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Il corpo che abitavo

11

- Je'.
- Oh.
- Niente...

Era una domenica d'Aprile, il sole faceva le prove per l'estate affacciandosi di tanto in tanto, di nuvola in nuvola.

Sdraiate sull'erba fresca, testa a testa, sotto l'ombra di un enorme albero di noci, Jennyfer e Noemi si improvvisavano giudici severe, assegnando un punteggio ad ogni timida apparizione di quel sole tiepido.

Quello era il loro albero, si rifugiavano lì quando a scuola andava male, quando in casa si litigava oppure, come in quell'occasione, quando al nonno "capitava" di morire.

- Je', secondo te, il nonno...
- Cosa?
- No, niente.

Jennyfer cercò di rivolgerele lo sguardo ma risultò difficile così posizionate, l'una adagiata sui capelli dell'altra. Non riuscendoci, torse il collo fino ad afferrare con i denti una ciocca dei capelli di sua sorella.

- Se non parli subito, Ugo ne subirà le conseguenze - mugugnò con i capelli di sua sorella ancora in bocca.

- Ok ok! Molla Ugo.
- Allora?
- Pensi che il nonno si sia sentito solo?

Se n'era andato di notte, nella solitudine di una stanza d'ospedale, poche ore dopo l'essersi congedato da sua moglie e dai suoi figli.

- Sei e mezzo.

- Può fare di meglio - aggiunse Noemi con lo sguardo rivolto a quella stella morente.

- Non lo so - riprese Jennyfer - almeno si sono salutati.

- A noi avrà pensato?

Una folata di vento smosse il prato tutto intorno, sembravano piccole onde impazzite alla vana ricerca di uno scoglio sul quale infrangersi.

- Penso di sì. Sicuro sì.

Noemi smise di fissare il cielo e guardò in fondo alla collina; riusciva a intravedere il rudere di quella vecchia casa abbandonata e, più in là, le mura antiche del paese.

- Ti sei persa un otto, lo sai che non concede bis in questa stagione.

Noemi prese fiato e scostò un pensiero troppo grave per la sua giovane età.

- Cosa c'è - la intercettò sua sorella maggiore.

- Quando muori tu, la stringo io la tua mano.
- È perché devo morire prima io?
- Sei più vecchia - lo disse seria, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
- Di due anni! Ho quindici anni!
- Mica devi morire ora!
- Grazie.
- Figurati - e rise.
- No, davvero...

Grazie.

Lo disse a mezza voce, intrecciando con le dita i propri capelli con quelli di sua sorella.

- Dieci!

Il sole era uscito allo scoperto e ora filtrava tra i rami di quel noce, costringendole a chiudere gli occhi.

- Noé...
- Mh.

Com'è quel detto che ripete sempre nonna?

Jennyfer avrebbe posto quella precisa domanda a sua sorella, se solo Noemi fosse stata al suo fianco.

Ma in quella stanza d'ospedale sua sorella non c'era. Non voleva fargliene una colpa, ma la sua assenza aveva il sapore di una promessa infranta.

Stava per perdersi in quel ricordo quando, dalla gola di un corpo che le era stato sottratto, emerse una voce antica come il male del mondo e che si prese gioco di lei, rispondendo ad una domanda inespressa.

- Quando qualcosa non va nella testa, ricordati che hai un corpo. Muovilo. Non è ciò che direbbe quella donna, piccola Eva?

Terminò con un suono gutturale, una risata ripugnante che non aveva nulla di umano.

Subì l'umiliazione di quel sopruso, osservò la bocca statica, il sorriso ferino che un ventriloquo crudele aveva impresso al suo volto.

La porta di quella stanza venne aperta di colpo, il volto smise di sorridere, gli occhi furono serrati e Jennyfer cominciò a levitare nuovamente, fermandosi a pochi centimetri dal soffitto.

Un'infermiera si accostò al letto e cominciò a trafficare con un flacone che venne rapidamente sostituito. Si assicurò che il deflussore e l'ago collegato ad esso, fossero saldamente posizionati.

Intinse una garza sterile in una sostanza verde per poi accarezzare la fronte della ragazza, cercando di rimuovere del sangue coagulato.

Mentre compiva quel gesto, la donna attraversò con il gomito entrambi i fili di luce, quelli che Jennyfer aveva precedentemente notato uscire dal centro del petto del suo corpo fisico.

Come il pizzico su una corda di violino, quel gesto generò delle vibrazioni e Jennyfer visualizzò prima Noemi, intenta a parlare con un ragazzino e poi Giorgia, inghiottita dall'oscurità.

Il volto, quello fisico, aggrottò per un attimo la fronte. Quella reazione non sfuggì alla donna che rivolse subito l'attenzione al monitor dello schermo dell'elettrocardiogramma, sperando di scorgere tra quelle intermittenze qualche segnale di ripresa.

Attribuì quel gesto ad uno spasmo involontario e dopo un attimo di esitazione, uscì dalla stanza.

Nell'istante successivo, quel volto trasfigurò in un espressione di rabbia primordiale.

Dimmi cosa hai visto.

Un respiro affannoso accompagnò l'inarcamento della schiena che affondò sul materasso per poi sollevarsi, il petto si allargò e subito si contrasse, sembrava sul punto di svuotarsi come un palloncino.

La bocca venne spalancata al limite della propria portata, tanto che delle piccola lacerazioni comparvero agli angoli.

È davvero questo che vuoi?

Jennyfer avrebbe voluto fuggire urlando da quella situazione ma doveva fare i conti con il fatto di non aveva neppure il controllo dei propri pensieri; era entrata in simbiosi con qualcosa di antico e spaventoso e se voleva uscirne viva, doveva capire cosa avesse causato quella reazione violenta perché, forse, quel qualcosa costituiva la sua unica via d'uscita.

Ridammi il mio corpo.

Non la voglio la tua carne, ma ne rimarrai ugualmente fuori. In cambio, se vuoi, ti dico un segreto. Uno di quelli veri, cose che non è dato conoscere ai calpesta terra come te.

Voi pensate al tempo come a qualcosa che scorre e non che si espande, avete intrappolato le vostre vite in minuti, giorni e ore. Facciamo un gioco.

Dal ventre del suo corpo vide ergersi un arto deforme e incorporeo.

Afferrò un terzo filo, argenteo, reso visibile dal tocco della sua mano e che collegava Jennyfer al suo stesso corpo.

Visto che scandite le vostre esistenze con il ticchettio delle lancette, sappi che c'è un tempo limitato entro il quale non potrai più far rientro nel tuo involucro.

Con un gesto netto, stralciò quella linea di luce e la sua proiezione eterica cadde a terra, sottostando ad una forza gravitazionale della quale ignorava le dinamiche.

Tic, tac, piccola Eva. Trentatré... come li chiamate, minuti? Trentatré minuti e trentatré secondi.

Dì addio a chi é rimasto a piangerti, se sei brava forse farai in tempo a salutare quella donna. Com'è quel detto che ripete sempre tua nonna? Chi ha tempo...

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