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14.Chapter Fourteen


«Devi andartene da qui.»

Con la stessa velocità con cui li avevo chiusi, spalancai gli occhi nell'udire una rigida voce alle mie spalle pronunciare quelle parole.

Mi voltai di scatto in quella direzione, scoprendo Kade intento a fissarmi con espressione profondamente seria, proprio a pochi passi da me.

I primi due bottoni della camicia nera che indossava erano slacciati, lasciando scoperta parte del suo petto imponente; nonostante i capelli scuri di media lunghezza fossero pettinati all'indietro, alcune piccole ciocche ricadevano ribelli sulla sua fronte.

Ciò che mi stupì però della sua intera figura, furono proprio i suoi occhi: parevano non mostrare altro se non avvertimento, rigidità e inflessibilità.

«Questo è... è il bagno delle donne» fu tutto ciò che riuscii a dire, fissando Kade nelle sue iridi scure e austere.

Tuttavia, il mio commento non sembrò smuoverlo di una virgola. «Non hai sentito quello che ti ho detto?» chiese, incrociando le braccia al petto. «Devi andare via da qui».

Il suo atteggiamento totalmente distaccato non fece altro che darmi sui nervi: credeva forse di potermi dare ordini?

E per quale motivo, poi? Perché voleva me ne andassi?

«Che problemi ti causa la mia presenza?» domandai indispettita, incrociando a mia volta le braccia al petto e ricambiando il suo sguardo gelido.

Il ragazzo sbuffò una mezza risata per nulla divertita, passando una mano sul mento contornato da un filo di barba. «Charly, non sei tu che causi problemi a me. Ti sto avvertendo per il tuo bene».

Ero stanca.

Non ne potevo più del suo bipolarismo, del suo cambio continuo di atteggiamento nei miei confronti e di tutto quel mistero.

Non capivo perché Kade avesse deciso di trattarmi in quel modo tutt'a un tratto: sapevo solo che non glielo avrei permesso.

Mossi un passo verso di lui e mantenni saldo il nostro contatto visivo, pronunciando finalmente ad alta voce tutto ciò che avevo tenuto dentro fino a quel momento.

«Mi hai promesso che ti avrei rivisto, la notte del nostro primo incontro» esordii dinanzi allo sguardo attento del ragazzo, «e poi sei diventato il mio istruttore di boxe. Mi sei stato vicino la sera in cui avevo bisogno di staccare la spina da tutto, solamente per respingermi svariati giorni dopo, chiedendomi di mantenere un rapporto strettamente professionale. Poi ti ho trovato in quelle condizioni...» esitai nel pronunciare quelle parole.

Il ragazzo, per un solo istante, parve distogliere la vista dal mio volto.

«Quel giorno sono corsa in tuo aiuto, proprio come avevi fatto anche tu. Solo che, a differenza tua, io rimango la stessa, non cambio atteggiamento per niente e nessuno, ma soprattutto, non ho nulla da nascondere».

Sputai fuori quelle verità una dopo l'altra, liberandomi del pesante macigno che tanto fremeva per venire a galla e lasciando che Kade ne venisse completamente colpito.

«Qual è il tuo problema, Kade? Cos'è che tanto ti porta a volermi distante da te?» gli chiesi, arrabbiata, volgendo ancora un passo verso di lui fino a trovarmi proprio a pochi centimetri di distanza dalla sua figura.

Il ragazzo rimase a fissarmi attentamente per qualche istante finché, contro ogni mia aspettativa, fece qualcosa che mi lasciò col fiato sospeso.

Kade allungò una mano alle mie spalle, appoggiandola sulla mia nuca: tramite quel singolo gesto mi attirò a sé, così che i nostri visi fossero così pericolosamente vicini da poter percepire il suo caldo respiro.

Sorpresa dal suo gesto delicato e totalmente inaspettato, non reagii.

Della pura apprensione sostituì la serietà che, fino a poco prima, albergava i suoi magnetici occhi.

«Sembri ricordare solo quello che ho detto e che ho fatto per allontanarti da me, senza considerare il motivo per cui lo chieda a te, invece di farlo io stesso» soffiò sul mio volto, facendo riaffiorare alla mia mente alcune parole da lui pronunciate la sera trascorsa in quel motel.

«Charly... ti sto chiedendo di allontanarti da me, perché io sento di non esserne capace. Non più».

Prima che potessi attribuire un senso all'intera situazione, Kade prese nuovamente la parola, il profondo tono di voce ora più calmo.

«Una volta mi hai detto di credere che io non abbia cattive intenzioni con te. Hai cambiato idea?» domandò, tenendo ferma la gentile presa sulla mia nuca.

Non ebbi alcun motivo di riflettervi su: scossi la testa, ancora convinta delle parole che avevo pronunciato.

Kade inclinò il capo da da un lato, mordendo per un solo istante il suo labbro inferiore. «E allora perché non provi a fidarti di me senza porti troppe domande?»

Il suo sguardo allarmato puntato su di me parve sul punto di privarmi di ogni particella d'ossigeno possedessi.

