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1.Chapter One

«Non posso credere di essere veramente qui!»

Il caos intorno a noi non mi permise di prestare ascolto all'affermazione di Edith, la mia migliore amica.

Urla, schiamazzi e gente pronta a passare una serata indimenticabile: nulla sembrava fuori posto in quel luogo caotico e dispersivo.

A parte me.

Sbattei le palpebre una volta di troppo.«Come?»

Edith sollevò gli occhi al cielo e afferrò il mio braccio, scuotendolo come se avesse voluto riportarmi velocemente alla realtà che mi circondava.

«Charly, ma che ti prende? Siamo qui per fare festa, non per pensare alle regole che stiamo trasgredendo!» mi ricordò, poggiando le mani sulle mie spalle e fissandomi intensamente coi suoi occhi scuri. «Avanti, tra poco toccherà a noi passare. Come pensi crederanno ai documenti falsi che ho ottenuto per entrare, se ti vedranno con la testa tra le nuvole?» abbassò la voce a quelle parole o chiunque, in quella marmaglia di persone in coda per l'ingresso, avrebbe scoperto che non avessimo ancora l'età per frequentare un luogo simile.

Aveva ragione: grazie alle sue conoscenze stavamo per avere accesso a una delle discoteche più famose dell'intera California, e quello non era lo spirito giusto per affrontare una serata di puro divertimento.

Il mio unico problema, quella sera, sarebbe dovuto essere mostrare il mio documento falso alla guardia, sperando non si accorgesse che mancassero ancora svariati anni al raggiungimento del mio ventunesimo anno di età: eppure, invece, non riuscii a non pensare a quanto stessi tradendo la fiducia di Nathan, il mio fratellone, solamente essendo lì.

Strizzai gli occhi e scossi la testa a quel pensiero: nonostante amassi mio fratello, la sua iperprotettività cominciava a essere sempre più soffocante.

Non capivo per quale motivo volesse tenermi lontana dal caos, dalle feste e in generale dai posti affollati, ma ero stanca di sottostare alle sue stupide regole: in fondo ero un'adolescente anch'io, e come tutti meritavo di divertirmi.

Mi ero sempre chiesta come fosse stata invece la sua, di adolescenza, e se nostra madre fosse stata intransigente con lui come loro lo erano con me.

A volte, le loro regole diventavano così opprimenti da portarmi a chiedermi se non ci fosse qualcosa nello specifico da cui volessero proteggermi, qualcosa di imprevedibile e... pericoloso.

Spesso, invece, cercavo di capirli: non avevo mai conosciuto mio padre, vittima di incidente stradale quando ancora mia madre mi portava in grembo, ed entrambi avevano sempre fatto il possibile per colmare quel vuoto con cui ero costretta a convivere sin dalla nascita.

Avrei tanto voluto conoscere quell'uomo di origini italiane di cui mia madre si era innamorata; avrei tanto voluto amarlo anch'io.

Di lui, però, non mi restava che l'amara nostalgia di un ricordo rubato, e qualche foto ormai sbiadita dal tempo custodita nel cassetto.

Sin da quando ne avevo memoria vivevamo nella magnifica città di San Francisco, di fronte alla famiglia di Warner, il figlio di un'amica della mamma e l'inseparabile migliore amico di Nathan.

Io e Warner, negli anni, avevamo stretto un'amicizia quasi fraterna: lui c'era sempre per me, e io sarei stata eternamente grata della sua presenza nella mia vita.

Ero convinta che neppure lui avrebbe approvato la mia scelta di essere lì, quella sera.

Edith prese la mia mano e mi trascinò con sé fin davanti la guardia, indispettita dalla mia testa tra le nuvole: solo allora mi resi conto che ogni persona davanti a noi fosse già entrata, sparendo dentro il locale dalla musica rimbombante.

Nel momento in cui mostrò il suo documento all'uomo davanti a sé, la ragazza sorrise e spostò i capelli color cioccolato alle spalle con fare teatrale, lasciando che ricadessero lungo il suo vestito dalle maniche a sbuffo.

Quando fu il mio turno, l'uomo rimase svariati secondi a osservare il mio documento d'identità; poi mi rivolse una breve occhiata, e infine annuì disinteressato, scostandosi per farci passare.

Non appena varcammo la soglia della discoteca percepii la musica suonare a tutto volume, e istintivamente sorrisi: io e Edith avevamo partecipato a svariate feste, ma non avevamo mai avuto l'occasione di passare una serata in discoteca.

Eravamo eccitate alla sola idea.

