11. il tuo strano modo di dirmi ti amo (A)
Non hai mai saputo farci con le parole.
Beh, se solo avessi voluto, avresti venduto la Nutella ai Ferrero, ma non sapevi esternare alcuna forma di affetto. Quello proprio non ti riusciva.
Sapevi coccolarmi per ore, con garbo, fino a farmi addormentare, e mi tenevi i fianchi quando ti sedevo sopra come nessun uomo avrebbe mai osato di fare. C'era qualcosa di erotico e morboso nelle tue dita che mi faceva arrossire e tu, ogni volta, ti prendevi gioco di me.
Io sapevo che quello era il tuo strano modo per dirmi ti amo.
-A
Venerdì, 3 Luglio
Il mio occhio sinistro lacrima già da un po' dietro gli occhiali da sole quando mi accorgo che le tendine della finestra sono state aperte per far entrare uno spiraglio di luce.
La cameriera mi riporta completamente alla realtà avvicinandosi al tavolo. Ha i capelli unti tirati su con una pinza nera e due borse che non vedono della crema per il viso da anni. Mi sorride a metà bocca allungando le dita non smaltate verso la tazzina di caffè vuota. Io restituisco il sorriso e la ringrazio a bassa voce, non abituata ad essere immersa nel silenzio delle sei del mattino.
"Pago qui o in cassa?"
"Come preferisce."
Le allungo due euro e le dico di tenere il resto. Lei mostra i denti allineati e mentre mi regala un cioccolatino, penso che dovrebbe essere bellissima se solo il suo uomo la amasse come merita.
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"Un po'di miele?"
Gaia compare in cucina - o forse c'è sempre stata - con le pantofole della Viola del babbo. Fruga dentro la dispensa fino a ficcarci dentro la testa e scarica tutto sul tavolo della cucina, dove il mio yogurt comincia a sentirsi meno solo.
"Non hai dormito molto stanotte." -non è una domanda- "E neanche quella scorsa."
Mescolo i cereali impiastrati di miele.
"Colpa di Penale." sbiascico con gli occhi bassi.
Lei sembra berla e comincia a livellare di Nutella la prima fetta biscottata.
perché voglio abbatterle del tutto
Mi mordo la lingua facendo scappare sangue dalle cicatrici risanate.
Il modo in cui Ludovica aveva appena divaricato le labbra per boccheggiare mi fa venire l'emicrania.
Perché cazzo lo hai detto, mh?
Tanto valeva darle un anello e giurare amore eterno, no?
Così è tutto più patetico.
L'avevo seguita con lo sguardo lucido e abbacinato senza muovere un ciglio mentre si alzava per buttare giù qualche altra caloria, come aveva detto di voler fare. Avevo aspettato che la superficie dell'acqua tornasse ad essere liscia, perché tutto il corpo, dal cuore ai piedi, si era irrigidito e prescindeva dalla mia volontà. Lasciavo orme umide sulla pietra, sull'erba, sul parquet interno, e lo facevo lentamente, senza appoggiarmi alle pareti, col collo fermo e le spalle larghe. Tutto era lento e calmo, perché io lo sapevo: lei se n'era già andata.
"Cos'è successo sabato, Malefica?"
Spingo la testa un poco all'insù. Gaia esamina i miei occhi cerchiati dietro un ciuffo di capelli neri.
"Abbiamo dato una festa da Giulia."
"Non parlarmi anche tu come se prendessi ancora le vitamine." -mi rimprovera sbattendo il coltello sporco sopra il tavolo- "Lei se n'è andata dopo aver discusso con te e tu ora non parli da giorni."
Finisco di togliere gli ultimi rimasugli di smalto dalle unghie mentre le rispondo con una semplice scrollata di spalle.
"Ma che cazzo ti prende? Hai perso la lingua?"
"Non si è fatta più sentire." -ribatto subito- "Nessuna di voi aveva ragione. Voleva solo un'amica con cui piastrare i capelli e bere qualche spritz e io dovevo fare di testa mia."
"Auri, tu la guardavi-"
"Non tirare in mezzo Carlotta un'altra volta, cazzo!"
