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3.The killer

26 marzo 2019 ore 19.09, Melbourne.

«Hai presente quando ti ho detto che non soffro il jat lag, ecco sto rivalutando la mia posizione» dico a James poco dopo l'atterraggio in Australia.«Queste diciassette ore di differenza tra San Francisco e Melbourne mi hanno distrutta» dico entrando nella camera d'hotel poco lontana dal locale dove lavora il nostro prossimo obiettivo.

La camera è piccola, occupata quasi interamente dai due lettini singoli con le lenzuola azzurre, separati da un comodino ed una panca bassa alla base di ognuno, destinata ai bagagli. Ringrazio mentalmente quelle cinque ore che potevamo sfruttare per riposare, non riesco mai a chiudere occhio durante un volo.

Dopo aver depositato i bagagli, afferro il beauty case con l'occorrente per farmi una doccia rilassante. Quando ritorno nell'altra stanza vedo James armeggiare con il telefono dell'hotel per ordinare la cena, che arriva una quindicina di minuti dopo. Visto che non c'è una scrivania, decidiamo di cenare seduti sui lettini, con le gambe incrociate. Abbiamo entrambi i capelli umidi per la doccia, i suoi sembrano quasi neri.

«Io e te siamo discreti con le armi ...» lo interrompo prima che continui «Parla per te, io sono molto più che discreta» aggiungo fintamente offesa.

«Dicevo» continua ignorando il mio intervento «che dovremmo affrontare guardie addestrate per anni, un supporto in più sarebbe gradito».

«Che tipo di supporto?»

«Zoe Williams, venticinque anni. Ha un passato militare, ex membro della SAS britannica, una delle migliori squadre d'assalto del mondo, i nomi dei membri sono generalmente segrete. Ma non c'è nessuna informazione che il denaro non riesca a comprare...Adesso si fa chiamare Kate Klagen».

Sorvolo volontariamente sull'orribile nome falso.

"Klagen" davvero?!

«Di solito viene ammesso un soldato su mille, deve essere un vero talento».

«E non ti ho ancora detto che faceva parte del 22° reggimento, Boat Troop».

«Il plotone acquatico ... c'è solo una cosa che non torna, stiamo parlando dell'elite, il modello a cui tutte le forze mondiali aspirano. Perché ha lasciato il reggimento?»

«Io credo più che sia stata estromessa, ma sono soltanto ipotesi comunque».

27 marzo 2019 ore 00.03, Melbourne

La discoteca sorge in una zona periferica della città, l'insegna del locale mi sembra leggermente sbilenca, forse però è solo l'impressione.

Le lettere al neon formano la scritta "Heaven" che ben poco si addice all'aspetto del locale. Dall'interno proviene un remix di qualche canzone che non conosco. Dopo aver acquistato i biglietti entriamo, contrariamente alle apparenze l'interno non è male.

Il locale è pieno di fumo fatto con il ghiaccio secco. Le luci colorate si inseguono sulla pista, trasformandola in un trionfo di blu, verde, giallo e rosa.

La pista è gremita di persone che ballano, avvolte in brandelli di seta e pelle nera, che compaiono e scompaiono a causa del fumo. Lungo la parete, la consolle del DJ e degli altoparlanti mandano onde sonore che salgono palpitando dai piedi ed entrano nel sangue, facendomi vibrare le ossa. Nell'aria un misto di fumo, birra e sudore.

Come concordato mi dirigo verso il bar che si trova su un soppalco, in modo da dominare tutta la pista al di sotto. La barman è vestita con un abito corto nero e delle calze, sul bacino ha un minigrembiule sempre nero, sta versando liquori dietro al banco del bar. I capelli di un caldo color cacao, sono attraversati da una ciocca verde che forma un ciuffo che le ricade sugli occhi. Il taglio corto le dona molto, mette in evidenza i suoi zigomi alti e il leggerissimo filo di eyeliner le evidenzia gli occhi verdi.

«Cosa ti porto?» Mi chiede distrattamente.

«Un virgin sunset, grazie».

Rapida versa delle birre alla spina, per poi preparare il mio cocktail. Mentre agita lo shaker le chiedo a che ora stacca, suscitando uno sguardo curioso e un mezzo sorriso.

«Molto diretta, mi piace. Tra un'ora almeno» mi risponde squadrandomi, per quanto le consente il bancone almeno.

«Aspetterò» dico, mentre con un sorriso prendo il mio cocktail e mi allontano.