«Ben fatto, querida! Siamo dentro!» urlò la ragazza col suo tipico accento messicano, raggiante, cominciando subito a muovere i fianchi a ritmo della canzone che stava suonando, facendo in modo che le balze del vestito rosa che portava seguissero i suoi movimenti armoniosi.

Mi guardai intorno, stupita: quel luogo era immenso ed estremamente caotico.

Lo stile della costruzione era piuttosto moderno: tre gradini più in sotto di noi c'era la vera sala da ballo, dove centinaia di ragazzi di ogni età e sesso saltavano, ridevano, si dimenavano muovendo i propri corpi -perlopiù in maniera provocatoria e sensuale- a ritmo di musica.

Un grande bar era posizionato in maniera strategica proprio alla nostra destra, e nel momento in cui mi voltai verso Edith per chiederle se le andasse un cocktail, notai che ne sorreggesse già due in mano mentre, saltellante, si dirigeva verso di me.

Ma cosa diavolo...

Strabuzzai gli occhi, perplessa, e lei mi rivolse uno scintillante sorriso.

«Eri così persa nel tuo mondo da non accorgerti che un bel manzo ci ha appena offerto questi!» esclamò a gran voce, sollevando in aria le bevande alcoliche e ammiccando verso il barista.

Mi voltai in direzione di un ragazzo in divisa lavorativa dagli occhi chiari che mi sorrise, prima di rivolgere un occhiolino a Edith, che morse il suo carnoso labbro inferiore dal rossetto rosso fuoco.

Compresi, a quel punto, che quelli sarebbero stati solamente i primi di una lunga serie di cocktail gratuiti che avremmo bevuto, quella sera: non sapevo però se si trattasse di un aspetto positivo oppure, al contrario, estremamente negativo.



Trascorsa un'ora in quel luogo compresi che mai più, nella vita, avrei lasciato che qualcuno mi offrisse tre bevande alcoliche: avevo sempre retto abbastanza l'alcol, ma non mi ero mai spinta oltre un solo drink.

Presa dall'adrenalina del tasso alcolemico in aumento, mi ritrovai in pista a ballare con delle complete sconosciute, ignorando che Edith fosse sparita chissà dove insieme al barista che, finito il turno di lavoro, aveva deciso di trascorrere del tempo con lei.

Non avevo idea di come la mia amica riuscisse a fidarsi così facilmente degli sconosciuti, ma sperai vivamente che si sarebbero limitati a parlare, anche se sapevo fosse una partita persa in partenza.

Dopo essere stata tradita dall'unico ragazzo avesse mai amato, Edith non era più stata la stessa: sfogava il suo dispiacere negli uomini, sperando che, un giorno, avrebbe potuto trovarne uno come lui.

Era davvero triste.

In ogni caso, però, ero troppo fuori di me per provare a fermarla.

Una ragazza del gruppo a cui mi ero unita cinse la mia vita stretta con un braccio e mi invitò a ballare insieme a loro, facendomi notare come avessi cominciato a estraniarmi persino da ubriaca, in mezzo a una marea di gente.

«Forza, Charly, sciogliti! Dimostraci chi sei!» gridò la ragazza, mentre il frastuono della musica in sottofondo continuò a perforarmi i timpani. I corpi delle cinque sconosciute erano perfetti e sudati, come se stessero danzando da ore in quel buio locale dalle luci intermittenti: non seppi perché, ma quando una minuta biondina tese la mano verso di me, incoraggiandomi a unirmi a loro, gliela strinsi.

In quel momento, finalmente, decisi di farlo: decisi di cacciare via ogni pensiero negativo, ogni preoccupazione; non pensai più a mio fratello, alla mia trasgressione, alle menzogne, a Edith, al mio sentirmi costantemente come se qualcosa mi mancasse.

Mi sciolsi come mi era stato chiesto, lasciando che il mio corpo si abbandonasse totalmente alla melodia che le grandi casse appese al soffitto trasmettevano: si trattava del remix di una canzone molto famosa che tutti, in quella sala, sembravano conoscere.

Le ragazze intorno a me sorrisero, soddisfatte, e lo feci anch'io: chiusi gli occhi e lasciai il mio corpo libero di saltare, dimenarsi e ballare, scoppiando in una fragorosa risata quando percepii un forte giramento di testa e barcollai leggermente all'indietro, reggendomi con successo in piedi sui miei tacchi.

La mia mente sembrò svuotarsi di ogni cosa quando decisi di mettermi in gioco, e a quel punto non riuscii a pensare ad altro, se non al divertimento che da sempre agognavo.

Se era davvero quella la sensazione che si provava a essere ubriachi, allora non mi sarei più negata un'esperienza del genere: per nulla al mondo.

