12. ancora per un po'
Esistono dei ricordi che vanno oltre ciò che possiamo ricordare. Certe immagini, certi odori, ti restano incastrati tra le pieghe della pelle e negli interstizi dei denti senza che tu te ne accorga. E quando ci pensi, i piedi ti tremano dentro le scarpe per costringerti a non muoverti.
C'è qualcosa di nervoso e laico quando penso a te. Le dita si raffreddano, come se il cuore richiami tutto il sangue su di sè, e la testa inizia ad accogliere tutti gli stimoli esterni come farebbe una scatola di cotone. Sento tutto ovattato. Vedo tutto bianco.
Giurerei che tu abbia gli occhi più scuri del ciliegio, ma quando penso a tutte le volte in cui mi hai guardata mentre dicevi di amarmi, le guance cominciano a pizzicarmi e io non so più se siano azzurri o celesti. Poi scrollo le spalle e aspetto che la nebbia se ne vada via dai miei ricordi, scivoli dagli interstizi dei denti e dalle pieghe della pelle.
Lei è tutte quelle cose che non mi hai mai detto, gli sguardi che ti donavo solo mentre dormivi, l'odore del tuo balsamo contro i capelli secchi che rubavo a piccole puntate quando non eri lì a guardare. Lei è tutto ciò che non siamo mai state e io, pensando a ciò che eravamo, lascio che mi appanni la vista ancora per un po' .
-L
Giovedì, 9 Luglio
"Ti piace Calvino?"
Sbatto le ciglia.
Ha detto che aveva capito. Io conoscevo il suo passato - beh, qui, nominandolo, aveva sorriso come se avesse voluto cacciarsi in bocca una lima di ferro - e secondo il suo punto di vista, che a detta sua era anche il mio, il comportamento che aveva avuto alla festa mi aveva messo con le spalle al muro. Ha evitato di nominare la parola muro, per la precisione, e qualsiasi altro rimando al termine abbattere, ma insomma, sembrava sicura e a me è bastato.
"C-come?"
"Calvino, ti ho chiesto se ti piace." -ripete- "Lo conosci, no?"
Lei muoveva le mani come se non trovasse pace, anzi no, come se non avesse mai incontrato la pace nella sua vita. Forse sono state loro a distrarmi, forse le labbra smilze che si muovevano asimmetriche mostrando un incisivo per volta, i tatuaggi, il lupo, la sua voce, la sua fretta, le porte scorrevoli che ci riflettevano troppo distanti. Avrei dovuto ascoltare Federico e lasciare quel suo naso a Torre Eiffel a riflettersi da solo sull'Arno, ma lei muoveva le mani davvero veloci e a me aveva già iniziato a mancare.
E poi.. e poi ha trovato la soluzione per entrambe, tutto da sola. Dovevo perdonarla.
"Perché me lo chiedi?"
"Non so." -inclina la testa mentre morde la coda della matita- "Credo che le persone si dividano in due categorie. Chi ama Calvino e chi lo odia."
"Allora io credo di essere nella seconda."
Aurora scrolla una spalla e infila la Stabilo al centro del libro che si apre e si disfa sotto i suoi occhi. Con una mano docile e calda tiene ferme le pagine, mentre l'altra si diverte a fare passare i ciuffi d'erba tra gli spazi delle dita.
"Immaginavo."
Il sole le illumina la schiena creando un romboide sbiadito sulla maglietta di cotone bianco, così fina che riesco a vederci la sua pelle olivastra fare su e giù mentre le si riempiono i polmoni.
Aurora mi guarda sorridendo dietro le lenti rotonde.
"E da cosa?"
"Non so." -si sfiata mentre trova un nuovo appoggio sui gomiti- "Vedi, quelli a cui piace Calvino si riconoscono subito. Un po' come quelli che guardano gli horror."
"Io odio gli horror."
"Io li adoro."
Sento la pelle tirare non appena i muscoli della fronte avvicinano le sopracciglia raggrinzendola. Lei, invece, ha il viso pulito e rilassato e con gli occhi scorre riga per riga quel suo libro dalle pagine piccole e quadrate.
Fai sempre così?
Lanci le granate e poi t'infili un fiore dietro l'orecchio?
