle facce nuove; diventò qualcosa di estremamente pesante. Tutto si amplificò.

Era la goccia che fece traboccare il vaso.

Mi scrollai di dosso quella presa in modo sgarbato, e corsi verso le scale senza chiedere il permesso a mia madre.

Lei mi guardava ancora dalla cucina, gli occhi appannati, la mano sollevata e protesa in avanti. Mentre salivo, percepii l'attenzione di tutti su di me.

Ero finalmente crollato davanti a loro.

Mi chiusi con uno scatto violento la porta alle spalle. Avevo il fiato corto, le labbra completamente secche. Guardai la mia stanza facendo balzare le pupille da una parte all'altra.

Mi aveva schiacciato quel peso, lo sentivo e ora mi soffocava, scatenando il panico.

Cercai di allargare il colletto della camicia con gesti veloci e disperati, graffiandomi il collo.

«Ascolta, Noel.»

Il profilo del suo viso, stagliato nella luce.

Trovai finalmente il bottone e, con uno scatto involontario lo strappai. Fissai quel piccolo cerchio mentre rotolava sotto il mio letto.

Poi, ripresi a slacciare la camicia con gesti secchi e violenti. Sfilai la giacca nera come una furia.

«Ascolta.»

Palpebre chiuse.

Tentavo di slacciare i polsini con mosse tormentate. Il petto si alzava e si abbassava freneticamente. Avevo ancora il respiro pesante, non si era placato, anzi, continuava a dettare un ritmo insostenibile.

Portai il polso verso la bocca e strappai coi denti l'asola dal bottone, poi feci lo stesso con l'altro. I bottoni si scucirono e caddero sul parquet con dei piccoli ticchettii sordi.

Incurvai la schiena in avanti come un'animale piegato alla volontà del suo domatore. Cercavo di ripararmi da quegli schiocchi brutali che colpivano inesorabili, con la forza di mille soli.

«Ascolta sempre attentamente...»

Perso a sentire, nella quiete.

Strinsi le dita tra i capelli, tirandoli forte.

Quanto tempo mi sarebbe rimasto, prima che quel veleno filtrasse?

«... perché, anche un singolo e insignificante dettaglio, nasconde una verità.»

---

Momento isteria II : Ehilà! Ci tenevo a ringraziarvi (di nuovo), perché siete ancora qui a leggere i miei scleri e la mia psico-storia. E aumentate, giorno dopo giorno! Mi avete spronato a continuare nonostante volessi lasciar perdere tutto... e ringrazio anche i lettori silenziosi. Sì, perché so che ci siete e non mi dimentico di voi.

Alla prossima!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro