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6.Chapter Six

Forse avevo sbagliato a chiedere a Kade di portarmi via da lì.

In fondo sapevo ben poco sul suo conto, era pur sempre ancora uno sconosciuto per me; eppure, il bisogno di allontanarmi dalla realtà in quel momento era stato incessante, e dopo aver scoperto che quel ragazzo avesse la capacità di farmi dimenticare, anche se per pochi minuti, la situazione critica che stavo vivendo, credetti fosse la mia unica via di scampo.

Il viaggio in macchina fu così silenzioso e lungo che mi maledissi per tutto il tempo, cominciando a pensare che quel ragazzo volesse farmi del male. Invece, non fu così: il ragazzo esaudì la mia richiesta, conducendomi in una caffetteria aperta ventiquattro ore su ventiquattro appena fuori città.

Era proprio lì che ci trovavamo: fradici dalla testa ai piedi a causa della tempesta che ci aveva colpiti, sedevamo l'uno di fronte all'altro ad un tavolino dai divani in pelle, il menù tra le mani.

Quel posto dalle pareti nere e argento chiamato "Kappu by night" offriva un'ampia varietà di dolci e cappuccini: c'era quello al cioccolato bianco, quello al pistacchio, persino al caramello.

Eppure, ciò di cui avevo realmente bisogno in quel momento, era un semplice tè: mi avrebbe aiutata a riscaldarmi, e forse a tranquillizzare il mio animo scosso, anche se ne dubitavo fortemente.

Kade, dal canto suo, proferì parola solamente al momento delle ordinazioni, per poi tornare in un religioso silenzio.

Sembrava assorto nei suoi pensieri mentre, appoggiato allo schienale in pelle, non smetteva di osservare ogni singola persona varcasse la soglia d'entrata di quel luogo.

Il moro aveva posato il suo giubbotto di pelle sul divanetto, rimanendo con indosso solamente una maglietta bianca e bagnata, e se non fossi stata così profondamente delusa e triste da ogni cosa, probabilmente il mio occhio sarebbe caduto sugli addominali che si intravedevano dal tessuto sottile della sua t-shirt.

In quel momento, avevo bisogno solamente di una distrazione: quel silenzio avrebbe finito per spaccare i miei timpani, nella testa ancora le parole taglienti di Nathan pronunciate quello stesso giorno.

«Affermi che non vuoi essere trattata come una bambina, Charly, ma ti comporti esattamente come se lo fossi. È proprio per questo che credo tu non sia pronta per venire a conoscenza di determinate cose».

Decisi di porre fine a quella lenta tortura, spezzando il silenzio colmato solamente dalla lontana musica che risuonava nel locale.

«Quanti anni hai?»

Come risvegliatosi da un momento di trance, il tenebroso sconosciuto seduto davanti a me spostò gli occhi scuri sui miei, e un ciuffo corvino ancora bagnato ricadde sul suo volto dopo quel piccolo movimento. Il ragazzo non si preoccupò di aggiustarlo. «Anche tu pensi sia troppo giovane per insegnare?» domandò con un timbro basso, posando una mano tatuata sopra il tavolo.

Scossi la testa. «Mi interessa saperlo».

Dopo avermi scrutato a lungo, interessato, inumidì le sue labbra. «Ventitré».

Proprio come pensavo, era un coetaneo di mio fratello e di Warner, che ne aveva solo uno in meno.

In realtà, non era affatto troppo giovane per insegnare: se si possedevano determinate caratteristiche e la maggiore età, si potevano frequentare dei corsi per acquisire le abilità necessarie per operare come istruttore, e credevo proprio fosse ciò che aveva fatto Kade.

«Immagino che tu non ne abbia ancora compiuti diciotto, invece» pronunciò quest'ultimo, continuando a fissare i miei occhi scuri.

Per un attimo aggrottai la fronte, chiedendomi come facesse a saperlo; poi, sul mio volto si dipinse un'espressione neutrale.

«Manca poco» ammisi. Poi portai le gambe al petto, stringendole con le braccia, incurante che le suole delle mie scarpe avessero potuto sporcare il divanetto. «È un problema?» chiesi senza specificare a cosa mi stessi riferendo: avevo come l'impressione che il moro mi avrebbe capita al volo.