Torno a pensare che sarebbe bello posare la testa lì, su quel romboide di pelle sopra il suo sedere, che mi accoglie come una culla e mi fa addormentare, ma lei ha già alzato di nuovo lo sguardo.
"A te devono piacere quei film strani, quelli.. Quelli che non si capiscono mai, che poi vai a cercare su Wikipedia per capire come finiscono."
"E come-"
"Qual è il tuo regista preferito?"
Smetto di sorridere per gradi, perché gli occhi di Aurora sono fermi nei miei e hanno giá abbassato i remi. Sento la sua àncora che cade colpendo il fondo.
Vorrei gattonare nelle tue vene.
"Scorsese."
Ci pensa, alza anche il mento, così che le collanine le sfregano con un suono acido, poi annuisce e rificca il naso tra le pagine del libro.
Il sole non è mai stato così alto da quando siamo assieme e forse, con qualche preghiera, spero che non senta il mio cuore che si lamenta.
"Perché me lo hai chiesto?"
Fa finta di non aver sentito, allargando un po' gli occhi lavorati con la matita e un pugno di eye-liner.
"Oh, beh.. Con un film ci capisci poco." -si gratta la testa- "Il regista è diverso, mi parla più delle persone. Tarantino? Troppo violento. Nolan? Troppo cervellotico. Burton? Macabro. Woody Allen? Nah, quello non mi piace proprio."
"Ma-" tento di dire, ma lei mi mangia la lingua. Sembra che quel libro le abbia caricato le corde vocali come un ingegno a molla.
"Tutti dovrebbero avere un regista preferito." e mentre lo dice, con il collo dritto e il solo labbro inferiore che si muove, avvicina gli occhiali da vista spingendo la montatura.
"E il tuo?"
"Oh, no, io non ce l'ho." dice, senza nemmeno distogliere lo sguardo dai caratteri stampati.
Il silenzio mi permette di pensare al modo più comodo per chiederle cosa voglia da me, se vuole che le risponda, che le domandi qualcosa, che ritratti questo strano patto d'amicizia che poggia su quattro pioli di legno marcito. Il tempo non scorre più a rintocchi, ma se ne striscia via come l'acqua del laghetto alle mie spalle.
In un attimo mi rendo conto che il silenzio è diventato troppo profondo.
"E il colore? Il tuo colore preferito me lo dici?"
Aurora mi sorride come a voler dire davvero? così convenzionale? e le guance mi si colorano di un rosa acceso che sale piano piano alle orecchie e alle tempie. Lei non smette mai di guardarmi fino a perdere il segno delle pagine.
"La.. La modella, allora?"
È orgoglio quello che vedo?
O stai solo cercando un modo ancora più raffinato di compatirmi?
Io chiedo solo di conoscere tutte le rughe sulle tue mani.
"Cara Delevingne." -grida piano, con ampollosità contenuta, senza lasciare spazio ad altre domande- "E tu?"
"Candice Swanepoel."
Ora le scappa una risata che le dipinge una fossetta sulla guancia sinistra e due rughette a boomerang a lato della bocca. Mi chiedo se mi stia prendendo per il culo, ma non mi importa più di tanto. Lei può fare tutto con me.
"Perché ridi? Troppo scontata?"
"No, assolutamente no, è che.." -si morde un labbro, ma non in modo malizioso- "Continuiamo a credere di non conoscerci abbastanza, ma io mi sapevo cosa avresti risposto. A dire la verità, me le aspetto un po' tutte."
Stringo le labbra, piego le sopracciglia. Lo strappo ai jeans si allarga ogni volta che avvicino ancora di più le gambe incrociate.
"Non riesco a capire."
Aurora piega la bocca a mezzaluna e si mette a sedere come farebbe una madre che spiega al proprio figlio quale dei tanti peccati ha piegato per primo il mondo. Mi sposto per guardare oltre le sue spalle: ha chiuso il libro.
"Rientri negli schemi."
"Rientro negli schemi?"
"Mh-mh." -si compiace- "Perfettamente centrata."
Ho voglia di prenderti a schiaffi, forse dopo faremo l'amore.
