Capitolo 9
Restai immobile: a fissarla con la bocca spalancata e le braccia molli, lasciate cadere a penzoloni lungo i fianchi.
"Tu sei... sposata?"
Alzò le spalle con noncuranza, senza degnarsi di guardarmi negli occhi: "A quanto pare..."
"Perché non me l'avevi detto? Oh mio Dio... E a lui sta bene?!"
"Senti, tesoro..." sussurrò con l'intento di calmarmi, poggiando le sue mani sul mio volto.
Mi scostai senza un briciolo di sensibilità; non le diedi neanche il tempo di proferire altre parole.
Feci qualche passo all'indietro, puntandole un dito contro, in preda ad un mix di rabbia e disperazione: "Come hai potuto farmi una cosa del genere? Lui lo sapeva! Aveva ragione ad essere arrabbiato con te, a provocarti. Che schifo..." urlai con tutto il fiato che avevo in gola, finché la mia voce non divenne sofferta "Sono stanca dei tuoi stupidissimi giochi! Tu eri consapevole di quel che provavo e provo tutt'ora per te, lo sei sempre stata e, nonostante ciò, ti ostini a voler tenere tutto sotto controllo. Non vedo l'ora che chiunque ti stia intorno ti abbandoni. Non vedo l'ora che tu perda qualcun'altra, oltre alla tua bambina. Quell'altra sarò io."
Conobbi bene ciò a cui stavo andando incontro; probabilmente abbandonarla ad una crisi di maternità era più un tentativo di scappare da me stessa. Non avevo la stoffa di affrontare una situazione simile: ero una stupida ragazzina codarda.
Il cielo era talmente nuvoloso da rispecchiare il mio animo: grigio e cupo allo stesso modo.
Mentre scappavo verso il castello, riflettei su quelle parole crude, che le avevo servito a freddo, senza un briciolo di sensibilità. L'avevo lasciata ad annegare nel suo pianto, il primo pianto che vedi sgorgare lungo le sue guance.
Fu colpa mia.
Quella donna era più fragile di quanto non dimostrassi ed io mi ero lasciata andare, non avevo calcolato le mie azioni.
Il vero mostro, ai miei occhi intrisi di lacrime, non era altro che la sottoscritta...
In corridoio mi imbattei nell'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.
"Stai bene? Sembra che un uragano ti sia appena passato sopra." ammise Daniela senza un briciolo di contegno, ma genuinamente preoccupata.
Le diedi una spinta, facendole sbattere la schiena contro il muro.
La botta fu così forte da echeggiare per tutto l'androne.
"E sentiamo... da quando noi due ci rivolgiamo la parola come se niente fosse? Tu lo sapevi... Tu e tutte le altre lo sapevate e non mi avete detto nulla. Mi avete solo mentito o tenuto all'oscuro di tutto. Sono solo stata un suo giocattolo, non è vero? Heisenberg, Madre Miranda... questo mondo è tutto un circolo vizioso e perverso di cui io non voglio far parte."
"Fermati, fermati, ti prego! Non ho idea di cosa tu stia parlando."
La lasciai cadere in terra, senza un briciolo di pietà: "Hai ragione. Cosa pretendo da te? Non sei altro che la brutta copia di tua madre."
Quell'affermazione traboccò di tutto il disprezzo che provavo per quella famiglia.
"Mi fate schifo!"
Presi l'ascensore e salii sul tetto, per raggiungere le torri.
Camminavo trascinando i piedi e consumando lentamente le suole dei miei stivali.
Desideravo poter abbracciare di nuovo quella signora, perché, in fondo, non avevo mai smesso di amarla. Poteva far qualunque baggianata, ma restava incondizionatamente la mia donna. Non m'importava se avesse uno, due o trenta mariti, in fin dei conti.
Ciò che importava realmente era il nostro sentimento, talmente potente da vincere qualunque cosa...
Guardai le montagne rocciose innalzarsi di fronte alla mia presenza piccola e insignificante.
Provavo qualcosa dentro di me che faticavo a identificare.
Quei ricordi fugaci legati a momenti apparentemente inutili del mio passato mi avevano oltremodo destabilizzato.