Batto la mano aperta sul tavolo e tutto si riassesta in un nuovo stato di disordine. Gaia mi fissa con gli occhi sbarrati e il naso arricciato: non è spaventata, è arrabbiata.
Hai cinque anni meno di me, ma venderei l'anima per avere un briciolo delle tue palle.
Forse ti ho cresciuta come volevo.
"Mi sto solo preoccupando per te, non c'è bisogno di trattarmi come se fossi una merda che calpesti."
Le sue sopracciglia depilate si allontanano quando annuisco in segno di scusa.
"Ascolta. Non conosco questa ragazza e non conosco nemmeno te in questo strano contesto. Sono passati quattro anni da quando.. Beh, lo sai, ero una bambina e a parte vederti felice, non riuscivo ancora a mettere in gioco tutta questa merdosa storia dei sentimenti." -si ferma a prendere una pausa e io ingoio una cucchiaiata di cereali- "Ma se per averla delusa, o non so, per qualsiasi cosa tu abbia detto, finisce che ci stai così male, beh.. Non è una cosa da poco e non voglio che ci rinunci."
Pulisco il casino sul tavolo mentre mastico yogurt e amarezza. Gaia resta buona a guardarmi per un po', poi mi stringe le mani nelle sue cercando di farmi rispondere.
"Non ne vale la pena. La conosco da troppo poco per volerci sbattere la testa sul serio."
"Sei tu che tieni il broncio da quasi una settimana. E poi lo sai che il tempo non conta un cazzo, ci si innamora o ci si odia dall'inizio e tu, quella lì, non potrai mai odiarla."
Allungo lo sguardo verso il piccolo scorcio di salone che si ha dalla cucina. Il cespuglio cenere del babbo è l'unica cosa che riesco a vedere di lui, oltre alla pancia che si alza e si abbassa sopra il bracciolo del divano.
"Continui a non capire." -bisbiglio- "Non si è fatta più sentire ed era scappata senza salutare. Non ci sono molte interpretazioni."
"Non posso capire se non so cosa vi siete dette."
Solo ora mi accorgo di avere ripulito la tazza. Gaia mi offre una delle sue fette biscottate meglio riuscite e come per magia il bruciore che sentivo alla bocca dello stomaco si scioglie in una volta sola.
Forse bastava qualcuno che ti chiedesse come stavi.
Non tutti se ne fregano di te.
"Abbiamo parlato tanto e.. Non so perché gliel'ho detto, Gaga. Sapevo che lei non apparteneva al mio mondo, ma per un attimo, un attimo solo, ho guardato i suoi occhi e mi dicevano che non era vero niente, che mi sbagliavo, che eravamo più simili di quanto credessi e che lei stava solo aspettando che mi decidessi a chiederle d'essere felici insieme."
Gaia muove le labbra per chiedermi se avessi davvero creduto che una ragazza come Ludovica potesse provare qualcosa per una donna, ma alla fine non dice niente.
"Invece mi sbagliavo sul serio e lei si è spaventata." -mormoro mentre gioco con alcune briciole- "Ora pensa che io voglia di più e non vuole più vedermi."
Gaia aspetta che io finisca di parlare, poi, lentamente, come una pugnalata traditrice, contrae tutti i muscoli del viso giovane in un sorriso.
"E tu dalle meno, no?"
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Il campanello affisso alla porta suona facendo entrare un altro temerario. L'uomo ha la pelle scura e si muove dinoccolato in un completo gessato. Guardo bene la cravatta che ha al collo e mi sento mozzare il respiro.
Fuori è umido e fastidioso. Il sudore mi si appiccica ovunque mentre rimango qualche minuto con la nebbia nel cervello.
Non è troppo tardi per tornare indietro.
Non lo scoprirà nessuno.
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"Come faccio a darle meno se non riusciamo a vederci?"
Gaia scuote la testa e parla tra sè muovendo le labbra polpose che le hanno fatto recapitare i geni del babbo.
"Mamma mia, che palla che sei.. Non ti ci facevo sai? Tutte ste pippe per i piercing, i tatuaggi, la moda e poi ragioni come una campagnola che parla solo con le vacche." -le scappa da ridere ma io sono di tutt'altro umore- "Non è che se una persona non vuole più vederti, tu devi fare quello che dice. Pensa a Liam e Miley, non si sarebbero dovuti sposare. Vabbè che ora è andata come è andata, però.."