"Vedi" -inizia massaggiandosi le mani- "i film di Scorsese sono ciò che di più democratico ci sia al cinema. Un po' di violenza stile Tarantino, un po' di suspence per Nolan, un po' di atmosfere macabre come nelle pellicole di Burton, un po' di dialoghi incomprensibili e filosofici che solo quell'ebreo di Woody può inventarsi. Tutto in soli centoventi, centoquaranta minuti comodi comodi e acchiappa Oscar."
Ora lei è ferma, ha smesso di muovere le mani e mi guarda con la testa storta dritta negli occhi.
"Non riesco ancora a capire."
"Candice Swanepoel. Modella, mamma, divorzio discreto e consensuale. Ancora non ci arrivi?"
I tuoi occhi, Blu.
Stanno iniziando a cambiare colore.
"Non sono un'ortodossa."
"Questo ancora non lo so, ma penso che vorresti esserlo."
Lascio uno spiraglio tra le labbra che ancora riescono a sfiorarsi, ma esce solo un alito di vento che sbatte sulla punta del suo naso.
Aurora non sorride più ed ha riaperto il libro. Sulla copertina c'è scritto Oceano Mare e penso di voler sputare in faccia al blu.
"È il grigio, comunque." -dice- "Il mio colore preferito."
[...]
"Posso farti una domanda?"
Aurora apre un solo occhio, stringendo l'altro come se non riuscisse a farlo bene.
"È per le sfumature."
"L-le sfumature?"
Tossisce e il seno le rimbalza sul petto come una pallina di gomma che rincula sul legno.
"Il bianco e il nero, o il bene e il male, non hanno profondità senza il grigio. Come in tutte le cose."
La saliva scende granulosa lungo la gola. Le papille hanno iniziato a oliare la lingua e io non so nemmeno il perché.
"Non era questo quello che volevo chiederti."
"Oh." -dice, aprendo la bocca in una o perfetta- "Dimmi."
"Ti sembro una cattiva persona?"
Aurora respira - no, forse sospira - e apre entrambi gli occhi. I suoi capelli sono sparsi un po' ovunque sopra l'erba e l'umidità del terreno glieli ha un po' gonfiati.
"Perché me lo chiedi?" domanda tirandosi su a sedere.
Ha le occhiaie rosse e le palpebre che quasi si toccano: devo averla svegliata.
"A volte ho bisogno di sentirmelo dire."
Non guardarmi così, come..
Come se fossi un cucchiaio sporco o un palloncino che è volato via.
"Comunque no. Non lo sembri affatto."
Mi guarda per un secondo, come se volesse studiarmi, come se potesse sottolinearmi, come se aspettasse qualcosa. Poi passa una mano tra i capelli portandoseli dietro le orecchie e lascia andare la testa all'indietro fino a che il collo le si piega tra le spalle. Il seno le va su e giú mentre respira.
"Non voglio essere come la mia famiglia, Auro."
Mi giro pensando che abbia parlato qualcun altro. Aurora ha spalancato gli occhi e ora ha le spalle rigide.
"Non l'ho mai pensato."
"Hai detto che voglio rientrare negli schemi. Non vedo quali altri schemi ci siano se non i loro."
Mi bagno le labbra.
Da qualche minuto, il percorso che taglia il parco ha iniziato ad accogliere i passeggiatori con le loro scarpe super leggere e la tenuta da tempo libero. Aurora, appena ne ha visto qualcuno, ha sbuffato tre volte prima di chiudere il libro e usarlo come cuscino e io ho capito subito che questo é il posto in cui viene per scappare.
Perché non capisci, allora?
Io cerco solo di scappare da loro più veloce di quello che faccio con te.
"Non intendevo quello."
"Forse non volevi, ma é proprio quello che hai fatto."
Lei strizza la fronte in disaccordo con l'aria di chi sta per andarsene.
"Sai, quand'ero piccola non cercavo altro che la loro approvazione. Ero precoce e imparavo tutto molto in fretta e a pensarci ora, credo d'esser stata cosí solo per renderli orgogliosi, per sentirmi amata, per riempire quel piccolo ego che già avevo. Mio fratello.. Lui era diverso. Sapeva della nostra condizione economica, ma sembrava non importargli. Se ne girava con i suoi amici che avevano vestiti normali, giochi normali, vite normali, e se ne fregava di tutto, se stesse vestendo un Ralph Lauren o un maglione della Benetton, se era una domestica a ripulirgli gli aloni di fango che lasciava il pallone sui vestiti e non sua madre."