Se avevo reagito male alla dichiarazione di Alcina era solo perché non avevo la coscienza stabile.
"Ho fatto proprio una puttanata..." confessai a me stessa, nascondendo il volto con i palmi delle mani, in segno di disperazione e rassegnazione.
"Ho perso l'unica persona a cui sapevo di essere legata."
Non ricordando nulla, non potevo aggrapparmi ad altri: ero tornata sola all'improvviso, come il giorno in cui arrivai in questo paesaggio sperduto della Romania.
"Dov'è quella stronza sovradimensionata?!" urlò una voce maschile alle mie spalle.
Mi voltai di scatto: era Karl Heisenberg.
"Cosa vuoi?" gli chiesi senza minimo ritegno, mettendo da parte qualunque formalità.
"Cerco la tua sugar mommy. L'hai vista per caso?" chiese sarcasticamente.
"Ti odio."
"Non è un bel modo di rivolgerti a qualcuno che conosci da poco, non credi? Potrei essere tuo padre."
"Taci! Pensa a prenderti cura di tua moglie, piuttosto... altrimenti le vengono voglie strane..."
Lo vidi sbiancare in volto, del tutto colto di sorpresa.
Probabilmente non si aspettava che ne fossi già venuta a conoscenza.
"Quindi ora lo sai, eh?"
"Dovresti essere geloso di lei. È una donna fantastica."
Non lo guardai più negli occhi, tanto era il disprezzo che provavo per quella sottospecie di omuncolo mutante.
"Vuoi una sigaretta?" chiese avvicinandosi con la cartina in mano.
"Come mai sei ancora qui? Non voglio nulla di tuo!"
"Mia moglie però sì, eh?"
Gli strappai la sigaretta dalla mano e la gettai in terra, furiosa: "Non ne sapevo proprio nulla!" urlai.
"Vuoi che ti racconti la verità?"
"Gradirei essere a conoscenza della vostra situazione."
"Io non ho mai capito cosa le sia successo... Il nostro matrimonio è nato da un interesse materiale, ovvero unire le casate. Non siamo mai andati d'accordo. Non l'ho mai vista sotto quel lungo abito che indossa, se proprio vuoi saperlo..."
Deglutii: "E avresti voluto?"
"Perché no?" domandò retoricamente e sul suo volto comparve un sorriso perverso.
Nonostante lo considerassi uno sfigato impotente, ebbi paura di lui in quel momento.
"Menomale che non ti devo considerare mio padre." fu il commento di una voce femminile molto familiare: Daniela.
Alzai gli occhi al cielo: "Com'è possibile che, nonostante tutti i metri quadri che misura 'sto castello, ci si ritrovi sempre in tre o quattro nello stesso posto? È snervante... Volevo solo stare un po' da sola."
"Volevo mostrarti il mio supporto, Ginevra. Non fare così." si giustificò Daniela, poggiandomi una mano sulla spalla.
"Onestamente... sei andata a letto non so quante volte con una donna che ha decenni in più di te ed ora ti preoccupi di fare la moralista?"
"Mi sono occupata di lei dal punto di vista affettivo, dato che te glielo hai fatto mancare!" lo attaccai con tutta me stessa, intenta a difendere le parti di Alcina.
"È stata una sua scelta. È lampante che preferisca le donne agli uomini. La sua ossessione per Madre Miranda era diventata incontenibile. Parlava sempre e solo di lei, la cercava in continuazione e tentava di conquistare la sua approvazione in ogni modo. Non la reggevo più. Non potete biasimarmi. Siete solo delle bambine."
"Sarò anche una bambina, ma almeno so cosa voglio dalla vita! La tua immaturità non ti rende certo onore." sbraitai di fronte al suo volto marcio.
Volevo andarmene, lasciare tutto incasinato come meritava di essere.
D'altro canto non potevo abbandonare Alcina, anche dopo il dolore che mi aveva arrecato.
"Io amo quella donna, a differenza tua!" gridai con convinzione, spalancando le braccia per simboleggiare la maestosità di quel sentimento.