"Gá." le dico stringendo i pugni.
"Si, si, giusto. Beh, se ci tieni davvero e ti va bene anche come amica, trova un modo poco democratico di incontrarla e spiegaglielo."
Picchetto le dita sul tavolo per riempire il silenzio che cala in cucina e sulle mie scelte. Il babbo comincia a muoversi sul divano, rantolando per il mal di schiena.
"Non ti facevo così in paranoia, sai? Con le relazioni fai proprio schifo, Malefica."
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La porta si apre sotto una spinta leggera e io vengo invasa dalla frescura dei condizionatori. Il rossetto sangue è l'unica cosa che vi si riflette bene contro.
"Cigolavi meno l'utima volta" penso "o forse non mi sono fermata ad ascoltarti"
Avvicino ancora di più le lenti scure agli occhi, fino quasi a sentire le ciglia sbatterci contro. Il centralinista è chino sulla scrivania al di là del pannello trasparente e si tiene la guancia con la mano aperta.
"Sono le sei del mattino per tutti" mi dico.
Mi avvicino a passi stretti bussando piano sul vetro. L'anziano salta sulla sedia indietreggiando e tenendosi per i braccioli. La collanina d'oro con l'effige della Madonna gli è finita sopra il colletto della camicia.
"Mi dispiace d'averla spaventata." gli dico e quello scuote la testa mentre ristabilisce l'ordine di fronte e dentro di sé.
"Non si preoccupi. Dica, dica pure." farfuglia ravvivandosi i capelli.
"Lei.." -tentenno e gioco la prima carta sfilandomi gli occhiali- "Si ricorda di me, vero?"
L'uomo annuisce muto e imbarazzato.
"Beh, vede, il signor De Gregorio mi aveva detto di farmi trovare in prima mattinata nel suo studio, ma credo che si sia dimenticato di inserirmi nella lista. Quella prevede solo gli appuntamenti per i servizi, vero?"
Il suo mento aguzzo, incastrato dalla mandibola ossuta, fa su e giù una seconda volta quando gli indico l'agenda sacra.
"Ecco, vede? È per questo."
"Questo cosa, mi scusi?"
Poggio il gomito sul davanzale antistante l'oblò e il segretario indietreggia di riflesso con la schiena risvegliando il pomo d'Adamo per deglutire.
"Vede, io il servizio l'ho già fatto, ricorda? Sì che si ricorda.. Ecco, devo solo ritirare le foto. Sa, si tratta di un provino e.." -scaldo la voce, stringendo bene le spalle per offrirgli una visione migliore del decolleté- "Immagino che lei non possa farmi accedere al suo studio. Lo capisco, è una persona professionale, si vede."
Lui continua ad ascoltare immobile. Ha preso a sudare e sempre più spesso allunga gli occhi verso il trafiletto di pizzi che spunta da sotto la canotta, ma a parte questo, non si scompone.
"Non posso proprio."
"Lo so, signore, lo so. Però che ne dice se è lei ad andare? Qui non c'è nessuno e io non posso scappare a quella gentile guardia ai piedi delle scale."
Gli indico l'omone pelato che è sempre rivolto a ore quattro e lui si sporge per vederci meglio come se non lo conoscesse. Quando se ne accorge, si aggiusta la montatura dietro due occhi blu ghiaccio.
"Non lo so, signorina.."
"La prego." -lo supplico strizzando le spalle in dentro fino al limite- "Quelle foto mi servono."
Lui guarda l'orologio da scrivania scuotendo la testa e rimane a dondolarsi sulla sedia per un minuto. Non smette di dimenarsi nemmeno quando si morde le unghie e compie un check-in spudorato del mio corpo, come se il favore che sta per farmi lo giustificasse.
"E va bene." -conclude poi, schiavando la cabina dall'interno- "Ma tu aspettami qui."
Alzo le mani mentre mi passa di fianco -sicuramente non facendosi mancare un incontro ravvicinato con il mio culo - e tengo gli occhi fissi sul tesoro.