Sollevai le braccia in aria e saltai, scuotendo la testa con gli occhi serrati e un sorriso puntato sul mio volto solleticato dai capelli scuri: probabilmente mi ero allontanata da quelle ragazze, ma ormai non c'era più nulla che avesse importanza, oltre la mia meritata spensieratezza.

O forse, qualcosa c'era.

Mi resi conto di aver urtato qualcosa quando percepii un calore ustionante contro la mia coscia, che mi portò a spalancare gli occhi dalla sorpresa.

Cacciai un urlo, e istintivamente mi allontanai da ciò che mi aveva bruciata, voltandomi così velocemente che il capogiro che mi pervase mi impedì di mettere a fuoco ciò che mi ritrovai davanti.

Quando però riuscii a recuperare a fatica ogni mia facoltà cognitiva, i miei occhi affaticati scorsero qualcosa che mi spiazzò: a pochi centimetri da me vi era un ragazzo che, a differenza di ogni singola persona si trovasse in quel luogo, era immobile sul posto.

Appoggiato alla colonna di marmo a braccia conserte, aveva cominciato a passare lo sguardo prima su di me, poi verso una sigaretta ancora accesa al suolo: non impiegai molto a capire quale fosse stata la fonte della mia improvvisa scottatura.

Corrugai la fronte, intontita, fissando il ragazzo dai capelli corvini dinanzi a me e scoprendolo a osservarmi con un'espressione così gelida che, se non fossi stata del tutto su di giri, mi avrebbe messo i brividi.

Rimasi pietrificata, non sapendo come reagire a quell'inaspettato incontro: il corvino di fronte a me non sembrava per nulla intenzionato a interrompere il nostro contatto visivo, e neppure a spostarsi dalla posizione che aveva assunto.

Il rumore assordante delle casse e della gente in foga iniziava a darmi alla testa, ma le urla, gli schiamazzi, ogni cosa intorno a me parve cessare di colpo, quando il tenebroso sconosciuto prese parola.

«Quella era la mia sigaretta» affermò il moro, cupo e serio in volto, accentuando i suoi tratti rigidi e virili tanto affascinanti quanto spaventosi.

Poi, improvvisamente, qualcosa cambiò nel suo sguardo, perché gli angoli della sua bocca si sollevarono fino a formare un piccolo sorriso.

Il tenebroso sconosciuto stava sorridendo.

Dio, che sorriso.

«Sembra proprio che il destino abbia deciso di non farmi riprendere questo dannato vizio» ammise, e questa volta ridacchiò, spostando lo sguardo verso la sigaretta a terra e mostrando per un attimo la sua dentatura bianca e perfettamente allineata.

«Non si può fumare qui» mi ritrovai a dire ancor prima di rendermene conto, e per un attimo sbattei più volte gli occhi, cercando di capire se tutto quello che stavo vivendo fosse reale.

Passai lo sguardo sulla figura del ragazzo, notando che indossasse una camicia nera dalle maniche lunghe sbottonata quasi per metà, che lasciava intravedere alcuni tatuaggi e un petto imponente; un jeans altrettanto nero e un paio di eleganti scarponcini stringati, neri come l'aura che trasmetteva.

Prima che potessi accorgermi di fissarlo da troppo tempo, il moro mi squadrò per un breve istante, prima di tornare a guardarmi negli occhi e parlare.

«Sembri mortificata per avermi fatto sprecare una sigaretta» ridacchiò divertito, continuando prima che potessi ribattere, «e a me dispiace di averti scottata, anche se sei stata tu a lanciarti addosso a me».

Il ragazzo si avvicinò di qualche passo, e io rimasi a osservarlo immobile, incapace di reagire. Quando mi raggiunse, dovetti sollevare il volto per guardarlo nei suoi gelidi ma bollenti occhi scuri.

Il moro poggiò delicatamente le mani sui miei fianchi, facendomi irrigidire, ma impiegai ben poco tempo a sciogliermi di nuovo quando, avvicinando lentamente le labbra al mio orecchio, vi sussurrò una proposta che non avrei mai potuto rifiutare, quella sera.

«Direi che ci dobbiamo un ballo a vicenda».

Si allontanò di poco dal mio viso per tornare con lo sguardo puntato nel mio, lasciando che percepissi il fresco profumo della sua pelle: la sua intera figura era così ammaliante che, per un attimo, mi persi a osservarlo.

Il corvino però non aspettò una mia risposta: non appena una nuova canzone partì dalle casse appese al soffitto, cominciò a muovere il suo corpo a ritmo della sfrenata melodia che stava suonando, trascinandomi con sé in quella danza totalmente inaspettata.

