13.Chapter Thirteen
«Potresti prestarmi un attimo il microfono? Sì? Gentilissimo, grazie mille!»
«No, ferma! Questa è un'area a cui non si può accedere: torna immediatamente in sala!»
Le voci di Edith e del DJ che discutevano animatamente giunsero ovattate al mio udito nel momento in cui gli occhi scuri di Kade, dopo aver seguito i passi del suo amico, incontrarono i miei.
Ogni cosa intorno a me parve sparire: la musica che rimbombava alta tra le pareti del locale e il battibecco tra Edith e il ragazzo afroamericano che animava la serata passarono in secondo piano, quando anche Kade si accorse della mia presenza in quel luogo.
Il tenebroso sconosciuto rimase con gli occhi puntati su di me a lungo, esaminando la mia intera figura come se credesse che la sua vista gli stesse causando brutti scherzi. Mi sentii profondamente attaccata dal suo sguardo: non fui capace di muovere un singolo muscolo sotto la sua ispezione.
Sembrava studiarmi con una certa rigidità; la sua muscolatura pareva essersi fatta tesa, mentre la sua espressione non lasciava trasparire alcuna emozione.
O almeno, non fino al momento in cui il ragazzo che era in sua compagnia non mi passò di fianco, urtando per errore la mia spalla.
Sorpresa dall'accaduto osservai l'espressione di Kade divenire sconvolta, quasi preoccupata mentre passava in rassegna prima me, poi il ragazzo al mio fianco: non potei fare a meno di chiedermi cosa lo allarmasse tanto quando mi voltai verso colui che mi aveva urtato.
«Perdonami» disse con un tono di voce alto per sovrastare la musica, rivolgendomi un piccolo sorriso. «Non ti avevo vista».
«Nessun problema» gli risposi, rivolgendogli a mia volta un flebile sorriso.
Da quella distanza ravvicinata potei notare ancor di più i tratti accentuati del suo volto dalla mascella pronunciata; gli occhi, di una tonalità più chiara dei capelli neri, erano lievemente a mandorla, contornati da sopracciglia lineari scurissime che si aggrottarono per un attimo nell'osservare il mio viso.
«Ci siamo già visti da qualche parte?» domandò d'un tratto, studiando il mio volto quasi cercasse di associarmi a qualcuno.
Scossi la testa, confusa. Kade aveva forse mostrato una mia foto a quel ragazzo?
Kade aveva parlato di me a qualcuno?
«Oh, sarà una mia impressione allora. Beh, ti auguro una buona serata» sorrise nuovamente e scrollò le spalle, facendomi un cenno col capo che ricambiai, prima di osservarlo sorpassarmi e dirigersi da qualche parte alle mie spalle, probabilmente verso il bagno in fondo alla sala.
Istintivamente, il mio sguardo cadde nuovamente verso la figura di Kade, che scoprii ancora seduto sul divanetto a fissarmi: sembrava aver assistito all'intera scena con attenzione.
Non riuscii a decifrare l'espressione che aveva puntata in viso.
Non ebbi neppure il tempo di metabolizzare l'intero accaduto, perché tutt'a un tratto la musica cessò di suonare, causando il malcontento dell'intera sala.
Indirizzai subito la vista verso la collocazione del DJ, scoprendo Edith averne preso completamente il possesso: la ragazza picchiettò fiera sul microfono che, dopo svariato tempo, era riuscita a sottrarre al ragazzo afroamericano.
Quest'ultimo sembrava osservarla disperato, come se neppure lui fosse riuscito a contenere l'uragano Edith.
E in fondo, sapendo cosa la messicana avesse in mente, un po' lo ero anch'io.
«Damas y caballeros» esordì al microfono in spagnolo, la sua amata lingua madre, spostandosi dall'area riservata del DJ e avanzando lentamente verso di me sotto lo sguardo stupito di ogni singolo presente.
Il suo vestito rosa di seta, come i lunghi orecchini che quasi le sfioravano alle spalle, sembrava brillare in quel momento, mentre si mostrò agli occhi dei presenti senza alcun timore con uno smagliante sorriso sornione.
La mia dignità, da quel momento in poi, avrebbe avuto breve durata.
«So che siete tutti convinti che questa sia esattamente una serata come le altre» sostenne, facendo vagare la vista lungo il locale. «la solita notte di festa tra amiche» indicò a palmo aperto un gruppetto di ragazze ben vestite sedute a un tavolo poco distante da noi, che sorrisero in sua direzione: poi, la sua vista si posò su un gruppo di giovani uomini intorno a un tavolino colmo di alcolici.
«La solita pesante giornata di lavoro conclusa con una sbronza maestosa, degna di nota» ridacchiò osservandoli uno a uno: i ragazzi ricambiarono con un largo sorriso, chi ammiccando, chi sollevando semplicemente un pollice all'insù.
«Oppure ancora, la solita occasione colta al balzo per rimorchiare qualcuno» Edith si rivolse con un ghigno a una coppia impegnata in un focoso bacio che, quasi sentitasi presa in causa, cessò le proprie azioni, spostando stupita tutta l'attenzione sulla mia migliore amica.