Mi scappa da ridere pensando a quella volta in cui Giorgio era tornato con una ferita che gli andava da tempia a tempia, giustificandosi solo col dire che non era molto portato per lo skate: la domestica era quasi svenuta, ma questo Aurora non lo sa e mi osserva tenendosi sotto i canini l'idea che sia pazza.
"Io pensavo che lui fosse sbagliato, che non facesse davvero parte della famiglia per comportarsi così, e dall'altra continuavo a raccogliere le premesse per diventare l'erede aziendale di papà. Vedi come cambia il tempo?"
"Cos'é successo poi?"
Ho incontrato te, Blu.
Ora non mi vengono in mente altre cose importanti da allora.
Sospiro cercando le parole giuste. Aurora si nasconde sotto qualche nuvola bianca come il cotone e mi si avvicina un po', finendo per toccarmi una spalla.
"Poi ho capito che mio fratello aveva ragione e che ero io quella sbagliata." -mormoro- "Non serviva a niente sacrificare la propria vita per far parte di quella famiglia nel modo in cui la intendeva nostro padre. Giorgio non aveva chiaro tutto, ma non è mai stato ambizioso e il suo carattere lo aiutava a prendere le distanze da quel mondo anche senza volerlo. Io mi ero fatta ingannare dai premi, dalle paroline dolci, dallo sguardo fiero di papà e non vedevo il marcio dietro l'amore. Poi sono cresciuta e sai, gli ho dato le prime delusioni. Papá ha smesso di guardarmi come faceva prima e la mamma mi diceva parole dolci solo quando nessuno ci sentiva. Loro mi volevano come mi avevano plasmata, ma io sentivo la camicia troppo stretta e me ne sono andata."
Guardo di fronte a me, sopra le panchine e sotto le fronde degli alberi, per cercare un po' di dignità nel silenzio, poi giro la testa verso Aurora che se ne sta lí con una ruga a forma di fionda in fronte e non riesce a trovare un senso a ciò che siamo.
"Forse per quanto riesca a scappare da loro, non potrò mai essere come voglio." -dico senza voce- "Ci sono cose che ti restano dentro a prescindere dal fatto che tu lo voglia o meno."
Strappo un ciuffo d'erba dal fazzoletto di terra che mi divide i piedi. Aurora ha tirato le gambe al petto e poggiato il mento sulle ginocchia. Si dondola piano e una parte del suo corpo spinge la mia a fare lo stesso.
Andiamo avanti cosí per qualche minuto, forse dieci, forse trenta, più probabilmente cinque. Le mani mi tremano mentre striscio i polpastrelli sui singoli fili di erba, producendo un suono stridulo che sembra il grido di un bambino. Aurora mi ascolta per un po', poi mi ruba il giocattolo dalle mani e mette lo stelo di un fiore al suo posto.
"Beh, Scorsese non é poi così banale. Ho conosciuto persone che adorano i film di Moccia."
Le labbra mi tirano mentre tento di sorridere, come se ci fossero dei punti che tengono uniti i lati di una ferita.
Sento lo sguardo di Aurora che bussa contro la mia guancia, poi vedo i suoi zigomi farsi avanti e ancora più avanti fino a che mi stanno quasi di fronte. Alzo di poco gli occhi e lei disegna un sorriso sul suo volto, chiedendomi di fare lo stesso.
"Grazie per quello che fai per me. Per non aver mollato, ecco." -bisbiglio- "Quelle cazzo di modelle stronze che ho per amiche ti cercano solo quando gli servi."
"Non preoccuparti, Rubia."
Sento le sue labbra che lasciano un cerotto umido sulla mia spalla e poi l'erba a lato che si affloscia sotto il suo peso.
"Rubia?"
"Sì, Rubia. È spagnolo, pensavo lo conoscessi."
Mi sorge spontaneo chiederle perché, o se ci sono altre cose che si aspetta da me, ma alla fine mangio la foglia come ho sempre fatto.
"Significa ragazza dai capelli biondi o almeno credo." -dice- "È da un po' che non lo parlo."