Pochi secondi e non mi avrebbe più rivisto.
[...]
Lunedì, 6 Luglio
Ho tagliato tutte le unghie e ho persino tolto lo smalto avana. Continuavo a mangiarle per l'ansia, tanto valeva dargli una nuova vita.
Ora riesco a conoscere - sarebbe meglio riconoscere - le cose con un altro tatto, quello morbido e delicato di un bebè. Le tasche, per esempio, sembrano più ruvide di come le ricordavo e la strana patina di gesso che ricopre questo edificio è decisamente più abrasiva.
Pulisco i polpastrelli dalla polvere nascondendo la mia sagoma accaldata dietro il lampione. L'insegna della farmacia di Luciano, alla fine della strada, giù verso il tramonto, segna ancora le cinque meno un quarto.
Ti facevo più precisa di così.
O forse ho solo confuso il tuo nome sulla lista.
Ripenso al vecchio della segreteria e mi viene spontaneo incollare la schiena al muro, sperando quasi di entrarci dentro fino a che nessuno possa distinguermi.
Secondo Gaia quella di scoprire il nuovo appuntamento di Ludovica era una genialata che peccava di un piccolo particolare. All'inizio non volevo saperne niente, era già abbastanza l'essersi spinta ad un livello tale, ma lei continuava a guardarmi scuotendo il caschetto e io avevo ceduto.
"Vedi, sorella, lei ha un vantaggio considerevole." - aveva bisbigliato mentre il babbo e la mamma guardavano Che Tempo Che Fa - "Può scappare in qualsiasi momento e tu, lì dentro, non puoi più rimettere piede."
L'idea di vedere il sedere a mandolino di Ludovica allontanarsi lento, a destra e sinistra e poi ancora a destra, senza che io potessi battere ciglio, mi aveva gettato nello sconforto a tal punto da spingermi a credere di rinunciare. Non se ne sarebbe accorto nessuno.
Però. I però - e questo l'ho sempre saputo - sono i veri matrimoni silenziosi di qualsiasi scelta. I però sono quelle cose sconvenievoli, quando si hanno mille motivi contro, che valgono abbastanza per scommettere sul fantino dato per vinto.
"Devo tagliare le spese e non guadagno più come una volta, però quel vestito mi starebbe da Dio" oppure "Lui è così distratto, però lo amo". Ecco, i però.
Ludovica è sempre stata una causa persa, sin da quando si è presentata alla porta di casa con quel cazzo di naso stretto e dispettoso, e ha sempre avuto mille motivi contro per poter far parte della mia vita. E' troppo bella e strana per potermi essere amica, troppo etero per come vorrei e si esercita costantemente nel tentativo di nascondere le sue debolezze per tenersi lontana fino a farmi innervosire. Ha gli occhi trasparenti, le labbra schiacciate e gli incisivi un poco disallineati che danno al suo sorriso qualcosa di vero e a me, tutto questo, fa capire che non potrò mai aiutarla ad allacciare il reggiseno senza mordermi la lingua. Non è da molto che ci conosciamo, eppure abbiamo già avuto l'occasione buona per capire che io voglio da lei quello che lei ha paura di ricevere da me.
Vedi? Mille motivi contro.
Dovresti solo lasciarla perdere.
Dopo tutto, non sai nemmeno qual è il suo colore preferito: se non la conosci così bene, non c'è motivo per cui abbandonarla debba essere tanto difficile.
Però poi lei imbocca la via centrale e io rinuncio a tutti i contro, pensando che mordersi la lingua avrà comunque sempre un sapore speciale.
Voglio solo che tu mi racconti di come tuo padre non è mai voluto essere il tuo principe azzurro.
Saprò rinunciare alla mia sincerità.
Le sue orme si susseguono felpate lungo l'asfalto un po' smussato. Cammina lentamente, come se si trovasse sopra un tapis-roulant, con il telefono in mano e le cuffiette nelle orecchie. Ha lo sguardo concentrato, non può vedermi.
"Ehi." sussurro, ma lei non mi sente. Così le stringo delicatamente una spalla, un attimo prima che la porta si apra.