Infatti, il ragazzo emise un piccolo sorriso sghembo alla mia domanda. «Ti ho incontrata in una discoteca, sono cinque anni più grande di te e adesso anche il tuo istruttore; eppure, siamo qui come se non ci conoscessimo solo da un paio di giorni» affermò, aggiustando la ciocca ricaduta sul suo viso e portandola all'indietro, scoprendo il suo viso dalla pelle olivastra e barba curata.

«Nessun problema, togliendo che tutti mi guardano come fossi un criminale che ha soggiogato la propria preda, pronto a ferirla quando meno se l'aspetta» ammise infine, riappoggiando la schiena al divanetto alle sue spalle, senza interrompere il nostro contatto visivo.

«E...» pronunciai tentennante, quasi come avessi avuto paura di domandare il resto.

«Lo sei?»

La mia voce sembrò suonare distante quando mi ritrovai a chiederglielo, incapace di distogliere lo sguardo da lui anche per un solo istante.

Il moro, però, tornò a guardare l'entrata trafficata del locale dietro di me quando rispose.

«Tu che dici?»

Sospirai, chiedendomi come avessi fatto a finire in una situazione del genere: mi sembrava surreale che stessimo discutendo di una cosa del genere.

Come c'eravamo arrivati in quella situazione?

I miei bulbi oculari erano ancora arrossati a causa del pianto, i capelli; come il resto del corpo madidi d'acqua, facevano partire brividi di freddo lungo la mia pelle.

Ragionai qualche secondo, prima di rispondere al moro seduto dall'altra parte del tavolo. «Dico che se avessi voluto farmi del male, lo avresti già fatto al nostro primo incontro» annunciai sincera, riottenendo subito l'attenzione del tenebroso sconosciuto su di me. «Non posso dire di conoscerti, o di essere riuscita a inquadrarti al cento per cento ma, da quello che ho visto di te... non mi sembri una cattiva persona» rivelai, osservando attentamente la reazione del ragazzo dalle pupille fisse nelle mie.

Sembrò esaminarmi, studiare le mie parole come per capire se fossi stata del tutto sincera o, al contrario, se avessi detto qualcosa che non pensavo realmente.

Dopo un po', sembrò trarre le sue conclusioni, perché espirò dal naso e incrociò le braccia al petto. «Sei troppo buona, Charly. Non dovresti fidarti in questo modo degli sconosciuti...» rivelò, con un'espressione talmente seria da darmi i brividi. «Ti stupirebbe scoprire quanto l'apparenza possa essere davvero... ingannevole».

Abbassai lo sguardo al suolo alle sue parole, riflettendoci su.

Le nostre ordinazioni arrivarono proprio in quel momento, e subito il fumante infuso al gusto di limone inebriò i miei sensi, insieme all'intenso odore del caffè che aveva richiesto il mio accompagnatore. Poggiai due dita sull'elegante tazza dalla fantasia orientale, cominciando a mischiarne il contenuto giallognolo col cucchiaino.

«Fatti conoscere, allora. Perché non mi parli di te?» mi ritrovai a domandargli tutt'a un tratto: ci misi svariati secondi ad accorgermi di ciò che avessi realmente detto, ma non me ne pentii.

In fondo, era così che funzionavano le nuove conoscenze, e se era vero che Kade avrebbe sostituito per parecchio tempo il mio istruttore, tanto valeva sapere qualcosa in più sul suo conto.

Il moro corrugò la fronte, portando la tazzina alle proprie labbra, e soffiando sul liquido bollente. «Il tuo non è il modo di risolvere il problema».

«E la tua non è una risposta alla mia domanda».

Un timido sorriso beffardo si dipinse sul mio volto quando replicai in quel modo al tenebroso sconosciuto.

E dopo qualche attimo, lo fece anche lui: gli angoli della bocca di Kade si alzarono in un piccolo sorriso sincero, che mi riscaldò più di quanto avrebbe potuto farlo la tisana che tenevo stretta tra le mani.

Ma durò ben poco: i tratti del suo viso si indurirono a poco a poco, fino a tornare completamente impassibili, proprio come lo erano stati sin dall'inizio.

Soffriva forse di personalità multipla?