Non sapevo perché non avessi reagito, non avevo idea del perché, in quel preciso istante, stessi ballando con un perfetto sconosciuto: forse era tutto merito all'alcol, o forse, era perché in realtà quel ragazzo non sembrava affatto un malintenzionato, o una persona che avrebbe voluto farmi del male, nonostante la sua attitudine da brividi.

Da quella distanza ravvicinata, riuscii a cogliere alcuni dettagli del suo volto: portava un piercing ad anellino al lato del naso, aveva un accenno di barba rifinita e le labbra carnose erano piegate in un sorrisetto che non riuscii a definire, in quel momento.

I suoi capelli erano di un nero quasi innaturale e sembravano perfettamente curati, nonostante alcuni ciuffi ribelli fossero saltati dalla sua pettinatura, ricadendogli sul volto dai tratti marcati e pelle olivastra.

La camicia si apriva e si chiudeva a ogni suo movimento, lasciando per brevi istanti in bella vista i suoi pettorali pronunciati, su cui vi erano incisi così tanti intriganti disegni da perderne in fretta il conto.

Era indubbiamente un bellissimo ragazzo.

Ma per quale motivo mi stavo fidando di lui a tal punto da permettergli di toccarmi, e di ballare insieme?

Dopo minuti che parvero interminabili il ragazzo staccò una mano dal mio fianco e portò alcune ciocche di capelli all'indietro, mentre con l'altra mi attirò più vicino a sé, facendomi spalancare gli occhi dalla sorpresa.

Nonostante ci fossimo appena conosciuti, i nostri corpi riuscivano a muoversi così in sintonia tra loro da farmi credere che fossero stati creati per danzare insieme, e quando
una canzone allegra cominciò a risuonare tra le pareti di quella sala, smisi finalmente di pormi inutili domande: rivolsi ogni mio pensiero al ragazzo davanti a me, totalmente rapita dal suo sguardo magnetico.

Trascorremmo i migliori momenti della serata così, a ballare e fissarci intensamente come se l'intera sala fosse sparita e fossimo rimasti solo noi, due perfetti sconosciuti intenti a ripagare l'uno il danno arrecato all'altra, finché qualcosa alle mie spalle parve attirare l'attenzione del moro di fronte a me.

«È- è tutto...»

«Qual è il tuo nome?» mi interruppe di colpo, senza smettere di muoversi e continuando a osservare oltre le mie spalle.

«Charly» parlai dopo quella che sembrò un'eternità, e la mia voce risultò così incrinata da farmi paura.

Forse avevo davvero esagerato con l'alcol, quella sera.

«I-il tuo?» balbettai.

Mi chiesi cosa mi fosse successo, come avessi fatto a rammollirmi in così poco tempo.

«Kade» affermò prima di bloccarsi all'improvviso, continuando a guardare dietro di me.

Si passò una mano sul labbro inferiore, e sembrò che sul suo volto stesse per nascere un sorriso, per un istante.

Al contrario invece, la sua espressione tornò quasi immediatamente fredda e distaccata, proprio come quando, urtandolo, mi aveva rivolto un'occhiata gelida.

«Ci rivedremo, Charly, te lo prometto. Ti troverò» assicurò senza neppure guardarmi, prima di allontanarsi di due passi da me, lasciandomi in uno stato di totale confusione.

Che cosa significava? Perché aveva deciso di andare così via così, tutt'a un tratto?

Forse mi aveva presa in giro fino a quel momento: probabilmente, ballare con me era stata solo una stupida scommessa fatta coi suoi amici...

Ma capii tutto, capii cosa il tenebroso sconosciuto stesse osservando alle mie spalle, quando sentii una voce.

Una voce che da sempre e per sempre mi avrebbe resa felice... ma non in quel luogo.

Non quella sera.

«Charly!»

La voce di mio fratello giunse al mio udito proprio nell'istante in cui i miei occhi scuri incontrarono i suoi celesti, osservandolo farsi spazio in mezzo alla folla di gente in foga, infastidito e disgustato da chiunque lo sfiorasse.

Sembrava... furioso.

«Non posso crederci, Charlotte! Ma che diamine ci fai qui?» sbottò, scrollandomi per le spalle non appena mi raggiunse.

Rettifico: lo era.

E non era solo.

Quando lo vidi strabuzzai gli occhi, rimanendo a fissare una nuova figura alta e slanciata dirigersi verso di noi.

Nathan aveva portato con sé il suo migliore amico, Warner, che in quel momento stava guardando ben altro.