«Mary mi allontano un attimo, sostituiscimi!» Urlo alla collega per sovrastare la musica. Dopo aver atteso la risposta, mi tolgo il piccolo grembiule mentre scruto la folla sottostante. La ragazza di prima si stacca dalla massa di persone che ballano per dirigersi verso di me, al piano superiore. Si accosta a me lentamente, e un sorriso accattivante si disegna sulle mie labbra mentre mi appoggio ad una porta chiusa. "Vietato l'ingresso", dice una porta rossa. Allungo una mano dietro la schiena, prendo la maniglia, la giro e sgattaiolo dentro. Intravedo scatoloni impilati e cavi elettrici aggrovigliati. Un magazzino. La ragazza scivola rapidamente al mio fianco.

«Come ti chiami?» Le chiedo. Mi volto sorridendo, la poca luce che c'è nel magazzino entra dalle alte finestre impolverate.

«Emily» risponde.

«Bel nome, io sono Kate» ormai la bugia scivola con naturalezza sulla mia lingua mentre avanzo guardando dove mettere i piedi, per evitare di inciampare nei cavi elettrici scollegati. Nella luce fioca Emily sembra semitrasparente, circondata di bianco come il suo abitino. Sarebbe stato bello farla cadere e ... «Non ti ho mai vista qui».

«Stai tentando di sapere se vengo qui spesso?» Ridacchia lei, coprendosi la bocca con una mano.

Mi accosto al suo viso e quando sono ad un millimetro dalle sue labbra la porta si apre, per poi essere richiusa a chiave.

«Ci dispiace aver rovinato i tuoi piani per la serata, Zoe» dice James. Sento solo la pressione sul mio fianco che si allenta, poi non tocco più terra. Sarei caduta se lei non mi avesse tenuta ferma contro il muro con tutto il corpo, creandomi attorno una gabbia. Una mano è serrata attorno alla gola come una morsa.

«Non so chi tu sia ma prova a muoverti e la tua amica muore» una luce oscura illumina i suoi occhi verdi mentre sento in testa una esplosione silenziosa, un fuoco d'artificio di rabbia.

«Non siamo tuoi nemici». James si avvicina con cautela, con le mani ben in vista, come se stesse trattando con una belva feroce. Vedendo il gesto di James, Zoe intensifica la stretta sul mio collo. Mi avrebbe sfondato la trachea.

«Cosa vuoi da me e come sai il mio vero nome?!» Dentro di me so che sarebbe normale avere paura, ma quello che provo è un freddo distacco.

Il tempo sembra essersi fermato. E' così vicina a me che posso sentire il cuore nel suo petto.

Tum.

Lo sguardo preoccupato di James non mi abbandona mentre parla.

Tum.

Le sue labbra si muovono ma non sento nulla.

Tum.

La vista si offusca.

Tum.

Poi il buio, mentre il mondo si accartoccia su se stesso.

27 marzo 2019 ore 03.42, Melbourne

Mia madre era nella piccola casa della mia infanzia. Era di spalle alla finestra, avevo paura che toccandola sarebbe sparita. La musica crebbe intorno a noi, mia madre mi rivolse un sorriso dolce, mentre faceva vibrare le corde del suo amato violino. Gli occhi socchiusi, concentrati sulla melodia.

Qualcuno mi stava stringendo la mano così forte da farmi male. «Emily, ti prego ...» mi sentii chiamare, la voce era lontana.

La cucina roteò su se stessa, per poi ripiegarsi come una busta. Mia madre sparì al suo interno, come parole scritte in un tempo lontano.

Mi scaglio in avanti, le lenzuola aggrovigliate mi trattengono. Sono in camera, siamo tornati in hotel. La finestra aperta, le luci accese ma soffuse. James è seduto ai piedi del letto , quando vede che ho riaperto gli occhi si scaglia su di me, mi mette le braccia intorno alle spalle e io mi aggrappo a lui. «Emily stai bene? Ricordi cos'è successo?» Chiede con tono concitato mentre mi guarda preoccupato «In parte ... come siamo arrivati qui?» Sussurro. La voce che esce stento a riconoscerla come mia, per com'è graffiante. «Sono riuscito a spiegarmi appena in tempo. Credeva fossimo due agenti assoldati per ucciderla, non sarebbe stata la prima volta, comunque. Sono già state mandate tre squadre». Con un cenno gli indico di continuare «Zoe ci ha dato un passaggio fin qui, abbiamo finto che tu fossi ubriaca. Avresti dovuto vedere il volto del receptionist».

«Come l'hai convinta?»

«Ho avuto fortuna. A quanto pare la mia intuizione era giusta, è stata radiata dall'elite. Gli uomini sono sempre più decisi a restituire un torto che non un favore».

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