Lei gli strizzò semplicemente un occhio, divertita, prima di proseguire. «Perciò immagino che vi sentirete incredibilmente entusiasti di sapere che non è così: questa non è affatto una sera come le altre» scosse la testa, e io avrei voluto sbattere la mia da qualche parte per non dover assistere a ciò che Edith stava mettendo in scena così teatralmente.
Batté un pugno sul suo petto con orgoglio. «Siate fieri, perché se il destino vi ha portati proprio qui, proprio oggi, un motivo ci sarà. State per essere testimoni di un grande evento, un momento tanto atteso che, sotto questo tetto, trascorreremo insieme. Dios, sono così commossa» passò il dito su una finta lacrima melodrammaticamente.
Guardandomi intorno, notai stupita come la concentrazione di ogni singola persona fosse costante sulla figura della mia migliore amica: aveva catturato il loro interesse, rapito con le sue parole meticolosamente studiate ciascuno di loro; probabilmente, chiunque avrebbe capito quanto quell'improvvisato pubblico fosse in ansiosa attesa di scoprire perché quella notte fosse così importante.
E la messicana, attrice nata, diede loro proprio ciò di cui avevano estremo bisogno, un sorriso pieno d'orgoglio dipinto in volto quando parlò con voce suadente e incredibilmente persuasiva.
«Questa non è affatto una sera come le altre perché, allo scoccare della mezzanotte, accadrà qualcosa di terribilmente fondamentale» annunciò dinanzi allo sguardo impaziente degli spettatori. «Allo scoccare della mezzanotte, la persona più importante della mia vita compirà gli anni».
Il silenzio cadde nella sala, piombando su di noi come macigni. Temevo che i presenti avrebbero potuto deriderla, denigrarla per aver creduto anche solo per un istante che, inscenando con tanta cura un discorso del genere, avrebbero potuto dare alle sue parole la stessa importanza che vi dava lei.
Tuttavia, questo non accadde: nessuno osò proferire parola, finché uno tra i giovani ragazzi della tavolata che la messicana aveva indicato si alzò in piedi, fissando il suo sguardo in quello di Edith.
«E dove si trova questa persona così importante?» chiese curioso. Se possibile, il sorriso della ragazza si ampliò ancora di più.
«Lei è proprio qui. Charlotte, vieni avanti» mi porse la mano: avrei preferito sprofondare senza alcuna via d'uscita nelle sabbie mobili, piuttosto che mostrarmi a tutta quella gente improvvisamente interessata a me.
Tuttavia, Edith aveva creato quell'atmosfera a costo di mettersi in ridicolo solo per me: non avrei certo potuto tirarmi indietro, dinanzi a una tale dimostrazione d'amore.
Proprio per questo mi avvicinai a lei sforzando un sorriso, notando come gli occhi di tutti i presenti, in un attimo, si spostarono su di me.
«Ora sì che si fa interessante» sentii mormorare da qualcuno nel momento in cui Edith strinse la mia mano, osservandomi amorevolmente.
Poco dopo mi costrinse ad alzarla in aria, rivolgendosi nuovamente ai presenti. «Fate un bell'applauso a Charly, la migliore amica che si possa desiderare: oggi è il suo compleanno!» esclamò con estrema enfasi.
Non mi sarei mai spiegata come Edith potesse risultare così accattivante e persuasiva con delle semplici parole...
Ma quelle che pronunciò bastarono a convincere gli improvvisati spettatori a scoppiare in applausi, fischi e urla di augurio che ben presto riempirono l'intera sala, risuonando tra le pareti quasi più forte di quanto avesse fatto la musica stessa.
Scoppiai a ridere e mi buttai d'istinto tra le braccia della mia migliore amica, che mi accolse con piacere: non avrei mai pensato di poter assistere a qualcosa di così divertente, ma allo stesso tempo persuasivo e ammaliante.
«Auguri, cariño. Non so come farei se non ci fossi tu» bisbigliò la messicana al mio orecchio, stringendomi ancora a sé.
Sorrisi. «Sei incredibile, Edith. Grazie per aver fatto tutto questo, nonostante sapessi non fossi in vena di festeggiamenti» pronunciai grata, ponendo fine a quel dolce abbraccio per poterla guardare negli occhi.
«Okay, d'accordo, tutto molto carino» sentimmo pronunciare alle nostre spalle, mentre il nostro pubblico ancora applaudiva, augurandomi un buon compleanno: ci voltammo in tempo per osservare il DJ, rimasto in piedi a distanza per tutto quel tempo, camminare verso di noi, finché non giunse proprio dinanzi a me.
«Ti porgo i miei più sentiti auguri, davvero» affermò il ragazzo dalla pelle scura, incurvando le labbra piene in un sorriso, per poi cambiare totalmente espressione quando si rivolse a Edith. «Ma questo» e sottrasse immediatamente il microfono dalle mani della ragazza, che lo guardò con l'espressione furba di una volpe, «deve tornare a chi di competenza, ora» concluse duro, fissandola come se non ci fosse altra persona al mondo che detestasse di più.
