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1- quarto capitolo.

Buio.
Una via di non ritorno, spietato.
Vuoto.
Immenso e terribile, letale e omicida. C'erano quelli, intorno a me, nient'altro.
E poi, all'improvviso, il gelo, talmente potente da squarciarmi il petto.

Spalancai gli occhi con un colpo secco e, un istante dopo, la bocca. Un getto d'acqua mi invase la gola, gli occhi, le orecchie; ogni punto d'accesso al mio corpo venne investito dalla sua forza sovrannaturale.
Il panico mi assalì, mentre annaspavo verso la superficie alla disperata ricerca d'aria. Cosa diavolo sta succedendo?

Allungai le braccia e spinsi con le gambe, in modo da risalire il più in fretta possibile.  Tutto quello che percepivo, in quello stato di totale confusione, era il ritmico pulsare del sangue nelle mie tempie, la pressione contro il mio petto, il bruciore intenso agli occhi. Dovevo assolutamente respirare, o sarei morta.
Con un'ultima spinta potente, mi sollevai fino ad infrangere quella prigione d'acqua con la testa. Gli schizzi mi inondarono il viso; il primo impulso che avvertii fu quello di spalancare la bocca, in modo da incamerare l'aria che mi era mancata per troppo tempo. Quando aprii gli occhi mi ritrovai a scrutare un cielo di un plumbeo grigiore: sembrava pronto ad ospitare un violento acquazzone. Passandomi una mano sul volto, cominciai a rabbrividire. Ero immersa in quello che aveva tutta l'aria di essere un lago, l'acqua era talmente gelata da aver quasi congelato anche i miei capelli, e il continuo tremito che percepivo ne era la testimonianza. Devo uscire di qui.

La forza di volontà che mi aveva sempre caratterizzata mi fu utile in quel frangente, per nuotare verso la riva. Una volta giunta lì mi lasciai cadere sulla battigia, spossata. Cominciai a tossire, attirando nelle narici e nella bocca anche i ruvidi granelli di sabbia. Cercai di riprendere il controllo di me stessa, rotolandomi supina. Osservai il mio petto compiere movimenti amplificati, nello sforzo di riacquistare la riserva d'ossigeno. E poi, abbassando lo sguardo, un grido strozzato mi fuoriscì dalla gola.

-Merda.-
Ero completamente nuda, dalla testa ai piedi. Mi sollevai di scatto, guardandomi intorno nella speranza che non ci fosse nessuno ad osservare la scena. Per fortuna, la spiaggia era deserta. Non riuscivo a capire cosa fosse accaduto, né come fossi finita lì. Non sapevo nemmeno a cosa corrispondesse: non era il mio territorio e non avevo mai visto niente di simile nei dintorni di Miami. 
Mi sentivo la testa leggera, svuotata e depurata da ogni sorta di preoccupazione, eppure, in qualche modo, era come se portassi un macigno dentro di me. Ero preda della nausea e chiusi gli occhi, per cercare di fermare il turbinio di stelle sopra la testa.
La prima cosa che avrei dovuto fare, in quel momento, era coprire le mie nudità. Ma, per quanto avessi cercato in lungo e in largo, su una spiaggia non potevo sperare di trovare qualcosa.
Con un gemito mi raccolsi le ginocchia al petto, e ci incassai la testa. Stavo per cedere, lo sentivo. Mi sentivo perduta, smarrita, in conflitto con me stessa. Non ricordavo niente di quanto mi era accaduto, tranne un particolare che mi era rimasto impresso a fuoco nella memoria: l'esplosione di luce. Quella che mi aveva quasi accecato. Poi c'era stato il buio, seguito dal senso di smarrimento, e infine l'acqua. In quel momento c'era un unico pensiero ad occuparmi la mente: sono morta.
Era l'unica spiegazione. Eppure, nonostante quella possibilità mi sembrasse l'unica degna di una logica, non riuscivo a capire.
I morti non rischiano di annegare, loro sono già morti.

E allora cosa mi stava accadendo? Cos'era quel peso che mi sentivo dentro? E dove ero capitata?

Fu allora, nel momento esatto in cui formulai quella domanda, che la voce di un bambino si levò nell'aria, squarciando quella parete di dubbi e quesiti che mi stavano sconquassando il cervello.
-Papá!- gridò, -c'è qualcuno, laggiù!-
Mi voltai di scatto, il giusto necessario per dare un volto a quella voce che, ero sicura, aveva inteso me. Katherine Avalon, una ragazza strana, nuda, inginocchiata sulla sabbia, in un posto che non conosceva.
Mi affrettai a spostarmi i capelli fradici davanti agli occhi, sperando così di celare il mio volto agli sconosciuti.
Cosa che, sfortunatamente, non funzionò.
Avvertii dei passi alle mie spalle, pesanti a causa della sabbia, che si fermarono proprio dietro di me. Mi bloccai, tappandomi la bocca, mentre abbassavo la testa verso le mie ginocchia nude.

-Signorina?-
Sgranai gli occhi, la mano ancora premuta contro la bocca. Signorina?
-Vi sentite bene? Siete ferita?-
Vi? Siete?

