Tabula rasa
5
Allora - disse Luisa rimettendosi in piedi - "evochiamo"?
- Evochiamo! - sputacchiò Linda ancora in preda alle risate e aiutando Maria ad alzarsi.
Jennyfer e Noemi si sollevarono da terra per ultime e, trovandosi a chiudere il cerchio formato da quello strampalato gruppo, non se la sentirono di tirarsi indietro.
La stanza era ora pervasa da un'atmosfera del tutto nuova e la complicità nata tra i ragazzi aveva contribuito a smorzare ogni tensione iniziale, eppure Jennyfer non riusciva proprio a scrollarsi di dosso quella spiacevole sensazione. Noemi si accorse che le mani di sua sorella erano gelide e avvertì un brivido lungo la schiena, ma attribuì il tutto agli spifferi che passavano attraverso le intercapedini dei vecchi infissi di quella casa.
Nella speranza di sentire di nuovo quell'urlo, le ragazze decisero all'unanimità che spettasse a Maria essere al centro della scena.
Ripassarono la filastrocca tre o quattro volte, per essere sicure di non doversi interrompere sul più bello. Poi si misero in semi cerchio, l'una attaccata all'altra, rivolte verso Maria che le guardava ipnotizzato. Il poveretto non aveva mai avuto tante ragazze di fronte, e per giunta vive: per quanto lo riguardasse, avrebbero potuto anche metterlo a testa in giù con un calzino sporco in bocca e le avrebbe comunque assecondate.
Quando Noemi pronunciò la prima strofa della filastrocca, i sorrisi erano ancora stampati sulle loro bocche, la mano di sua sorella stretta alla sua, i corpi delle ragazze uno a fianco all'altro, gli occhi di Maria vispi e attenti. Quando le voci delle ragazze si unirono in un coro, le mani erano sulla bocca e sulle orecchie di Maria, le voci avevano perso l'inflessione donata dal sorriso, ma questo Maria lo avvertiva a malapena, mentre piegava la testa per farsi cullare dalle mani che la sorreggevano. Quando le mani gli tapparono il naso, Maria aprì la bocca per prendere istintivamente fiato, rassegnato al fatto che a breve, quelle otto mani, lo avrebbero abbandonato.
Quando la nona mano gli tappò la bocca, era troppo tardi per gridare aiuto.
L'urlo che implose nella sua gola fece raggelare il sangue delle presenti che caddero a terra terrorizzate, ignare di quanto stesse accadendo al loro amico. Prive della forza necessarie ad alzarsi in piedi, ognuna di esse si trascinò all'indietro come poté ma senza scostare gli occhi dal ragazzo che ora dimenava le gambe sospeso a più di due metri da terra, mentre braccia e mani erano salde all'altezza del petto e sembravano afferrare qualcosa di invisibile.
Noemi fu la prima a vederlo.
Dapprima riuscì a visualizzare i contorni di una spalla dalla quale si estendeva un arto spropositatamente lungo. Poi vide comparire delle mani sottili e lunghe dita deformi che stringevano la presa intorno al collo del malcapitato.
Trovandosi alle spalle di quell'essere, Noemi non avrebbe potuto distinguere in alcun modo il volto di Maria, ma quel corpo sembrava non essersi ancora del tutto manifestato e poté dunque osservarlo attraversandolo con lo sguardo, dal suo stesso interno, come se fosse una maschera di carnevale in procinto di essere indossata.
Intuì da quella prospettiva gli zigomi alti, la bocca deforme e gli occhi a palla che scrutavano Maria.
A quel punto scostò lo sguardo; sapeva che l'orrore negli occhi di Maria non era indirizzato a lei, tuttavia l'inconsistenza del corpo che li divideva li poneva l'uno di fronte all'altra, rendendola spettatrice inerme di quella comunione macabra che lega in maniera indissolubile una vittima al proprio carnefice.
Nel farlo incrociò lo sguardo di sua sorella Jennyfer.
Non riusciva a interpretare la sua espressione, c'era dell'altro oltre alla paura e nel contempo mancava qualcosa che in una situazione simile era inammissibile non provare: non c'era traccia di stupore nei suoi occhi. A quel punto il mostro dovette renderle i ricordi, così come aveva fatto con Jennyfer poco prima.
Bastò un attimo, il tempo che impiega il cuore a perdere un battito, per capire cosa fosse quella scintilla intravista negli occhi di Jennyfer e a cui Noemi non era riuscita a dare un nome: era rabbia pura.
Era odio, era rancore, era frustrazione, era il desiderio che quel corpo avesse una consistenza tale da permetterle di squarciarlo con le proprie mani. Era tutto ciò che ti fa marcire il cuore giurando che, prima che ciò accada, avrai ottenuto la tua vendetta.
Ed era quello a cui miravano in quel momento entrambe, in piedi l'una di fronte all'altra, sotto lo sguardo impietrito delle gemelle. L'avrebbero ottenuta a ogni costo, assieme alla cosa più preziosa che quella bestia schifosa, un anno prima, si era portata via e che non aveva ancora restituito se non sotto forma di un ricordo: la piccola Giorgia, la minore delle tre sorelle.