Di colpo avverto un sapore acido che si propaga sotto la lingua, così apro la bocca per arieggiare. Le paure mi stanno risalendo lungo l'intestino fin su lo stomaco e ripercorrono l'esofago a ritroso per annodarmi la lingua e tutte le sicurezze più placide. Gli occhi iniziano a bruciarmi e penso che qualcuno mi ci abbia iniettato dell'inchiostro perché tutto diventa nero: gli alberi, le nuvole, Aurora e le sue parole, quel bacio sulla spalla, le sue domande del cazzo.
Ora mi viene da domandarle perché no, perché non starsene zitta ed evitare di lustrare la patina d'olio che ci divideva fino a poco fa, quando potevamo ancora abbracciarci scivolando l'una sull'altra. Perché darsi dei nomignoli, perché essere così intimi e pretendere di non dare picconate al muro che ho innalzato quando non sto guardando.
"Ma che.. O buon Dio!"
La sua voce mi dá la nausea, così cerco un modo rapido per chiudere gli occhi e rimandare giù la saliva. Aurora continua a urlare e a corrermi intorno come un'invasata, facendomi ombra un poco alla volta e disegnando cerchi che non si chiudono sul terreno, e io sento bene ogni centimetro di unghia che affonda nel palmo della mano mentre stringo i pugni.
"Ferma.." sussurro senza volere che mi senta.
"Ludo, man-da, m-mandala via!" -soffia saltando qua a lá- "Dio mio le odio ste cazzo di vespe!"
"Vuoi fermarti?" ringhio ancora, stringendo i denti e abbassando di un semitono la voce.
Percepisco le sue mani che mi stritolano le spalle, il suo corpo che si accuccia contro la mia schiena e che va a destra e sinistra come se lo stessero bombardando. Quando l'animale si posa sulla punta della mia scarpa, lei caccia un urlo che mi raggela le vene dei polsi e mi trascina via nel tentativo di scappare.
"Fermati, cazzo!"
Le parole non mi escono con un volume esagerato, ma sono così ferme che potrebbero piantare dei paletti a terra. Anche Aurora lo avverte e s'impala di fronte ai miei occhi grandi e stanchi come se stesse per perdere l'equilibrio da un momento all'altro.
I suoi occhi fanno breccia nei miei il tempo necessario per far sì che la vespa inizi a volare di nuovo: il suo sguardo spaventato si sposta dal mio viso per seguire la traiettoria a cui fa capo il ronzio fastidioso.
"Non-"
Prima che possa finire l'ultimatum, Aurora si stende ai miei piedi nascondendo il viso tra le mani. La sua pancia che si contrae ad ogni respiro mi fa calore sulle caviglie, mentre l'affanno che esce dalle sue labbra sbatte contro le mie ginocchia.
"Aurora, spostati."
Rispondi, ti prego.
"Aurora."
Va' via, per favore.
E tu smetti di ronzare, vespa del cazzo.
Non lo vedi che è tutto così complicato qui?
"Smetti di toccarmi."
Avvicino la mano alle sue spalle per cercare di allontanarla, ma lei mi precede e si tira in piedi come un chiodo. I capelli le sono finiti ovunque e i jeans hanno grandi macchie disomogenee di erba umida.
"Quale cazzo è il tuo problema?!"
Le sue braccia sono larghe e la vena sul collo abbastanza gonfia per vedersi da qui.
"Pensavo che volessi cambiare registro. Eri stata abbastanza chiara fuori dallo studio."
"Come scusa?"
Adesso le sue mani stringono forte attorno ai fianchi raggrizzendo tutta la maglietta e gli occhi nemmeno le si vedono.
"Mi stai appiccicata."
"Avevo solo.. Sai che c'è? Lascia perdere."
Tento di capire cosa voglia dirmi, però il cuore si raggela di nuovo prima del previsto.
"Non voglio lasciar perdere e non voglio nemmeno che ad ogni minima incomprensione dobbiamo trovare un nuovo punto di incontro."
Aurora ha ridotto gli occhi a due fessure, ma io non riesco a sentire niente se non il battito delle ali.
"E poi che c'è? Adesso non hai paura?"
Cazzo.
Questo non dovevi proprio dirlo.
"Ho paura di te." e mentre lo confessa, il suo corpo si allenta come un arco che ha perso tutta la tensione, come se si stesse sgonfiando.