Contrassi la mandibola. Vista l'insistenza di quella voce, mi costrinsi a compiere un lieve cenno del capo. Mi sentivo degli sguardi puntati addosso e mi morsi il labbro, per cancellare lo sgomento: due perfetti sconosciuti mi stavano fissando, ed io ero nuda, nuda da far schifo.
- Signorina...
-Sto bene- dissi con una certa asprezza nella voce.
-Chiedile come si chiama- sentii dire da una voce maschile più acuta, quella che, probabilmente, doveva appartenere al bambino.
Una mano ruvida mi si posò delicatamente sulla spalla, a dispetto dei calli. Sussultai, scostandomi repentina.
-Non toccarmi- sibilai, sollevando lo sguardo. Tra gli spazi lasciati aperti dai capelli bagnati scorsi il volto di un uomo, ricoperto di una leggera peluria di un rosso scuro, dall'aria ruvida. Spostai lo sguardo più in alto e notai un paio di occhi scuri, che mi stavano fissando a metà tra lo stupore e la titubanza. Accanto a lui c'era un bambino, che gli arrivava alla spalla, vestito in modo cencioso e provvisto di un paio di occhi dello stesso colore scuro dell'uomo, ma più vispi e curiosi.
-Signorina, non vogliamo farvi del male- disse l'uomo, allungando un braccio in segno di pace.
-Ma avete bisogno di aiuto.
Ho bisogno di capire dove sono, ecco di cosa ho bisogno, pensai.
-Lasciate che vi aiuti.
Lo vidi avvicinarsi e mi feci ancora più in là, con il panico che mi seguiva come un'ombra. -Non avvicinarti.-

Lui si fermò, fissandomi con espressione confusa. Non ero stata il massimo dell'educazione, lo riconoscevo, ma come potevo fidarmi di qualcuno vestito in quel modo inusuale e con l'aspetto di un vagabondo?
-Voglio soltanto aiutare- si giustificò, abbassando il capo con aria affranta.

Aggrottai la fronte. Perché si comportava in quel modo? Perché voleva aiutarmi? Chi era?
Nessuno fa mai niente per niente.
-Che cosa vuoi da me?- domandai fissando il bambino, invece che il diretto interessato. -Nemmeno mi conosci.

Mi resi conto che più facevo domande, meno lui sembrava comprendere.
Rivolgendomi uno sguardo incerto, rispose: -Voglio aiutarvi, ve l'ho già detto.
-Perché?- la mia voce salì di tono, al punto da sfiorare l'inverosimile.
Dovevo ritrovare la lucidità e calmarmi, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi. Mi sembrava tutto così assurdo, così irreale, che a tratti era quasi doloroso.
-E perché continui a darmi del voi?
-Come dovrei chiamarvi?-replicò lui, stringendo quello che immaginavo essere suo figlio contro il fianco. Adesso sembrava spaesato, quasi quanto me. E io non capivo, ma non potevo alzarmi e filarmela perché ero maledettamente nuda.

Sai dove sono finiti i miei vestiti?
Il bambino passò lo sguardo da me al padre, confuso. L'uomo mi guardò con lo stupore dipinto negli occhi.
-Io non... Non capisco.-
Già, nemmeno io.

La testa cominciò a farmi male. Decine di domande mi si affollarono in mente, confondendomi ancor più di quanto giá non fossi. Mi presi il volto tra le mani e piansi, per la prima volta da quando mia madre era morta, sfogando tutto il mio dolore, unito al senso di smarrimento, alla tristezza, alla confusione, alla nostalgia. Tutto si fuse in un unico agglomerato di sensazioni che rischiarono di tramortirmi definitivamente.
All'improvviso sentii gli stessi passi di prima avvicinarmi, e un attimo dopo qualcosa di caldo e ruvido mi venne appoggiato sopra le spalle. Sollevai la testa di scatto e, per la prima volta, incontrai lo sguardo dell'uomo che mi aveva trovata. Ebbi l'impulso di nascondermi ma il sorriso d'incoraggiamento che mi rivolse, fu sufficiente a far sbocciare qualcosa dentro di me.
-Venite con noi, vi porteremo al sicuro.-
Non so dire cosa mi indusse a fidarmi. Forse fu il fatto che non avevo mai incontrato qualcuno tanto gentile e senza alcun secondo fine, qualcuno che possedeva uno sguardo così puro e pulito capace di colpirmi nel profondo.
Così mi lasciai aiutare, aggrappandomi al braccio che mi offrì, con il pesante mantello che mi copriva le spalle e il piccolo che ci seguiva con lo stesso sguardo curioso di prima.

Mi lasciai indietro la spiaggia, il lago e la morte, a cui ero inspiegabilmente sfuggita, senza sapere che da qualche parte, in quello stesso momento, la mia famiglia veniva informata dell'incidente che mi aveva colto di sorpresa.
Abbandonai Katherine Avalon nel baule dei ricordi, e lo chiusi a chiave.
Per sempre.

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