Da quella vicinanza, potevo piacevolmente sentire il profumo esotico che la sua pelle ambrata emanava; alcune ciocche di capelli scuri ricadevano sulla sua fronte, mentre sul viso dai lineamenti ben definiti era dipinta un'espressione convinta delle proprie parole, decisa a convincermi.

Tuttavia, non mi lasciai ammaliare da quel tono così persuasivo.

Sin dal principio Kade girava intorno al fulcro delle sue preoccupazioni, senza mai rivelarmi nulla di ciò da cui mi teneva all'oscuro: nonostante avrei davvero voluto poter riporre la mia fiducia in lui, la parte di me capace di ragionare razionalmente prese il comando.

«Perché io non mi fido di nessuno» risposi profondamente seria, «e lasciare le cose al caso non è nella mia indole».

Mi allontanai di poco da lui, e istantaneamente il suo tocco sulla mia nuca scivolò via: trovai estremamente difficile fingere a me stessa di non sentirne da subito la mancanza, ma ignorai quella sensazione, fissando negli occhi quell'uomo tanto irresistibile quanto enigmatico.

«Perciò mi dispiace tanto, Kade, ma a meno che tu non abbia una spiegazione valida per volermi fuori di qui, non mi farò di certo cacciare senza alcuna ragione da te» conclusi, mostrandomi più acida di quanto in realtà avessi voluto. Indispettita gli volsi le spalle e mi diressi verso la porta del bagno senza più guardarmi indietro, calpestando con foga il pavimento coi miei tacchi a spillo.

Non appena la aprii, però, essa venne violentemente sbattuta da una mano che vi si poggiò contro, facendomi spalancare gli occhi e voltare proprio verso il ragazzo che, colto da un'impeto di disperazione, mi stava impedendo di uscire da quel luogo.

Il suo respiro era agitato; l'espressione che aveva in volto sembrava quasi angosciata.

Non c'era più traccia alcuna della calma che aveva mostrato attimi prima, mentre il suo corpo imponente teneva la mia schiena nuda ancorata alla porta.

«Se non te ne vai ora, non potrò più fare niente per te».

Dichiarò senza aggiungere altro, tenendo la mano premuta al lato della mia testa.

A quel punto, il mio nervosismo salì alle stelle.
Di cosa diamine parlava? Perché non poteva semplicemente spiegarmi cosa lo preoccupava tanto?

Fissai il suo volto profondamente infastidita, decisa a concludere quella conversazione una volta per tutte: non sarei rimasta ad ascoltare una parola di più, a meno che non fosse stata una spiegazione valida al suo comportamento.

«Vorrà dire che correrò il rischio... qualunque esso sia» sputai irritata.

Lo fissai quasi con sfida quando tentai di aprire nuovamente la porta: questa volta non me lo impedì, scostandosi per lasciare libero il passaggio, rassegnato.

Approfittai della sua distanza per uscire alla svelta da quella stanza, prima che potesse cambiare idea.

Tutto ciò che udii prima di tornare di corsa verso la sala principale fu un violento tonfo contro al muro che mi fece sobbalzare, seguito da un potente ringhio di frustrazione.

Bloccai per un istante i miei passi, chiudendo gli occhi nel tentativo di calmarmi: avrei tanto voluto tornare indietro e chiedergli perché si comportasse in quel modo, per quale motivo la mia presenza in quel luogo lo turbasse così tanto, ma il mio orgoglio me lo impedì.

Mi allontanai semplicemente da lui in un misto di emozioni confuse, raggiungendo i divanetti in cui la mia migliore amica sedeva da sola: seppure per un attimo avessi creduto di essermi liberata del macigno che pesava sul mio petto, dovetti ricredermi quando, lasciandomi Kade alle spalle, mi sentii ancora peggio.

«Va tutto bene, Charly? Qualcuno ti ha infastidita?» esordì Edith, posando il telefono nella borsetta e prendendo un lungo sorso dalla sua bevanda alcolica.

Solo in quel momento ricordai di aver lasciato la mia nei pressi della postazione del DJ.

Sbuffai dal naso, ancora innervosita: Edith ci aveva preso in pieno, pur non sapendo che ad averlo fatto era stato proprio Kade, il mio istruttore di boxe dai mille segreti.

Decisi di non approfondire la questione con lei: avevo bisogno di togliermi dalla testa quella sua espressione così preoccupata dalla mia presenza per ragioni a me sconosciute.

«Magnificamente» risposi e, dopo aver indirizzato la mia vista verso il cocktail che avevo abbandonato proprio dove il DJ stava suonando, decisi di camminare verso quell'area per recuperarlo.

Afferrai il bicchiere di plastica e presi un lungo sorso del suo contenuto trasparente, ignorando che probabilmente sarebbe stato più prudente ordinarne un altro, data la quantità di tempo in cui lo avevo lasciato incustodito. Ma era stato già un miracolo ottenerne uno, a causa della mia età considerata non matura per bere alcolici secondo le rigide regole americane: perciò non avrei sprecato neppure un centilitro di quella bevanda; non ora che sentivo il mio corpo ribollire totalmente dalla rabbia.