Dopo aver nuovamente passato una mano tra i capelli corvini, prese un sorso del suo caffè.

«Non c'è niente di bello da raccontare».

Kade Passò la lingua sulle sue labbra, poggiando la tazzina ormai vuota sul tavolo, mentre io bevvi il mio secondo sorso dell'infuso: subito un forte sapore di limone giunse alle mie papille gustative, e ringraziai di non avere aggiunto dello zucchero a quella bevanda, poiché era già dolce di suo.

«Forse sei tu ad aver bisogno di parlare con qualcuno» sostenne il ragazzo d'un tratto, facendomi immediatamente tornare a guardarlo: non poteva che riferirsi al motivo per cui mi trovavo lì, in quella caffetteria, proprio con lui.

«Sto bene» mentii, non volendo rammentare la mia conversazione con Nathan di circa un'ora prima.

Eppure, il ragazzo davanti a me non demorse. «La delusione che leggo nei tuoi occhi mi trasmette il contrario» considerò, e io li chiusi d'impulso per un attimo, sospirando. «È a causa di un ragazzo?»

La sua domanda mi fece riaprire gli occhi di scatto, incredula. «No! Non ho un ragazzo, sto... sto bene da sola, per adesso» rivelai, portando alcune ciocche di capelli dietro la spalla.

Erano fradici.

Tuttavia, il ragazzo non sembrò affatto sorpreso dalla mia rivelazione, perché annuì, come se avessi pronunciato qualcosa di ovvio.

Aggrottai la fronte e, come sempre, agii d'impulso. «Beh, cosa c'è? È così scontato che non ci sia nessun ragazzo nella mia vita?» domandai leggermente acida, «perché se lo fosse, non capisco perché tu me lo abbia chiesto».

Di nuovo quel sorriso.

Dopo i miei attacchi d'impulsività, mi era sempre capitato che l'altra persona si alterasse: Kade invece sorrise quasi come mi conoscesse da una vita intera, e fosse abituato a quel mio carattere talvolta esplosivo.

«Non ho mai creduto fosse scontato» rivelò, fissandomi intensamente. «Penso solo che non sembri il tipo di ragazza pronta ad accontentarsi di chiunque, solo per avere qualcuno al proprio fianco, e ne ho appena avuta la conferma» confessò, lasciandomi di sasso.

Sembrava quasi che quel ragazzo fosse capace di leggermi dentro.

Non mi aspettavo delle parole del genere da qualcuno conosciuto da così poco: nessuno mi aveva mai detto qualcosa di simile.

Forse fu per questo, oppure per la forte sensazione di rifugio che quel ragazzo dai capelli corvini iniziava a trasmettermi, che glielo dissi.

«Si tratta di mio fratello» confidai, e il ragazzo rimase in silenzio, attendendo che continuassi.

«È un iperprotettivo di merda, e insieme a mia madre continua a nascondermi qualcosa che sembra essere di estrema importanza. Pensano che io possa vivere col pensiero di esserne all'oscuro fingendo che mi vada bene, ma in realtà non è così. Io non sono così». Sputai tutto d'un fiato, poggiando i gomiti sul tavolo di legno e la fronte sui palmi delle mani, facendo in modo che il vapore caldo della bevanda solleticasse il mio viso. «So che mi vogliono bene, ma in questo modo mi fanno sentire esclusa da ogni cosa» ammisi.

Mi imposi di non versare neppure una lacrima, quando sentii i miei occhi pizzicare per la seconda volta in quella giornata: non ero una persona debole, tanto meno avrei voluto mostrare al tenebroso sconosciuto il contrario.

Seguirono attimi di silenzio, in sottofondo il chiacchierio della gente intorno a noi e il ritmo di una canzone proveniente da uno stereo fin troppo lontano, per poterne distinguere le parole.

«Invece di pensare che in questo modo ti stiano escludendo, dovresti riflettere sul perché lo fanno» espresse Kade d'un tratto. «Forse è proprio perché ti vogliono bene che vogliono proteggerti da qualcosa nascondendotela in questo modo. Non sempre però è la scelta giusta da fare, occultare qualcosa per il benessere di qualcuno, perché spesso si potrebbe ottenere l'effetto contrario» sentenziò Kade, lo sguardo rigido puntato altrove, prima di tornare su di me.