"Sono felice che mia madre abbia avuto la fortuna di incontrarti..." confessò Daniela, asciugandosi le lacrime dalle guance "Non posso negare di aver provato cose indescrivibili per te e di non sentirmi ancora in quel modo quando ti vedo, però devo ammettere di essere felice che tu stia con lei. L'hai salvata dall'esaurimento."
Feci qualche passo indietro, allontanandomi da Heisenberg.
"C'è un'ultima cosa che non mi torna..." ammisi guardando il mio rivale negli occhi.
"Sentiamo!" disse lui abbassandosi gli occhiali e mostrando il suo volto per intero.
Aveva le sopracciglia folte, basse e lineari, le iridi grigiastre e lo sguardo di una lince.
In un certo senso mi incuteva timore.
"Capisco Alcina, capisco le gemelle, ma perché tu parli italiano?"
Sogghignò: "Perché forse, in fondo, anche io tengo a mia moglie..."
Scappai. Sentire quella frase ambigua mi fece provare un misto di malinconia e rimorso.
Solo lei. Volevo solo lei.
Mi sentivo uno schifo per come l'avevo trattata. Non meritavo neanche il suo perdono...
Chissene frega se era sposata, in fin dei conti.
Aveva scelto me! Quella era la considerazione importante da fare.
Ci eravamo incontrate per quel motivo: il nostro legame non poteva essere rotto per così poco.
"Non devo permettere a quello stronzo di causarmi dei problemi!" urlai.
Scesi le scale, accertandomi che né Heisenberg né Daniela mi stessero seguendo.
Corsi nella mia stanza e chiusi la porta a chiave.
Svuotai la libreria, gli scaffali. Tutti i volumi che vi erano sopra furono catapultati in terra da una forza violenta che si era impossessata del mio corpo.
Temetti il peggio da me, da quello che ancora non conoscevo o ricordavo.
Strappai pagine, accartocciandole, privandole della copertina, della rilegatura.
Il pavimento divenne una strage di stampe e manoscritti.
L'unica ragione per cui mi ero avvicinata tanto alla lettura era lei, solo lei.
Mi vidi allo specchio, osservai tremolante il mostro in cui quella scossa emotiva mi aveva trasformato.
Avvicinai la mano al viso, sfiorando una guancia con le unghie per verificare che fosse tutto vero, anche se conoscevo già la risposta.
Non so proprio cos'avrei dato pur di cancellare quel momento, svegliandomi dall'incubo peggiore in cui mi fossi ritrovata negli ultimi mesi.
Mi venne un attacco di panico, sentii i polmoni gonfiarsi nella cassa toracica, tanto da non starci più dentro.
Uscii dalla stanza e corsi.
Un sentimento indefinito mi colpì dalla testa in giù, immobilizzandomi. Fui irrigidita improvvisamente.
Sentii tutta quella potenza riversarsi lungo il mio braccio sinistro.
Lo stesi orizzontalmente ed una vampata di calore avvolse il mio polso.
Una luce iniziò ad uscire dal mio palmo, bianca ed abbagliante.
Seguii una scarica di energia rumorosa, accecante, che mandò in frantumi il muro, lasciando macerie sparse per tutto il corridoio.
Alcina era appena arrivata, in piedi di fronte a me, con la bocca spalancata. Mi fissava impietrita: "Ginevra... È questo il potere del Cadou?"
Il mio sguardo rimase intento ad ammirarla, a contemplarla, nella speranza di riuscire a trasmetterle l'involontarietà delle azioni appena compiute.
"Credimi, non era intenzionale. Sto davvero avendo paura di me stessa."
Respirai a pieni polmoni: "Se mi trovo in queste condizioni è solo perché la nostra storia è troppo importante per essere trascurata."
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Spazio autrice:
Buongiorno? Buonasera? Buonanotte? Boh... In qualunque momento vi troviate, buona lettura! :)
È strano il sol pensiero che questa storia mi abbia accompagnato sin qui, ne convengo apertamente. Dopotutto è la più lunga tra le mie storie, ma anche l'ultima che ho iniziato.
Sarà il fascino della Dimitrescu ad ispirarmi tanto?
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