Quando Aurora abbassa la testa, la vespa se n'è andata e l'aria viene riempita solo dai suoi polmoni che fanno fatica a prendere aria. Poi i suoi occhi ritornano nei miei: sono vuoti e di un marrone spento che sembra marcio.
"Cosa vuoi da me, mh? Perché io ci sto provando, davvero."
"Che te ne stia lontana." -ripeto per l'ennesima volta- "Che dovrei fare, mh? Mi stai addosso, mi baci, mi fai le tue domandine del cazzo, mi dai nomignoli.. La stronzata del muro non regge."
Ora, solo ora, c'è il silenzio giusto per pensare. Io, però, capisco di aver parlato troppo presto e che, ormai, pensare non è più necessario.
Così, nel silenzio, ascolto un bicchiere che taglia l'aria mentre cade, sbatte più volte a terra, senza mai rompersi, con una frequenza che cresce, cresce, cresce, fino a che quel silenzio precede l'esplodere delle schegge. Tutto ciò che potevo distruggere, è stato già venduto.
"Devo starti lontana.." -ripete annuendo- "Devo starti lontana."
Credo per un attimo che me lo abbia domandato, così scuoto la testa su e giù anche io. Aurora scoppia a ridere e tira su le braccia per poi lasciarle andare pesanti lungo i fianchi.
Hai gli occhi oceano.
Sono fottuta, vero?
Il primo passo è sempre quello più facile, anche se tutti sostengono il contrario.
Si dice che una volta messe le basi, le cose vadano per inerzia, che basta incominciare l'opera per andare avanti senza impicci, ma io ho sempre pensato che lanciarsi nel vuoto è una delle scelte più banali che le persone possano fare. Tutti vogliono avere la speranza di raggiungere quella luce per cui si stanno mettendo in discussione e cedere alla speranza è solo una delle stranezze più tipiche del genere umano.
Il brutto arriva sempre dopo, quando ogni passo ha un suo valore specifico, perché la luce si avvicina sempre di più e con lei, il carattere definitivo della scelta. Il peggio ti trae in inganno più tardi, quando entrano in gioco i rimorsi, le paure, i ripensamenti. Nessuno si ricorda del primo passo quando compiamo una scelta: è tutto concentrato attorno all'ultimo.
Così non mi spavento quando Aurora stampa la suola della scarpa destra sul terreno, un poco più avanti rispetto a come è partita, e non lo faccio nemmeno per la seconda, la terza fino alla quarta volta. Ora ci dividono quasi due metri e con altrettanti passi le distanze si annullano: è qui che comincio ad avere paura.
"Spostati."
Ma lei è già di fronte a me e mi guarda dal basso con la mascella contratta.
"Se no che fai, mh?" -dice punzecchiandomi sulla spalla- "Chiami De Gregorio perché la tua amica bisex non si gira mentre ti cambi le mutande?"
Cerco di carpirle i polsi così che la finisca, ma le sue mani sono veloci e si incollano precise su ogni centimetro del mio busto.
Litigo con i capelli che mi finiscono davanti agli occhi, dentro la bocca, e sento lo stomaco lamentarsi perchè non ce la fa più a digerire tutta la frustrazione che ingoio. Passano i secondi e Aurora ha le guance sempre più rosse dalle sforzo. Quando smetto di percepire le sue unghie che graffiano la pelle, non mi accorgo di averla stretta congiungendo le braccia dietro la sua schiena. Il suo fiato è sulle mie labbra e il cuore le esce dalla maglia per tamburellare contro il mio petto.
"Devi stare lontana." sussurro senza fiato.
"Perché?"
Il suo alito mi entra in bocca e arriva dritto al cervello come acqua sopra i fili della corrente. Il fumo dell'elettricità crea una cappa che nasconde tutto alla vista, così non trovo risposta nelle parole più adatta di quella che le do.
Le sue labbra dormono sotto le mie, anestetizzate, morbide, come se avessi appena dato loro il buongiorno. Aurora ha chiuso gli occhi d'istinto, quasi stesse andando contro un muro, e solo quando mi ritraggo, li riapre.
"Ora capis-"
Ma le parole, adesso, non servono più: ho disegnato una porta di gesso sul muro.
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