- Ridacci Giorgia! Ridaccela! Giorgia dove sei?
Già indebolito dall'aver restituito loro la memoria, quell'essere ebbe un ulteriore cedimento al solo udir pronunciare il nome della piccola Giorgia. Raccolse tutte le sue energie per voltarsi in direzione di Noemi e, nel farlo, lasciò cadere il corpo apparentemente senza vita di Maria.
Vibrò un colpo in direzione di Noemi con una violenza tale che l'avrebbe dilaniata, se solo in quel momento non fosse ridotto a un corpo astratto. Consapevole di essere in quel frangente inoffensivo, si scaraventò verso Noemi e piantò il proprio volto nel suo petto, come per guardarle dentro.
- Eeeeccola lì - sussurrò.
Per Noemi fu come se la voce giungesse dal suo stesso cuore. Quell'essere cavò la testa dal suo sterno e si ritrovarono faccia a faccia.
- Tu... hai... -
Paura. Certo, come poteva non averne. Ma la paura risiede nei cuori di chi ha ancora qualcosa per cui lottare e lei non era ancora disposta ad arrendersi.
Noemi lo attraversò, notando che la consistenza di quel corpo continuava a mutare e ora, era come se fosse fatto di gelatina, motivo per cui il movimento della ragazza venne rallentato. Urlò ancora il nome di Giorgia, perché era evidente che quel nome fosse in qualche modo collegato al suo indebolimento, e rievocò nella mente l'ultima immagine che aveva della sorellina, con l'abito rosso indossato per le occasioni speciali. Era tuttavia una ragazzina terrorizzata e vedendo sua sorella maggiore di fronte a sé e in lacrime, si mise a piangere di riflesso, porgendole le mani in cerca di aiuto e singhiozzando il suo nome piuttosto che quello di Giorgia.
Questo lo rese più forte permettendogli di afferrarla, sottraendola all'abbraccio di Jennyfer.
- La mia preferita - e spalancò la bocca.
Le gemelle, che avevano assistito alla scena, cominciarono a urlare il nome di Giorgia. Il corpo vibrò, la bocca si chiuse.
Non era abbastanza.
Jennyfer corse incontro alla sorella e riuscì a darle l'abbraccio che aveva cercato. Gridò il nome di Giorgia e la strinse come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Noemi fece lo stesso, liberando il volto dall'incavo della spalla di sua sorella, e gridò ancora più forte quando vide Maria alzarsi e unirsi a loro nell'invocare quel nome.
Giorgia apparve davvero.
Vestita con lo stesso abito che indossava la notte che se l'era portata via, la videro affacciarsi dall'anta del vecchio guardaroba. Era cresciuta, quell'abito le stava stretto.
Si portò un dito al naso come per chiedere a tutti di fare silenzio.
Fissando Noemi, che quasi svenne dall'emozione nel vederla ancora viva, trattenne le lacrime e sorrise, mostrando quelle inconfondibili fossette. Il mostro divenne poco più che un'ombra e loro caddero a terra.
Si sarebbero abbracciate per tutto il tempo del mondo. Si sarebbero perdonate, Dio sa quanto avessero bisogno Jennyfer e Noemi di sentirsi perdonate, ma non ce ne fu il tempo.
Una mano sbucò dall'armadio, una mano umana con il polsino di una camicia, i gemelli e la manica di una giacca. E se la portò via ancora. Si portò via il suo nome, assieme al suo volto, al suo profumo.
Qualunque cosa fosse accaduta quella notte, lui l'avrebbe portata via con sé perché, alla fine, non ne rimanesse in piedi neppure un ricordo. Lo aveva fatto un anno prima, quando venne evocato per la prima volta dopo secoli. L'ebbrezza di trovarsi di fronte non una ma tre bambine, tre sorelle capaci di evocarlo, era troppa per lasciarsi scappare quell'occasione e aveva deciso di portarsele via a una ad una.
Eppure quella sera, per la prima volta nella sua lunga esistenza, qualcosa era andato storto. Nulla a cui non potesse rimediare, facendo tabula rasa dei ricordi di chiunque avesse avuto modo di assistere o avesse anche solo sentito o intuito che, effettivamente, negli angoli poco illuminati delle stanze, nell'armadio cigolante o in un vecchio baule dimenticato in soffitta o, ancora, sotto il letto di un bambino indifeso, un mostro c'era davvero.
Ed era molto, ma molto paziente.
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Spigolo Autore ("angolo" è troppo inoffensivo...)
Uh, è tanto che non edito questo capitolo! Sono qui solo per scopi promozionali. Partecipo a #WTPU2019 e taggo spontaneamente e di mia iniziativa, nel pieno delle mie facoltà mentali, le giudici Primrose_Lovegood e (che dio v'abbia in gloria scegliersi dei nickname più facili no?) masvherata
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