Un sorriso a trentadue denti si stampò sul viso tanto dolce quanto sfacciato della messicana. «Grazie per avermelo concesso, è stato molto gentile da parte tua!» affermò falsamente quando il ragazzo stava per allontanarsi: la sua sfacciata frase lo bloccò sul posto, portandolo a voltarsi nuovamente in sua direzione, furioso.
«Io non ti ho concesso un bel niente» pronunciò infastidito, prima di darci le spalle definitivamente, pronto a far ripartire la musica.
«Ah già, mi culpa. È vero» Edith strizzò il naso e alzò le spalle, rivolgendo il capo verso di me.
«L'ho ottenuto con l'inganno».
Scoppiai in una fragorosa risata, incapace di trattenermi: quella ragazza non sarebbe mai cambiata, ed ero estremamente convinta che avesse un futuro da attrice; avrebbe certamente divertito chiunque.
Con la stessa velocità con cui era stata spenta, la musica riprese a suonare, e allo stesso modo le persone intorno a noi tornarono alla loro solita serata di chiacchiere, bevute e conquiste riuscite.
Ero finalmente felice ma, soprattutto, libera da ogni pensiero negativo: la mia amica era riuscita a farmi ottenere, anche se per poco tempo, la pace interiore che tanto agognavo.
Probabilmente, avrei continuato a sentirmi in quel modo per il resto della serata, se solo la consapevolezza di aver dimenticato qualcosa non mi avesse colpita in pieno petto.
No. Non qualcosa...
Qualcuno.
Mi ritrovai a spalancare gli occhi, smettendo di prestare attenzione a ciò che la mia migliore amica stesse argomentando: ero stata così presa dal suo discorso, dal modo in cui aveva catturato l'interesse di tutti e da come li avesse intrattenuti per tutto quel tempo, da dimenticare la presenza di Kade in quel luogo.
Lui aveva assistito all'intera scena.
La mia vista cadde proprio verso la zona in cui l'avevo visto svariati minuti prima, stupendomi nel trovarlo sempre lì, seduto su quel divanetto in camoscio nero, le iridi fisse su di me come se, per tutto quel tempo, non si fossero spostate altrove.
Faceva terribilmente caldo in quel luogo, eppure, mi sentii congelare sul posto a quel singolo scambio di sguardi.
Sedeva ancora solo, perciò probabilmente il suo amico era andato via e non era diretto verso il bagno come avevo pensato, luogo in cui però decisi io stessa di rifugiarmi, presa da un momento di confusione.
«Vado a ripassarmi il rossetto» dissi d'un tratto, sorprendendo la mia amica per averla interrotta, abbandonandola nei pressi della postazione del DJ munita della mia borsa a tracolla per dirigermi a passo spedito verso i servizi igienici.
Non si udiva alcun suono in quel luogo, e ciò mi suggerì che fossi sola: meglio.
Presi un lungo respiro, afferrando in fretta il rossetto dalla tasca della borsa. Mi guardai allo specchio: la riga di eye-liner era ancora perfetta, le ciglia lunghe sfioravano le sopracciglia castane e probabilmente il mio rossetto, della stessa tonalità di rosso del vestito che indossavo, non avrebbe potuto essere più impeccabile di quel momento, ma decisi comunque di darvi una ripassata, nel tentativo di liberare la mente.
Non sapevo neppure perché mi stessi facendo tanti problemi: mi trovavo nello stesso locale in cui era presente Kade, un ragazzo che avevo conosciuto in discoteca recentemente divenuto mio istruttore.
E quindi?
Per quale motivo rivederlo in un luogo diverso dalla palestra, dopo averlo aiutato la sera in cui lo avevo trovato in pessime condizioni, avrebbe dovuto farmi agitare in quel modo?
Chiusi gli occhi ed espirai, poggiando le mani sui bordi bianchi del lavabo: probabilmente era a causa di quella sorta di inspiegabile preoccupazione che avevo colto nei suoi occhi quando il ragazzo con cui poco prima dialogava mi aveva rivolto la parola; oppure era stata quell'occhiata che mi aveva rivolto, così gelida e perforante da suonare quasi come un avvertimento, a scatenare quella reazione in me.
La stessa reazione che ebbi quando, alle mie spalle, sentii una voce profonda e dura pronunciare ciò che aveva cercato di trasmettermi con un solo sguardo.
«Devi andartene da qui».
Spazio Autrice
Finalmente le cose iniziano a movimentarsi🌚
Personalmente, amo il discorso di Edith e tutto ciò che la riguarda: lei è così iconica, joder😩🧡 È stata talmente coinvolgente da far dimenticare a Charly la presenza di qualcuno...🌚
Cosa ne pensate del finale? Di chi si tratta, è perché dice a Charly di andarsene? Let me know🌚
Alla prossima ❤️
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