Tornai presto sui miei passi, sedendomi al fianco di Edith, che sentii sghignazzare non appena mi accomodai. «Quello è ancora il tuo primo cocktail?»

La sua fu una domanda retorica: conosceva già la risposta. Con un sorriso di pura malizia sollevò il suo verso di me: «questo è il terzo».

«Ho notato» dissi quando la ragazza scoppiò a ridere senza un motivo preciso, poggiando il capo sulla mia spalla nuda.

Sospirai. «Edith, questo è l'ultimo bicchiere che ti permetto di bere, sappilo» la avvisai, conoscendo bene l'abitudine della mia migliore amica di esagerare con gli alcolici, finendo per rigettare persino l'anima e con un'emicrania senza precedenti ogni singola volta.

Almeno per quella notte, le avrei impedito di farsi del male consapevolmente.

«Aburrida» sbuffò la ragazza, dandomi della noiosa nella sua lingua madre poco prima di rivolgermi una linguaccia. «Pensa a bere il tuo cocktail, piuttosto: sta diventando più ghiaccio che altro!» mi sollecitò poi, sollevando il bicchiere fino all'altezza delle mie labbra colorate di rosso.

«Sciogliti un po', chica!» strillò tra le risate quando cominciai a inghiottire il liquido alcolico: non mi permise di posarlo sul tavolino finché, a grande fatica, non riuscii a finirlo tutto d'un sorso.

Spalancai gli occhi, tossicchiando, tirando poi una piccola spinta alla mia migliore amica. «Ma sei pazza?» sbottai nello stesso momento in cui la ragazza scoppiò a ridermi in faccia senza alcun riguardo.

Scosse la testa. «Sei epica, dovresti vedere la tua faccia! E comunque puoi stare tranquilla per me, questa serata non finirà con la mia faccia nel cesso come starai sicuramente immaginando. Ho ben altri piani, in effetti...» ammise con finta innocenza, amicando verso il tavolo di giovani lavoratori da lei nominato durante il suo esemplare discorso per i miei diciotto anni, dove uno dei cinque le stava rivolgendo un seducente occhiolino.

Ci risiamo.

«Oh, Edith. Quando pensi smetterai con questo atteggiamento da finta ragazza facile e comincerai ad affrontare quello che Edward...»

Non appena nominai il ragazzo che le aveva spezzato il cuore, la ragazza cambiò totalmente espressione, volgendo velocemente la vista verso di me.

«Callate».

Mi intimò di fare silenzio, profondamente dura. Appoggiai le spalle allo schienale del divanetto e sospirai, chiudendo gli occhi.

Un forte giramento di testa mi colse alla sprovvista, portandomi a spalancare le palpebre di soprassalto: quel liquido alcolico bevuto tutto d'un sorso doveva avermi fatto più effetto di quanto immaginassi.

Dimenticai però ogni cosa nel momento in cui, una volta riaperti, i miei occhi incontrarono quelli di Kade, che aveva ripreso posto al solito divanetto in fondo alla stanza: mi stupii di notare al suo fianco lo stesso ragazzo che credevo fosse andato via.

Non avrei avuto bisogno di sentire col mio udito ciò che avesse da dirmi, perché le sue iridi scure sembravano già parlarmi per lui: continuavano ad avvertirmi, a chiedermi di lasciare quel posto prima che fosse troppo tardi.

Avrei tanto voluto sapere per cosa, ma mi limitai semplicemente a dargli le spalle, ancora infuriata con lui e il velo di mistero che lo circondava, ignorando quanto quel semplice gesto mi diede un capogiro.

Mi chiesi perché mi stessi sentendo in quel modo, come se qualsiasi movimento mi causasse un profondo giramento di testa.

Ero ancora ignara di quanto, da quel momento in poi, le cose sarebbero drasticamente precipitate.

Spazio Autrice

Spero tanto che questo capitolo sia decente, l'ho revisionato a lavoro e nonostante questo ci sono stata parecchio su perché molte cose non mi soddisfavano, prima. Se notate qualche errore non fatevi problemi a segnalarmelo!❤️

Ma veniamo a noi: dunque, Kade sembra un po' teso o sbaglio?🌚 Chissà cosa lo turba tanto👀🙊

Per la prima volta, qui abbiamo una reazione particolare di Edith: è sempre felice e apparentemente spensierata, ma quando si parla della persona che le ha spezzato il cuore, Edward, diventa una lastra di ghiaccio. Questo è solo l'inizio...🙊

Cosa sta succedendo a Charly? Perchè si sente in questo modo?
E in che modo precipiteranno le cose nel prossimo capitolo?🌚
Lo scopriremo prestissimo, promesso!
Spero molto che questo capitolo sia di vostro gradimento, lasciate una stellina ⭐️ se vi è piaciuto!
Alla prossima babies🖤
~Cora x

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