«Spesso, l'ignoranza porta ingenuità. Proprio come i bambini non sono in grado di riconoscere il pericolo quando si presenta loro, neppure l'ingenuo può farlo, perché ignaro di cosa potrebbe ferirlo» rifletté, serio, stupendomi per la sua intelligenza. «L'ingenuo non è altro che la vittima perfetta, per il proprio carnefice».

Sembrava quasi sapere di cosa stesse parlando, come se l'avesse vissuto in prima persona, o ne avesse visto gli effetti su qualcun altro.
Osservai il suo viso dai tratti affascinanti, e dopo aver riflettuto a lungo sulle sue parole, dissi la mia.

«Sai, Kade, tu sembri leggermi così facilmente» affermai, attirando la sua completa attenzione su di me, «proprio come se fossi un libro aperto. Io, invece, non riesco ancora a capirti: non riesco a capire se, tramite queste parole, tu stia indirettamente cercando di raccontarmi qualcosa. Non riesco a capire le tue intenzioni» confessai, scrutandolo in attesa di una qualsiasi reazione da parte sua, che tardò ad arrivare.

Mi guardò come se desiderasse poter entrare nella mia mente.

«Pensi che io abbia cattive intenzioni con te?» domandò a quel punto, senza smettere di fissare i miei occhi castani.

Rimasi qualche secondo a fissarlo attentamente: gli occhi scuri penetranti, lo sguardo magnetico, ipnotico, quella chioma corvina spettinata e bagnata dalla pioggia.

E poi ancora la sua figura rigida, austera, alta e muscolosa, seduta su quel divanetto ma non del tutto rilassata, come fosse stato pronto a scattare sull'attenti da un momento all'altro.

Tutto di lui urlava "pericolo", dalla sua espressione seria e talvolta spaventosa alla sua corporatura allenata, temibile.

Ma quello era solamente ciò che il tenebroso sconosciuto aveva deciso di mostrare.

E io avevo imparato a non fermarmi alle apparenze.

Scossi la testa. «No» pronunciai sincera. Non seppi perché, ma volli essere trasparente con lui. «Non penso tu abbia cattive intenzioni con me. Al contrario-»

«Credo sia il momento di andare».

Il moro, interrompendomi, si alzò di scatto dal divanetto e afferrò la giacca di pelle al suo fianco, ancora fradicia, indossandola.

Aggrottai la fronte nel momento in cui mi diede le spalle, dirigendosi verso la cassa senza aggiungere una parola.

Mi chiesi cos'avessi detto di male, per scatenare quella reazione in lui.

Era così strano il suo repentino cambio di umore: un attimo prima sembrava tranquillo, una persona con cui si poteva parlare senza alcun problema, mentre l'attimo dopo si chiudeva in sé stesso, allontanandosi come se anche lui, in fondo, avesse qualcosa da nascondere.

Sospirai, arrendevole: mi aspettavo veramente qualcosa di diverso da quel tenebroso sconosciuto, dopo tutto il mistero che lo circondava?

Avrei dovuto capirlo che non sarebbe stato facile avere a che fare con lui.

Il viaggio di andata verso la caffetteria era sembrato lungo, ma mai quanto quello del ritorno, trascorso in un profondo silenzio di tomba.


Spazio Autrice

Buon pomeriggio, come state?
Eccoci qui col capitolo 6, in cui abbiamo come focus Charly e Kade alle prese con la pioggia, la delusione e chissà cos'altro, perché come avete ben potuto notare Kade non è proprio il tipo da esprimere ciò che prova.
Cosa ne pensate del loro dialogo? Credevate che Kade avrebbe approfittato della debolezza di Charly per farle del male?
Mi dispiace, ma eravate proprio fuori strada: tutto quello che Kade ha fatto è stato portarla in un bar tranquillo, esaudendo la richiesta della nostra protagonista.

Perciò, ora come ora, cosa ne pensate del nostro tenebroso sconosciuto?

Perché ha voluto liquidare il discorso così velocemente alla fine?

Fatemelo sapere!
Lasciate una stellina⭐️ se il capitolo vi è piaciuto e seguitemi su __.corastories.__ per rimanere al passo con gli aggiornamenti!
Alla prossima❤️

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