Capii di cosa si trattasse quando a passo spedito si diresse verso Kade: la sua figura era pronta a sparire tra la folla finché Warner non lo prese per le spalle, trascinandolo all'indietro e facendolo sbattere alla colonna di marmo dove, circa mezz'ora prima, lo avevo conosciuto.

Sussultai per la brutalità di quel gesto, rimanendone sconvolta.

«Che cosa ci facevi con Charly, uh? Ti ho visto, è inutile che scappi! Chi ti ha dato il permesso di toccarla?» urlò il ragazzo dai capelli castani al moro, furioso, tenendolo per il colletto della camicia.

Nathan fece un passo in avanti per fermare le violente azioni dell'amico, ma bloccò i suoi passi non appena Kade reagì in maniera del tutto inaspettata.

Il tenebroso sconosciuto, infatti, rimase impassibile alle grida di Warner, liberandosi velocemente dalla sua stretta e spingendolo abbastanza forte da farlo indietreggiare di alcuni passi.

«Io, fossi in te, mi porrei una domanda differente» disse, aggiustando le maniche della sua camicia con indifferenza, prima di incontrare nuovamente le iridi di fuoco di Warner.

«Chi ha dato il permesso a te di toccare me?» domandò il moro, lo sguardo freddo e provocatorio puntato negli occhi nocciola di Warner che sembrò sul punto di scoppiare, a quelle parole.

Infatti, con uno scatto impugnò nuovamente il tessuto della camicia del moro, facendolo urtare ancora una volta la colonna alle sue spalle: qualcosa scattò in me a quell'ennesimo gesto brutale perché, nonostante la mia vista stesse divenendo sempre più offuscata, decisi di reagire.

«Warner, fermati!» gridai, prendendolo per un braccio e tirandolo indietro: ormai avevo imparato a contrastare la sua forza, nonostante quel ragazzo fosse un metro e novantasei di soli muscoli.

«Si può sapere cosa ti prende? Da dove esce tutta questa violenza?» gli domandai, sotto lo sguardo dei tre giovani uomini intorno a me.

Ormai, mi veniva difficile persino udire la musica che rimbombava e la gente esultante senza strizzare gli occhi ogni volta che le casse raggiungevano una nota ancor più alta.

Warner, davanti a me, stava ribollendo dalla rabbia: rivolse una rapida occhiata a Nathan dopo le mie parole, per poi guardare con disprezzo il ragazzo alle sue spalle, ancora fermo e impassibile nella sua posizione, e infine posare lo sguardo su di me.

Ma le sue pupille ristrette per l'ira non incontrarono le mie dilatate, perché un ingestibile giramento di testa mi fece ritrovare schiacciata al suolo, con la forza di gravità a gravarmi sulle spalle e una forza di volontà tale da impedirmi di non rigettare ogni singola goccia di alcol mi avesse portata a quella strana e imbarazzante situazione.

Varie imprecazioni di mio fratello fecero da sottofondo al mio lento scivolare nell'oblio quando si chinò verso di me, e udii un «ti conviene sparire dalla mia vista, prima che ti apra il culo!» esclamato a gran voce da Warner, dopo di che mi ritrovai improvvisamente tra le braccia di Nathan che, seguito dall'amico, ricominciò a farsi spazio tra la folla per uscire da quel posto.

«Non posso credere che tu abbia bevuto fino a questo punto, Charly...» furono le sue parole quando le mie palpebre divennero troppo pesanti per tenere gli occhi aperti.

Quando mi concessi di chiudere finalmente gli occhi, i miei ultimi pensieri andarono al tenebroso sconosciuto che aveva dato una svolta alla mia serata, seppure non fosse finita nel migliore dei modi.

Capii inoltre che avrei dovuto smettere di definirlo in quel modo, perché ormai sapevo il suo nome.

Si chiamava Kade.

E mi aveva promesso che lo avrei rivisto.


Spazio Autrice

Eccoci finalmente qui col primo capitolo!
Allora, cosa ne pensate? Per ora abbiamo visto ben poco del caratterino di Charly, ma sicuramente abbiamo abbastanza per parlare di quello di Edith!
È una ragazza tutto pepe la nostra messicana preferita, e con lei ne vedremo delle belle!
Poi, chi sarà questo misterioso ragazzo, il tenebroso sconosciuto, di cui Charly rimane ammaliata?🌚👀
Poi abbiamo Nathan e Warner: l'iperprotettivo e il Dio grec- cioè, il suo migliore amico.
Che ne pensate di loro?
Fatemi sapere tutto qui nei commenti, ci vediamo il prossimo lunedì col secondo capitolo!❤️

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