Ludovica inarca le sopracciglia allungando la forma del viso e di tutto ciò che vi si trova sopra: naso, orecchie, occhi, bocca, guance. I muscoli del suo volto tradiscono sorpresa e paura, anche se non vorrebbero, e il suo sguardo finisce sulla mano che le stringe ancora la spalla.
"Scusa." mormoro. Lei fa segno di non aver capito sgranando gli occhi come un cerbiatto accecato dai fari e io le indico le cuffiette con un sorriso che non vuole disturbare.
"Che ci fai qui?"
Infila distrattamente il telefono in borsa muovendosi come un ladro e io perdo tempo a disegnare nella memoria la forma del suo naso timido invece di trovare una risposta adatta.
L'ho capito, non c'è bisogno di nascondersi.
Vuoi farmi credere che tutto vada ancora come prima e che non hai mai cercato di ignorarmi, ma non ci riesci.
L'ho capito e tu ora sai che lo so.
La lingua mi s'ingarbuglia perché sono una creativa progettata per mentire - da piccina inventavo delle bugie per puro divertimento e farlo mi riusciva così bene che per me non è mai una semplice protezione, ma la più ovvia delle scelte, un'abitudine sana - poi deglutisco e la saliva che scivola via scioglie qualsiasi ipotesi.
"Non mi dispiace per quello che ho detto."
Ludovica pigia le labbra una contro l'altra e si guarda intorno come se dovesse vergognarsi di chi può sentirci.
"E' la verità e quella non può mai farmi sentire sbagliata."
Lei stringe l'apice del setto nasale con le prime due dita.
"Ascolta.."
"No, Ludo." -rantolo- "Fa parlare me."
Annuisce.
"Non ti chiederò scusa per quello che ho detto, ma per averlo fatto. Non m'hai mai detto cazzate e non m'hai voluto illudere dopo che ti avevo parlato di me. Ma sai, io mi' so sempre sbattuta co' degli stronzi e.. Stavo bene, ero felice di vederci lì, tutti insieme, e non ci ho davvero pensato." -respiro- "Per questo mi dispiace."
Ludovica si guarda le Adidas nuove storcendo la bocca. Le lenti dei suoi Rayban sono di un azzurro abbastanza trasparente da permettermi ancora di ammirare i suoi occhi che cambiano colore, assumendo una tonalità più corposa, più cruda. Qualche capello le finisce in bocca coprendo il neo che vi sta sopra.
Vorrei che fosse diverso.
Diverso da come è sempre stato con gli altri.
Vorrei che ti addormentassi raccontandomi di te mentre io sfilo piano piano gli orecchini che corrono lungo i tuoi lobi.
"Cosa vuoi che faccia?" -chiede drizzando le spalle- "Posso perdonarti. E poi?"
Il suo corpo, di un palmo più alto del mio, si tira in una pretesa di sicurezza che odora di artificiale ma che adesso, mentre mi sono spogliata per metà, basta per incutermi timore. Penso che è stato tutto inutile, inutile averla conosciuta, averla fatta entrare nelle mie abitudini, aver impegnato parte del tempo e del cuore nel desiderio di scoprire il suo. Inutile Gaia, inutile piano, inutili scuse. Inutile voglia di tradire me stessa pur di averla come amica.
Distrai la mia anima in conflitto col mondo.
Solo con te faccio un passo indietro senza voltarmi a controllare se ci sono ostacoli.
Alzo la testa quando Ludovica comincia a picchiettare il piede a terra. Ha le braccia conserte e una ruga impaziente in fronte, ma da come si incastrano le sue labbra sembra che stia aspettando che salvi quello che resta delle noi del futuro.
"Potremmo essere speciali" pare che dicano.
"E poi mi parlerai di te con calma, come si deve." -dico- "E io ti starò a sentire senza abbattere nessun muro."
Ludovica mi porge il mignolino scoprendo i denti e le rughe ai lati degli occhi e io scoppio a ridere. Guardo in fondo alla via, col suo sorriso che passa dal primo al secondo piano. La farmacia di Luciano segna le cinque e diciassette.
Venerdì diciassette ti ho incontrata.
E ora so anche di averti ritrovata.
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